Indice
1. La storia fondamento dell’educazione
Le ragioni dell’insegnamento della storia risiedono principalmente nel fatto che la conoscenza del passato è legata ai grandi temi dell’educazione. La storia possiede, infatti, un valore formativo che ci permette di conoscere la ricchezza dell’esperienza umana e, in quanto tale, può essere considerata un’estensione della comprensione della vita, sia nelle manifestazioni individuali che collettive.
Dunque, il «perché» un alunno deve studiare la storia è riconducibile a profonde motivazioni educative. In particolare, bisogna «far sorgere negli studenti un adeguato senso storico», cioè far loro percepire che nella realtà che ci circonda esiste «un modo peculiare di esistenza oggettiva (indipendente da noi), la dimensione della storicità» (Guarracino, 2012).
Citando Marc Bloch (Apologia della storia o mestiere di storico) alla domanda di un figlio al padre «Papà, a che serve la storia?», possiamo rispondere che la storia serve a educarci, a uscire da un presente che rischia di soffocarci e a riscoprire la dimensione costitutiva dell’essere umano. La storia ci insegna ad andare incontro all’altro e aprirci ragionevolmente al futuro. In questo senso, aiuta a far comprendere ai giovani che l’attesa e l’apertura al futuro non sono connesse solo all’immediato presente, ma che questo è frutto e sviluppo di un passato, che va studiato, compreso e rielaborato criticamente.
Chi vuole limitarsi al presente e all’attuale, l’attuale non lo comprenderà. Come sostiene Marc Bloch, la storia è «la scienza degli uomini nel tempo»; dunque, il suo oggetto è l’uomo. E ancora lo storico francese ha affermato che
l’incomprensione del presente nasce fatalmente dall’ignoranza del passato. Ma è pur vero che non si è in grado di comprendere il passato se non si conosce il presente… La storia insegna all’umanità intera da dove viene, quello che è e lascia intravvedere dove va. La storia domina e illumina l’avvenire ed il presente e apre le porte verso il futuro. È una vasta esperienza delle varietà umane, un luogo di incontro degli uomini (Bloch, 2009).
Dunque, il compito della storia è sostenerci nella comprensione delle nostre radici e acquisire la consapevolezza che, per costruire un progetto di vita, occorre prendere coscienza che veniamo da lontano. Se occultiamo il nostro passato, con le sue luci e ombre, rischiamo di non riuscire a percepire in modo realistico il presente.
Chi non conosce il passato è destinato a incamminarsi su una strada pericolosa, quella di vederlo ripetere, soprattutto nelle sue ombre. «L’amnesia storica», si sottolinea nel Libro Bianco Cresson-Fly della Commissione europea Insegnare ad apprendere – Verso la società della conoscenza (1995), «si paga socialmente con la perdita dei riscontri e dei punti di riferimento comuni».
Il docente di storia deve usare molto equilibrio, per evitare che si impongano scelte o convinzioni ideologiche o partitiche. Piegato a queste logiche e magari strumentalizzato per scopi politici, lo studio della storia non aiuta ad arginare una certa indifferenza che gli studenti manifestano nei suoi confronti. Tale freddezza trae principalmente motivo dal convincimento che la conoscenza storica non sia di alcuna utilità e risulti estranea ai loro interessi. Occorre, pertanto, abbandonare metodi di passiva trasmissione e incoraggiare i ragazzi a motivarsi, interessarsi e attivarsi in prima persona.
Un insegnamento efficace della storia non si risolve nella mera trasmissione di informazioni su avvenimenti del passato. Come si sottolinea nelle Indicazioni-2012, la storia
è anzitutto promozione delle capacità di ricostruzione dell’immagine del passato muovendo dal presente e di individuazione delle connessioni tra passato e presente… Come materia scolastica è la ricostruzione e la narrazione di eventi che avvengono in determinate località e in un certo periodo di tempo.
Tutte le discipline hanno un valore educativo. La storia, però, possiede un peso formativo particolarmente elevato in ragione del ruolo rappresentato dalla comprensione del passato: un motore di ricerca per la difesa e il miglioramento di una società democratica avanzata. Tale insegnamento non deve formare il futuro cittadino ma, attraverso l’affinamento delle capacità critiche, guidare lo studente non a giudicare ma a comprendere il passato e, di conseguenza, il presente.
2. La rivalutazione dei fatti storici
Il fatto costituisce la spina dorsale della ricerca storica. In ogni Paese sono accaduti eventi che hanno cambiato l’immagine del Paese stesso. Si pensi, ad esempio, alla spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi che, nel 1860, nel giro di pochi mesi contribuì in misura rilevante all’Unità d’Italia.
