Il razzismo è una di quelle tematiche scomode che occorre maneggiare con cura. Anzi, omettere, pensano alcuni insegnanti e genitori, nella speranza di rimandarla a più avanti, quando i bambini e le bambine saranno più maturi.
Avevo appena compiuto sei anni la prima volta che mi sono sentita chiamare «Ne*retta». Il primo giorno di scuola, lo zaino carico di matite profumate e quaderni di Poochie, arrivai in classe in ritardo. La mamma girò la maniglia della Prima A e aprì la porta davanti a venti bambini che piombarono istantaneamente nel silenzio. Finché qualcuno non mi urlò addosso quella brutta parola con la N. I miei compagni scoppiarono a ridere nell’indifferenza totale dell’insegnante e la mia innocenza di bambina felice andò in mille pezzi. A seguire sarebbero stati i cori razzisti sul pulmino, l’isolamento dai giochi di gruppo all’intervallo, le battute sprezzanti durante le lezioni.
Quindi, mi dico, se ce l’ho fatta io a sei anni a gestire il razzismo di bambini e adulti, ce la possono fare anche i bambini bianchi.
In realtà, non è mai troppo presto per parlare di razzismo. Sono molti gli studi che dimostrano come il razzismo affiori nei bambini già in tenera età. Quello condotto dalla Children’s Community School nel 2018 analizza tutte le tappe di sviluppo del pregiudizio razziale nel bebè già dai suoi primi mesi di vita. Alla nascita, il piccolo guarderebbe a tutti allo stesso modo. A tre mesi si soffermerebbe più sui volti le cui caratteristiche razziali corrispondono a quelle dei loro genitori o tutori. A due anni, il bimbo o la bimba inizia a usare la razza per ragionare sul comportamento delle persone. A 30 mesi, la utilizza per scegliere il compagno di giochi. Fra i quattro e i cinque anni i pregiudizi razziali raggiungono l’apice. A cinque anni, è stato osservato che i bambini razzializzati non mostrano preferenze nel gioco di gruppo; i bambini bianchi, d’altro canto, rimangono fortemente ancorati alle amicizie del loro stesso gruppo razziale. Quando cominciano la scuola, i bambini hanno gli stessi pregiudizi razziali degli adulti: associano, cioè, una razza a una categoria, attribuendole più o meno importanza rispetto a un’altra. È stato però dimostrato che conversazioni esplicite su amicizie interrazziali nei bambini fra i 5 e 7 anni possono smantellare quegli stessi pregiudizi nell’arco di una singola settimana.
Tutto ciò prova come i bambini, fin da piccoli, notino la diversità razziale e ci ragionino sopra. Spesso gli adulti pensano che parlare di razzismo coi giovanissimi incrementi il razzismo stesso, portandoli a sviluppare più pregiudizi verso il prossimo. Invece, avviene l’esatto opposto. È il silenzio sul razzismo a rinforzare il razzismo. Senza una guida, il bambino e la bambina sono abbandonati a se stessi, a trarre le loro conclusioni in base a stralci di conversazioni fra adulti o a ciò che assorbono da mass media e libri di testo (dove sono tutt’oggi presenti molti stereotipi deumanizzanti nei confronti delle persone razzializzate, per non parlare della loro invisibilizzazione).
Ecco perché il ruolo di insegnanti e famiglie è cruciale: per creare maggiore consapevolezza nei bambini e fornire strumenti preziosi per decostruire il razzismo intorno a loro, valorizzando la bellezza della pluralità.
Se da bambina qualcuno mi avesse preparata fin da subito al razzismo nel mondo, se mi avesse spiegato che il problema non risiedeva dentro di me ma fuori di me, se mi avesse fatto capire che racchiudere in sé più culture non è una mancanza ma un valore aggiunto, se mi avesse fatta studiare su libri in cui potermi rispecchiare e dove la multiculturalità venisse valorizzata, forse oggi mi amerei un po’ di più.