Le mille facce dell’inclusione: ripensare la scuola attraverso la pedagogia delle differenze

Sfide e opportunità nell’educazione alla diversità in un mondo plurale

Le mille facce dell’inclusione: ripensare la scuola attraverso la pedagogia delle differenze

Nella società come in classe le differenze fra le persone sono molte. Riguardano il sesso biologico, l’identità di genere, l’orientamento sessuale, la razza (intesa come costrutto sociale perché sappiamo che le razze dal punto di vista biologico non esistono), la religione, la disabilità, la neurodiversità, l’età, il corpo, il carattere e lo status socio-economico.

E, come sottolinea Vera Gheno in “Chiamami così”, da ognuna di queste differenze nasce una possibile discriminazione, che a sua volta ha un nome: sessismo e misoginia (in riferimento a sesso e identità di genere), transfobia, omofobia, lesbofobia, bifobia (in riferimento a orientamento sessuale), e poi razzismo, sinofobia, afrofobia (in riferimento a razza e origine geografica), islamofobia, antisemitismo, cristianofobia (per quanto riguarda la religione), abilismo (in riferimento a disabilità e neurodiversità), ageismo (per quanto riguarda l’età), body shaming (per corpi non conformi), aporofobia (disprezzo per la povertà).

Le diverse agenzie educative, tra cui la scuola, giocano un ruolo determinante nel facilitare il riconoscimento e la legittimazione delle differenze, promuovendo equità e pari opportunità. 

Talvolta, però, più che facilitare il riconoscimento e la valorizzazione delle differenze, la scuola riproduce rappresentazioni limitanti e semplicistiche di persone e gruppi che per un motivo qualunque non vengono percepiti come conformi all’ideale di normalità predominante nella società

La nostra, come spiega Vera Gheno, è infatti una società normocentrica, costruita su misura della persona ‘normale’. E chi è la persona ‘normale’? È cisgender (persona nella quale collimano il sesso biologico e l'identità di genere), eterosessuale, bianca, senza alcune disabilità o neurodiversità, bella, magra, ricca. 

Nella società come a scuola, non corrispondere a questo ideale di normalità è connesso al rischio di vivere situazioni di discriminazione. Persistono infatti evidenze sistematiche, istituzionalizzate e spesso inconsce di pregiudizi ingiustificabili e atteggiamenti negativi associati alle diverse dimensioni dell’identità. E ciò alimenta fenomeni di esclusione. 

Tre narrazioni etichettanti continuano a persistere a scuola...

Disabilità e neuro diversità

Diverse ricerche rilevano la diffusione prevalente nei contesti scolastici di rappresentazioni stereotipate e di un linguaggio etichettante, che si accompagna alla tendenza alla delega dell’inclusione agli specialisti del sostegno. 

Il focus di attenzione continua ad essere il deficit, la diagnosi, la mancanza e il mal funzionamento. Vengono usate etichette bio-mediche o normative, come BES, 104, DSA, disabile, come sostantivi: “In classe ho un 104 e tre DSA”. Non si mette al centro la persona nella sua interezza, ma solo la sua disabilità. Nonostante ci sia piena consapevolezza che l’uso delle etichette limita i processi inclusivi, le etichette sono parte del lessico comune della scuola. Si manifesta quindi una contraddizione tra l’immagine positiva (e corrispondente alle attese sociali) dell’inclusione, considerata un modello di giustizia sociale irrinunciabile, e le rappresentazioni della disabilità stereotipate che minano quello stesso modello. 

Razza e etnia

In Italia, xenofobia e razzismo tendono a manifestarsi perlopiù in micro-pratiche di razzismo quotidiano, anziché episodi eclatanti o violenti. Non si tratta di attacchi razzisti, ma di sguardi, parole, atteggiamenti, e comportamenti, che inviano messaggi offensivi, degradanti e umilianti. Sono azioni che molti considerano innocue ma che di fatto non lo sono. Sono manifestazioni di razzismo, sono micro-aggressioni. 

Un report recente “Lo sguardo tagliente” evidenzia come la scuola italiana tenda a considerarsi utopicamente un’isola felice, resistente al razzismo. Rileva la difficoltà del personale docente bianco a riconoscere nel proprio ambiente lavorativo i pregiudizi razziali che operano a livello implicito. Questa percezione confligge con il vissuto del personale docente africano e afrodiscendente, che evidenzia invece come bambini e bambine africani siano spesso etichettati come più problematici aprioristicamente, o portatori di una fragilità, di qualcosa da colmare, di un deficit, di uno svantaggio. Nella prefazione del libro di Bell Hooks Insegnare comunità. Una pedagogia della speranza, Rahma Nur, presente al convegno La Qualità dell’inclusione scolastica e sociale sottolinea: “Di fatto i neri d’Italia – pur trovandosi in scuole libere, pubbliche, aperte a tutti – spesso sono stigmatizzati come stranieri, anche se nati e cresciuti qui; altre volte sono etichettati come alunni con ‘bisogni educativi speciali’ solo perché non parlano ancora la lingua italiana o sono traumatizzati dall’arrivo nel Belpaese a seguito della difficile fuga dai paesi d’origine, in guerra o in travaglio economico da decenni”.  

Sesso e identità di genere

Diversi studi evidenziano come la divaricazione dei destini maschili e femminili si strutturi fin dalla primissima infanzia nel contesto familiare e prosegua poi lungo l’intero percorso scolastico. Irene Biemmi parla di un processo di addestramento ai ruoli maschili e femminili lento ma inesorabile, chiaramente evidente già all’ingresso alla scuola dell’infanzia, quando “i bambini e le bambine si sono già identificati nel loro ruolo e conoscono perfettamente il comportamento adatto al proprio sesso; prosegue poi con ancora più forza nella scuola primaria e in tutti gli anni a venire”.
Nonostante esistano in tutta Italia esperienze di sperimentazione e promozione di progetti di educazione di genere e all’affettività, la scuola, secondo Biemmi, tende a riprodurre una cultura sessista e conservatrice, reiterando, e dunque legittimando, un immaginario sul femminile e sul maschile fortemente deficitario e limitante sia per le bambine sia per i bambini.

Le cause e le forme di discriminazione ed esclusione sono molteplici, e variano nei diversi contesti sociali. La scuola può giocare un ruolo se saprà attingere dal pensiero di Bell Hooks per ripensare i processi inclusivi in ottica intersezionale. L’approccio intersezionale descrive come le caratteristiche di una persona (genere, sesso, razza, disabilità…), intrecciandosi tra loro, determinano la posizione sociale di una persona e possono diventare fattori generativi di molteplici forme di discriminazione ed oppressione. Per esempio, una donna, nera, può subire una discriminazione duplice, sessuale in quanto donna, e razziale in quanto persona nera. L’intersezionalità educa a non considerare questi aspetti identitari separatamente e permette di contrastare le discriminazioni ed oppressioni multiple.