La battaglia di Hastings, combattuta il 14 ottobre 1066, tra l’esercito normanno di Guglielmo il Conquistatore e l’esercito anglosassone di re Harold II d’Inghilterra, si concluse con la vittoria del duca di Normandia e cambiò la storia del popolo inglese.
L’assassinio dell’erede al trono dell’impero, Francesco Ferdinando d’Asburgo e della moglie Sofia, a Sarajevo il 28 giugno 1914 ha scatenato la prima grande catastrofe dell’intero Novecento.
Il fatto storico, proprio perché agisce in profondità nella realtà dei Paesi, deve essere esaminato con accuratezza sia dallo storico sia dal docente e dai suoi alunni.
La scelta di questi fatti di grande portata dipende, da un lato, da una qualità intrinseca, dall’altra, dalla scelta dello storico che privilegia un punto di vista piuttosto che un altro.
In ogni caso, i fatti non parlano da soli; parlano soltanto quando vengono interrogati con accuratezza e obiettività. Il mestiere dello storico e quello dell’insegnante, in questo caso, coincidono.
È scorretto piegare la storia all’ammaestramento, all’indottrinamento e a uno sterile moralismo. Occorre, al contrario, ricostruire i fatti, attraverso il metodo della ricerca sempre più approfondita dell’evento, oggetto di studio.
Un fatto, dice Pirandello, è come un sacco: non sta in piedi se non gli si mette qualcosa dentro.
È inevitabile, dunque, che il «sacco della storia» debba comprendere lo studio di fatti, cioè di saperi e di contenuti.
L’idea di contenuto è associata spesso a un sapere astratto e decontestualizzato. Questa percezione è avvalorata da strategie didattiche trasmissivo-espositive, praticate frequentemente nelle nostre scuole. Il principio cardine, invece, è che l’apprendimento della storia debba avvenire attraverso operazioni di tipo storiografico, offrendo agli studenti materiali e strumenti per rendere gli allievi costruttori di quadri storici.
In realtà, i contenuti, soprattutto quelli ritenuti di particolare peso trasformativo, posseggono una carica costruttiva che deve essere posta alla base dello studio.
In fondo, per un bambino che va a scuola, le domande che tutti si fanno sono: “Che cosa sta imparando?”, “Come vive questa sua esperienza?”, “Come viene aiutato in caso di difficoltà?”. Diversamente detto: “Quali contenuti stanno caratterizzando la costruzione del suo sapere e della sua formazione?”, “Qual è l’attaccamento che egli manifesta nei confronti delle cose che impara, ma anche delle relazioni con i coetanei e le persone che incontra?” (Rondanini, 2009).
La centralità dell’apprendimento, metafora della società della conoscenza, ripresa in tutti i provvedimenti ministeriali degli ultimi decenni, non può essere disgiunta dalla qualità dell’insegnamento. Pensare a un curricolo di storia, soprattutto del Novecento, significa porsi due ineludibili domande: «che cosa» insegnare e «come».
Il primo interrogativo ci porta dritto al tema dei contenuti. L’apprendimento, infatti, è sempre «apprendimento di qualcosa». Quel «qualcosa», come sottolinea Lucio Guasti, «dipende dalla possibilità operatoria del soggetto e non dalla quantità di informazioni che gli vengono messe a disposizione o imposte per essere apprese» (Guasti, 2009). Il bravo insegnante riconosce in ciascun contenuto il «fare» mentale e affettivo che ne caratterizza la dimensione formativa.
Per quanto riguarda il «come» insegnare la storia, tra le varie strategie didattiche possibili possiamo prendere in considerazione la metodologia degli Episodi di Apprendimento Situato (EAS), in quanto consentono di integrare l’uso delle nuove tecnologie con lo sviluppo di temi legati all’attualità. Lo scoppio della guerra in Ucraina ci ha posto di fronte alla necessità di spiegare il presente attraverso la storia, tanto più che l’aggressore russo ha giustificato la sua scelta bellica con sedicenti argomentazioni storiche, quali la denazificazione dell’Ucraina. Si tratta di una giustificazione decisamente aleatoria, sufficiente però per comprendere quanta falsità (e magari anche un pizzico di verità) ci sia in questa affermazione.
Certo, non si può studiare la storia partendo solo dall’attualità. Riservare però ogni anno un numero di ore sufficiente ad approfondire qualche spunto che nasca dalla connessione della cronaca con il passato è un modo per attualizzare fatti ed eventi che altrimenti potrebbero sembrare incomprensibili.
