Scandagliando la letteratura e il pensiero contemporaneo, mi pare che sia possibile concepire lo Stato sociale (vale a dire la responsabilità pubblica in ordine al welfare) secondo tre codici alternativi:
a) Il codice del welfare «provvidenza» Ti salviamo noi!
b) Il codice del welfare «supermercato» Salvatevi voi!
c) Il codice del welfare «tutti nella stessa barca» Salviamoci assieme!
Il welfare «provvidenza»
Il welfare «provvidenza» ci riporta allo schema classico socialdemocratico o burocratico. Lo Stato con tutti i suoi servizi, anche convenzionati, dice al cittadino: «Vi salviamo noi!». Di fronte ai problemi esistenziali, dice:
Tu aspetta e vedrai che io Pubblica amministrazione mi accorgerò dei tuoi problemi e te li risolverò. Addirittura forse già me ne accorgerò ancora prima che essi insorgano. Farò prevenzione e, perciò, tu ora non avrai neanche il fastidio di ringraziarmi.
Se siamo d’accordo nel dire che questo è lo schema di pensiero del vecchio Welfare state (un welfare a sussidiarietà rovesciata), dobbiamo riconoscere che al fondo esso permane dentro molti modelli che pretendono di superarlo. Non è solo una fissa dei servizi pubblici. Lo troviamo ancora incarnato nelle mentalità della maggioranza dei professionisti attuali e di molte organizzazioni di Terzo settore.
Il welfare «supermercato»
Il welfare «supermercato» è invece conforme allo schema neoliberale/ commerciale. Lo Stato dice ai cittadini: «Salvatevi voi!». Di fronte ai problemi esistenziali, dice:
Stai attento tu, alla tua vita. Se hai un problema, arrangiati, ovvero compra le prestazioni che ti servono; se non hai i soldi usa quelli dei miei trasferimenti monetari (sussidi, pensioni, indennità, ecc.) ed eventualmente io integrerò con «buoni» o voucher e persino ti farò affiancare da un case manager per personalizzare le prestazioni, aiutandoti a comprare quelle giuste.
Questa ideologia ha agito come un detonatore sui Welfare state occidentali e nordici in particolare (si pensi alla riforma Thatcher nel Regno Unito). Di fatto esse hanno generato modi di pensare e soluzioni pratiche (modelli) che hanno irrorato di cinismo e di menefreghismo gli schemi della protezione sociale. Il valore del denaro è stato messo davanti al senso ultimo di quelle prassi. Il pensiero liberista è drasticamente contrapposto al «welfare di Stato». Se andiamo a vedere bene, tuttavia, è evidente che anch’esso, con l’enfasi sull’erogazione delle prestazioni standard, riproduce la dicotomia «salvatore/disgraziato» tipica di schemi assistenziali paternalisti e clinici.
Il welfare «tutti nella stessa barca»
Il welfare «tutti nella stessa barca» è invece conforme a uno schema di reciprocità relazionale. Lo Stato (in questo caso davvero «sociale») dice al cittadino: «Ci salviamo assieme!» (siamo tutti in difficoltà). Di fronte ai problemi esistenziali, effonde culturalmente questa intuizione:
La vita umana è unica e preziosa e infine tragica per tutti. Chi ha avuto la sventura di trascorrerla patendo gravi problemi, ha avuto anche la fortuna di sperimentarla nel suo senso più profondo e intimo. Come dice Pascal, «solo chi sa che cosa vuol dire essere miserabile è un grande uomo». Dunque, io Stato mi adopererò per costruire le condizioni organizzative e strategiche affinché le pietre scartate (gli utenti e le famiglie) siano davvero testate d’angolo o comunque pietre utili, come tutte, per costruire assieme con le istituzioni il senso di un «vivere comune» adeguato e sobrio.
Questo genere di pensiero parte dalla constatazione che le difficoltà e i disagi ci siano in ogni uomo e in ogni organizzazione, dunque anche dentro i sistemi di welfare. Questo paradigma direbbe pertanto che i sistemi organizzati per le cure umane possono funzionare (restituire effettivamente queste cure) solo se accettano culturalmente e organizzativamente di «farsi curare» dalle persone curate.
Questo sarebbe senz’altro un modo dirompente e davvero nuovo di pensare al welfare. Impegno davvero nuovo e ragguardevole sarebbe di consentire istituzionalmente che l’umanità delle persone sofferenti si potesse tradurre in pratiche sociali (umanamente, finanziariamente e managerialmente) perseguibili.