La strategia EAS, introdotta dal professor Pier Cesare Rivoltella a partire dal 2014, è articolata in tre fasi: preparatoria, operatoria e ristrutturativa, e attua il capovolgimento della tradizionale lezione frontale. In ciascun momento vengono individuate sia le azioni del docente che quelle degli studenti, nella prospettiva di un apprendimento che fa leva sulla stretta collaborazione tra insegnanti e alunni.
L’EAS è basata su un’accurata progettazione del docente («Lesson Plan») e propone agli studenti esperienze di apprendimento situato e significativo, che portino alla realizzazione di artefatti digitali (non solo), favorendo un’appropriazione personale dei contenuti.
Oltre al metodo EAS, ci sono molteplici modi per far rivivere la memoria storica: apprendimento cooperativo, educazione outdoor, Service learning, progetti di comunità, patti territoriali.
Storia, educazione civica, sviluppo sostenibile sono azioni che integrano un percorso di conoscenza attivo, partecipato e sicuramente anche appassionante.
In ogni caso, occorre tenere presente che le conoscenze diventano significative se:
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contribuiscono al potenziamento della comprensione del presente;
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risulta facile il loro aggancio con le conoscenze preesistenti;
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sono proporzionate alle possibilità cognitive dell’alunna/o;
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rendono coinvolgente ed efficace lo studio della storia (come di qualsiasi altra disciplina).
3. Evitare la narrazione moralistica
Nella bozza delle Indicazioni-2025, relativamente al «programma» di storia, si sottolinea l’importanza della conoscenza dei fatti. Si afferma, a questo proposito, che
necessario per tutto ciò è la conoscenza dei fatti. Fatti ovviamente collocati cronologicamente tanto nei rispettivi contesti spaziali, culturali e ideologici, quanto nella trama delle loro relazioni. Tutto ciò costituisce altresì lo strumento necessario per promuovere una vera educazione civica, che non può prescindere dalla coscienza delle responsabilità individuali e collettive.
Si tratta di una considerazione più che condivisibile. Subito dopo, però, si riafferma la vecchia e obsoleta idea dell’insegnamento di questa disciplina. Si sottolinea, infatti, che
anziché mirare all’obiettivo, del tutto irrealistico, di formare ragazzi (o perfino bambini!) capaci di leggere e interpretare le fonti, per poi valutarle criticamente magari alla luce delle diverse interpretazioni storiografiche, è consigliabile percorrere una via diversa. E cioè un insegnamento/apprendimento della storia che metta al centro la sua dimensione narrativa in quanto racconto delle vicende umane nel tempo.
In particolare, vengono suggerite specifiche narrazioni tratte dal mondo classico, dalle «glorie» dell’impero romano, da personaggi ed episodi del Risorgimento.
Quest’idea di storia, asservita all’educazione di un’identità nazionale, viene prevista sin dai primi due anni della scuola primaria, in cui il bambino deve apprendere «alcune grandi narrazioni: ad esempio, Bibbia, Iliade, Odissea, Eneide (in forma molto semplificata)». Oppure nel secondo anno, insegnando l’inno di Mameli, poesie e racconti del Risorgimento, quali: gli incarcerati nello Spielberg, le cinque giornate di Milano, i martiri di Belfiore, La piccola vedetta lombarda, Anita Garibaldi, i Mille.
Il curricolo di storia delle Indicazioni-2025 persegue lo scopo di rafforzare l’identità italiana, esaltandone il processo storico che ha contribuito a «farci diventare Patria» e tendono a sostituire la storia come ricostruzione del passato con un racconto «biografico» della nazione.
Viene proposta in più punti una versione mitologizzata (il passato glorioso di Roma, Muzio Scevola, Menenio Agrippa, ecc.; gli eroi del Risorgimento con i racconti del libro Cuore di Edmondo De Amicis, ecc.), sottovalutando le acquisizioni più innovative della didattica della storia, dall’utilizzo delle fonti, alle tecnologie digitali, all’utilizzo di documenti multimediali, ecc.
Nel libro Insegnare l’Italia, Ernesto Galli della Loggia si scaglia contro l’impostazione del curricolo di storia che parte dall’ominazione, scaraventando poi il bambino «nell’abissale vortice» del tempo degli Assiri e dei Sumeri. Occorrerebbe, invece,
dare inizio a un vero percorso educativo mettendolo in contatto con qualcosa rispetto alla quale egli possa avere una sia pur tenue familiarità (Galli della Loggia e Perla, 2023).
Qui, però, l’illustre storico cade in un’evidente contraddizione. La Bibbia, l’Odissea, Muzio Scevola, La piccola vedetta lombarda, Anita Garibaldi, ecc., sarebbero più familiari dei Fenici e degli Egizi?
L’identità nazionale nella bozza delle Indicazioni-2025 prevale su tutto. Del resto, si chiede Galli della Loggia,
che cos’altro potrebbe mai insegnare la scuola italiana se non nozioni, saperi, stati d’animo che in un modo o nell’altro riguardino l’Italia o comunque abbiano l’Italia come loro referente principale?
Anche l’inclusione deve essere piegata a questa logica.
In che cosa mai dovranno essere inclusi i giovani immigrati se non in un ambiente italiano e per ciò stesso necessariamente in buona misura italocentrico?
Con buona pace dell’educazione interculturale e di un dialogo che possa arricchire sia i bambini con background migratorio sia i coetanei italiani!
La scelta di uno scenario mondiale, alla luce anche della trasformazione in senso multietnico della società italiana e che ha connotato l’insegnamento della storia dagli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso a oggi, viene decisamente messa in soffitta a favore di una opzione prevalentemente (prettamente) nazionale.
4. Narrazione e/o laboratorialità
Nell’insegnamento di ogni disciplina si intrecciano due dimensioni:
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la prima riconducibile all’oggetto di uno specifico sistema culturale (conoscenze dichiarative: che cosa so);
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la seconda riguarda le strategie didattiche e gli aspetti metodologici con cui viene insegnata e appresa (conoscenze procedurali: che cosa so fare).
Conoscenze dichiarative e conoscenze procedurali sono tra loro complementari ed entrambe coessenziali all’approfondimento di un fatto storico.
Alle dimensioni sopra richiamate, costitutive di ogni campo di conoscenza, occorre aggiungerne un’altra, inerente ai tratti professionali degli insegnanti. Ogni disciplina, infatti, interpella lo stile educativo del docente, il quale deve creare appassionamento, interesse, partecipazione. In una parola, incombe sulla sua persona il compito di creare la desiderabilità del sapere e, dunque, di valorizzare la centralità della relazione educativa tra l’insegnante e l’allievo.
La strategia narrativa si presta a essere utilizzata nel rapporto docente-alunno in cui prevale la dimensione dichiarativa e informativa del conoscere. Coincide in larga misura con la lezione tradizionale.
Al contrario, il sapere procedurale presuppone una mente investigativa, indagatrice, esplorativa. Richiede una partecipazione attiva e una didattica laboratoriale. Lo studente, infatti, deve mettere in gioco le proprie risorse cognitive e affettive, in una ri-creazione del sapere confrontandosi con gli altri, coetanei e adulti.
Narrazione e laboratorialità sono strategie complementari e interdipendenti, che si completano, non forze antagoniste!
Considerata, pertanto, la valenza formativa della storia, la dimensione narrativa e quella laboratoriale possono tranquillamente coesistere. Un’efficace narrazione, ad esempio, può costituire la premessa di una specifica attività riguardante un particolare documento, una fotografia, un reperto materiale, ecc., oppure costituire un testo di sintesi di un’unità formativa, ma anche la «messa a punto» di un percorso nella sua fase di svolgimento.
La storia, alla stregua delle altre discipline, aiuta lo studente a «imparare a pensare». Pertanto, non consiste solo nell’acquisizione di informazioni, pur necessarie, ma anche nel tendere all’acquisizione di consapevolezze e padronanze delle procedure del sapere storico.
Tali apparati metodologici non servono agli allievi per diventare «piccoli storici», bensì per orientarli nella complessità dei fatti, per problematizzarli e considerarli secondo una pluralità di punti di vista. In storia questa struttura sintattica si acquisisce soprattutto attraverso la capacità di leggere le fonti che, come ben sappiamo, sono di varie tipologie: visive (iconografiche), materiali, scritte e orali.
La storia, nella sua versione identitaria, ha conosciuto una stagione favorevole nell’Ottocento, quando fu ampiamente utilizzata per costruire il sentimento di adesione a una nuova Nazione. Massimo D’Azeglio disse: «Come pensate di fare l’Italia se non avete fatto gli italiani!» Il libro Cuore di Edmondo De Amicis ha svolto questa funzione: fare gli italiani, cioè educarli al dovere, all’eroismo, al rispetto del re, all’amore per il Paese, per l’esercito, per tutti coloro che si sacrificavano per il bene della Patria, ecc.
I racconti del Tamburino sardo e della Piccola vedetta lombarda sono esempi di amore per l’Italia da parte di ragazzi, che arrivano a immolare anche se stessi, pur di compiere fino in fondo il proprio dovere di patrioti.
Dunque, nelle Indicazioni-2025 gli estensori del testo privilegiano una didattica che trasmetta «buoni» contenuti e figure esemplari soprattutto dell’epopea risorgimentale.
Si esalta, implicitamente, la lezione tradizionale incentrata sull’esposizione dell’insegnante e sull’ascolto dell’alunno, il quale deve memorizzare e ripetere quanto comunicato dal docente.
A questo proposito, nel testo si sottolinea che
per favorire la capacità di orientarsi nella ‘linea del tempo’ e di comprendere almeno alcune semplici periodizzazioni, già nell’ultimo biennio della scuola primaria appare necessario promuovere la conoscenza e la memorizzazione di date, fatti, personaggi, anche tramite esercizi da svolgere collettivamente. Una volta acquisiti tali contenuti fondanti, gli alunni saranno guidati a riconoscere i rapporti di causa-effetto e di interrelazione tra eventi, processi e fenomeni.
Il rischio della lezione tradizionale è che essa si trasformi in un monologo del docente, come in realtà spesso avviene. Considerato poi che nella scuola primaria il monte ore annuale di tale insegnamento si aggira sulle 60 ore, questo pericolo è ancora più verosimile.
5. Conoscere la storia del Novecento
Lo storico Marcello Flores ha definito il Novecento il «secolo mondo». In effetti, nel XX secolo sono avvenuti sconvolgimenti che hanno cambiato la storia dell’intero pianeta e tali mutamenti continuano a pesare anche sulle vicende attuali.
Si tratta di un secolo ambivalente. Da un lato, assistiamo all’affermazione di diritti, di emancipazione di nuovi soggetti (si pensi al ruolo della donna), del progresso scientifico e tecnologico; dall’altro, è il «secolo barbaro» dei campi di sterminio, delle «guerre totali» e dei più spaventosi massacri della storia umana.
Per questa sua intrinseca complessità, richiede molta attenzione, studio costante, fin dalla scuola dell’infanzia.
Le Indicazioni nazionali vigenti (D.M. 254/2012) hanno optato per un curricolo «continuo» dal primo anno della scuola primaria all’ultima classe della secondaria di I grado.
Questa soluzione risulta strutturalmente fragile relativamente ai fatti che hanno caratterizzato le vicende e i mutamenti verificatisi nel Novecento. Nelle Indicazioni-2012 si afferma:
Nella scuola secondaria di primo grado lo sviluppo del sapere storico riguarderà i processi, le trasformazioni e gli eventi che hanno portato al mondo di oggi. Una più sistematica strutturazione cronologica delle conoscenze storiche sarà distribuita lungotutto l’arco del primo ciclo di istruzione.
Nella scuola primaria, le Indicazioni-2012 prevedono la costruzione di conoscenze riguardanti «quadri di civiltà o quadri storico-sociali», mentre nella secondaria di primo grado si insisterà principalmente sui mutamenti e gli eventi che «hanno portato al mondo di oggi».
Per quanto concerne la storia generale, si indicano macro argomenti di studio che vanno dalla preistoria, alle grandi civiltà fluviali, alla costituzione dell’Impero romano, ecc., fino agli sconvolgimenti del Novecento, dall’affermazione delle dittature all’espansione della democrazia, ai movimenti di resistenza, alla formazione di Stati democratici.
Se, da un lato, le Indicazioni costituiscono un quadro di riferimento per la progettazione del curricolo di istituto da parte dei docenti, dall’altro la genericità delle proposte sta portando di fatto a una sorta di occultamento della storia recente. La storia del Novecento rischia di essere confinata, in misura ridotta, esclusivamente nel terzo anno della «scuola media».
Alla scuola primaria, infatti, sono assegnate
le conoscenze storiche che riguardano il periodo compreso dalla comparsa dell’uomo alla tarda antichità, mentre alla secondaria di I grado le conoscenze che riguardano il periodo compreso dalla tarda antichità agli inizi del XXI secolo.
I libri di testo si sono naturalmente adeguati e le vicende del «secolo breve» di fatto vengono affrontate parzialmente solo nella terza classe della secondaria di primo grado.
Questa frammentarietà porta a un deficit di conoscenza che interessa non solo i grandi sconvolgimenti della prima metà del XX secolo (prima guerra mondiale, affermazione del fascismo, del nazismo, del comunismo, seconda guerra mondiale, Olocausto, ecc.), ma anche la storia del secondo Novecento, fino ad arrivare alla caduta del muro di Berlino (1989), alle guerre dei Balcani, all’attacco delle Torri gemelle, ecc.
Tutti questi eventi richiedono un ripensamento radicale dell’attuale impostazione dello studio del secolo scorso sia per quanto concerne il curricolo del primo ciclo d’istruzione che quello relativo all’istruzione superiore.
Di fronte a questi scenari che accentuano un deficit strutturale della conoscenza storica del cosiddetto «secolo breve», occorre porre seri rimedi. Infatti, una solida conoscenza del XX secolo è fondamentale per impostare correttamente l’intero curricolo del primo ciclo di istruzione non solo relativamente alla storia, ma anche allo studio delle altre discipline. Si pensi all’impatto che la prima guerra mondiale ha avuto sulla letteratura, l’arte, la musica, i processi tecnologici, ecc.
Non possedere la memoria della storia recente significa consegnare a intere generazioni un futuro incerto che, di fronte alle efferatezze che stanno avvenendo a qualche chilometro da noi, possono provare solo sentimenti di sdegno e di rifiuto. Occorre fare molto di più. La storia non è magistra vitae, ma sicuramente proietta con una certa ricorsività immagini che il Novecento ci ha costantemente riproposto.
6. Il Novecento nelle Indicazioni-2025
Un curricolo finalizzato a formare solide conoscenze e competenze relative alla storia del «secolo breve» deve ispirarsi a tre criteri di fondo:
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essenzialità
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progressività
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interculturalità
Essenzialità
Un «curricolo essenziale» (non minimale!) si basa sulla convinzione che la formazione deve essere intensiva e consentire uno studio critico e approfondito, mediante la selezione dei nuclei costitutivi della storia del Novecento tesi a sviluppare un patrimonio di conoscenze e di competenze stabili nel tempo. I docenti, per evitare la logica di uno sterile enciclopedismo, dovranno selezionare gli snodi costitutivi della nostra storia recente, tesi a promuovere un patrimonio di conoscenze/competenze stabili nel tempo.
Progressività
La progressività di un curricolo prefigura un percorso di apprendimento che deve adattarsi alle caratteristiche psicologiche e cognitive delle diverse età, dalla scuola dell’infanzia all’intero ciclo dell’istruzione superiore. Lo statuto di una disciplina (oggetto, linguaggio, metodologia di ricerca) non cambia con il mutare dell’età. Muta, invece, la distanza del soggetto che impara dall’oggetto di apprendimento. Nei bambini della scuola dell’infanzia e primaria è forte il legame con la contestualità e con l’esperienza diretta, mentre negli ordini successivi lo studio della storia si basa su metodologie più raffinate dallo studio delle fonti ad avanzate procedure e tecniche.
Interculturalità
In un'epoca in cui le tradizionali categorie dello spazio e del tempo si stanno profondamente trasformando, occorre far comprendere agli alunni che le storie dell'umanità sono storie di tutti. La metafora del viaggio è oggi uno sfondo capace di integrare i contributi dei differenti sistemi simbolico-culturali: storia, geografia, antropologia, ecc., si prestano a molteplici approfondimenti su scale diverse, dalla dimensione mondiale a quella locale. L'approccio interculturale, in questo senso, favorisce il superamento di rigidi confini disciplinari; valorizza, al contrario, il dialogo con bambini e ragazzi che provengono da altre realtà territoriali.
L'educazione interculturale costituisce, inoltre, la piattaforma sulla quale promuovere una nuova concezione di cittadinanza, plurale e planetaria, in grado di valorizzare la conoscenza delle nostre radici storiche inserite in un orizzonte più ampio.
Nella bozza delle Indicazioni-2025, il curricolo di storia è incentrato interamente sulle conoscenze del Novecento. L’articolazione dei contenuti di insegnamento del terzo anno della secondaria di primo grado è la seguente:
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La Prima guerra mondiale.
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L’Italia in guerra.
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La disintegrazione dell’Europa liberale: comunismo, fascismo, nazismo.
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L’Italia fascista: la conquista del potere, la costruzione del regime, gli oppositori.
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La società di massa e il secolo americano.
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La Seconda guerra mondiale, lo sterminio degli ebrei.
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L’Italia dall’entrata in guerra alla Resistenza.
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Il mondo della guerra fredda.
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La dislocazione mondiale verso l’Asia: la decolonizzazione, la Cina comunista.
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Lo sviluppo economico dell’Occidente e la società del benessere.
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Verso l’unità europea e la fine dei regimi comunisti.
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L’esperienza politica dell’Italia repubblicana dalla Costituzione alle inchieste di Mani pulite.
Dunque, gli alunni della terza «media» hanno a disposizione un intero anno per approfondire le tematiche relative al secolo scorso. Le istituzioni scolastiche potranno riprogettare nel curricolo di istituto i punti sopra richiamati, focalizzando l’attenzione su aspetti esplicitati nel testo ministeriale o «curvando» diversamente gli argomenti del testo medesimo.
Si tratta di un passo avanti rispetto alla situazione attuale. La necessità di affrontare in modo più completo la storia del Novecento nasce da una duplice esigenza:
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superare il limite della seconda guerra mondiale (quando va bene!) come termine ad quem del «programma di storia» dell’ultimo anno;
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sollecitare i docenti a un’opera di aggiornamento di un periodo storico spesso conosciuto solo superficialmente.
Per comprendere il presente, come già sottolineato, occorre innescare un ripensamento critico legato alle
grandi questioni del Novecento, evitando la comunicazione semplificata del social media dove si negano fatti ampiamente documentati in nome di funeste ideologie.
I social veicolano spesso spazi fittizi e irreali, proprio in un momento, quello della mondializzazione, che impone orizzonti particolarmente estesi alla coscienza dei singoli e delle comunità.
La storia è un bene comune; quella del XX secolo lo è in misura maggiore e ignorarla vuol dire smarrire noi stessi, l’Italia, l’Europa, il mondo.
7. La storia locale
L’Italia è espressione di una molteplicità di realtà locali. Secondo Ernesto Galli della Loggia,
il localismo ha voluto dire non solo l’assai maggiore importanza culturale e sentimentale che ha avuto e ha tuttora in Italia la dimensione della patria locale rispetto a quella nazionale (si pensi all’uso ancora larghissimo del dialetto) ma che, soprattutto, è all’origine della forza dei legami interpersonali – matrimoniali, familiari, di amicizia, di clan – i quali connotano in misura così significativa la socialità italiana (Galli della Loggia e Perla, 2023).
Considerazioni condivisibili, anche se le ultime generazioni sono più «liquide» rispetto alla solidità dei legami che univano molti italiani fino agli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso.
Sul piano storico, le ricerche a livello locale concretizzano più della storia generale l’obiettivo di intrecciare diversi livelli di indagine: tradizioni popolari, usanze, mestieri, cultura materiale, valorizzazione di particolari ricorrenze, ecc. Concentrarsi su un ambito di scala ridotto consente di utilizzare differenti approcci metodologici e sperimentare molteplici percorsi di partecipazione anche con i soggetti pubblici e privati della comunità di appartenenza.
La storia locale, poi, favorisce un approccio corretto sul piano della ricerca, in particolare permette di poter accedere a fonti primarie, quali la consultazione di archivi municipali, parrocchiali, privati, musei, fonti orali, ecc.; tutto ciò non impedisce che indagini in campi ristretti aprano orizzonti ad ampio raggio, a patto che non si rimanga prigionieri di una prospettiva localistica.
Le fonti, infatti, devono essere contestualizzate, con una avvertenza: alle fonti non si può chiedere tutto! Vanno «interrogate», pertanto, con un criterio selettivo.
La storia dei nonni che sono emigrati in Belgio, in Francia, in Germania, nelle Americhe porta gli alunni a confrontarsi con orizzonti interpretativi che, pur partendo dalla «valigia di cartone» del nostro antenato, proietta i ragazzi su scenari mondiali, tortuosi ma avvincenti.
Per queste ragioni, la prospettiva locale risulta particolarmente utile al progresso della ricerca storica e permette di tenere lo sguardo sul mondo e non chiudersi in una dimensione ghettizzante.
Relativamente alle opportunità della didattica della storia su scala locale, partire dal territorio di cui gli alunni possono sviluppare esperienze dirette corrisponde a precise esigenze di carattere formativo. Vengono, infatti, offerte concrete possibilità sul passaggio dal «vicino» al «lontano», dal familiare all’inedito, dal concreto a riflessioni più astratte.
In particolare, un percorso di storia locale consente l’opportunità di sperimentare una reale educazione al patrimonio presente nella comunità di appartenenza: i beni culturali, eredità del passato, possono manifestarsi nel presente.
Pertanto, la scoperta di opere d’arte, tracce, luoghi, manufatti, ecc., contribuisce in maniera significativa alla formazione dell’identità personale e al suo radicamento con il territorio.
Conoscere il proprio passato è una delle condizioni indispensabili per formare dei cittadini consapevoli e responsabili, educandoli a una cittadinanza attiva, solidale e impegnata.
La storia locale è incontro con la gente comune, che in silenzio ha fatto la storia del nostro Paese, soprattutto nel secondo Dopoguerra. La curiosità per le «radici» può accendere negli alunni il desiderio di comprendere più a fondo le dinamiche di un determinato periodo storico, altrimenti percepito come distante.
La vicinanza e la contestualità nello spazio, il legame con ricordi familiari, la ricostruzione dei fatti nel tempo aiutano gli alunni a sentirsi partecipi della storia che loro stesso contribuiscono a narrare. Per capire il passato, non serve dunque conoscere a memoria le cronologie, ma andare alla ricerca delle esperienze vissute dalle persone.
Se oggi possiamo leggere e apprezzare Se questo è un uomo, dobbiamo tutto ciò a un operaio piemontese, Lorenzo Perrone, che partito volontario come lavoratore nel terzo Reich, nell’ambito di un accordo italo-tedesco, giunse ad Auschwitz dove nel giugno 1944 incontrò Primo Levi. Perrone, in qualità di muratore civile, portò all’interno del campo di concentramento, di nascosto, per sei mesi, rischiando la vita, litri di zuppa, salvando Primo Levi da morte certa.
Un uomo di poche parole è il libro in cui Mario Greppi ha ricostruito l’esistenza di questo sconosciuto «salvatore» di vite umane dallo sterminio nazista.
La storia locale è solo in apparenza un «mondo piccolo». Giovannino Guareschi ce lo ha insegnato molto bene!
8. Il piano di fattibilità
La costruzione delle conoscenze essenziali della storia del XX secolo può essere organizzata tenendo presenti quattro fasce di possibili destinatari:
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un primo livello di intervento è quello dei bambini nella fascia di età 4-8 anni; in questo arco di tempo si dovranno privilegiare processi operativi finalizzati a contestualizzare le esperienze, utilizzando percorsi didattici che riguardano la vita reale dei bambini stessi;
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in un secondo livello (9-11 anni) si incominciano ad affrontare alcuni fatti del Novecento, facendo perno sulle ricorrenze che ogni anno vengono ricordate (4 novembre; giorno della memoria; giorno del ricordo; 25 aprile; 2 giugno, ecc.). Potranno, inoltre, essere approfonditi episodi locali, che vengono celebrati in tutte le nostre realtà territoriali;
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in un terzo step, quello dagli 11 ai 14 anni, si iniziano ad approfondire i temi rappresentativi di questo secolo (la prima guerra mondiale; il problema dei reduci; la nascita del fascismo; la dittatura; la guerra d’Etiopia; le leggi razziali; la seconda guerra mondiale; il periodo resistenziale; la nascita della Repubblica; l’approvazione della Costituzione, ecc.);
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nell’ultima fase, quella che coinvolge gli studenti della scuola secondaria di secondo grado (14-19 anni), soprattutto negli ultimi due-tre anni di corso, si possono cominciare ad affrontare in maniera critica e riflessiva gli eventi che hanno caratterizzato il recente passato. Si pensi all’importanza della caduta del muro di Berlino (1989), all’attacco alle Torri Gemelle (2001), alle guerre in Afghanistan, in Iraq, in Siria e oggi in Ucraina e nel conflitto israelo-palestinese.
Le tematiche sopra richiamate potranno essere inserite in un curricolo verticale ricavandole in parte dal monte ore annuale dell’insegnamento dell’educazione civica, indicativamente 10-12 ore per ogni anno scolastico: dal primo anno della scuola primaria all’ultimo della secondaria di primo grado circa 80-100 ore di attività.
Un tema che dovrà essere ricorsivamente affrontato nel corso degli anni è quello dell’antisemitismo che risulta trasversale a tutte le problematiche della storia degli ultimi secoli (ma anche prima). È un obiettivo, tra l’altro, più volte ricordato dalle stesse note ministeriali.
Conoscere è assolutamente necessario. La Shoah, il progetto di sterminio sistematico degli ebrei, non è un avvenimento storico qualunque. Ha colpito e offeso l’intera umanità ed è avvenuta nel cuore della civilissima Europa (Miur, Linee guida sulla Didattica della Shoah, marzo 2018).
Lo scontro in atto tra il governo israeliano, Hamas e altri Stati arabi (in primis, l’Iran) costituisce un ulteriore motivo per «attenzionare» questo specifico tema.
9. Per un curricolo della Repubblica
Il percorso sopra rappresentato potrebbe riguardare un periodo preciso della recente storia italiana, quello che si è snodato dal 1945 al 1948. Si tratta della svolta radicale dell’Italia che rappresenta uno dei momenti più straordinari e importanti dall’Unità (1861).
La fine della guerra, la difficile reinvenzione di un nuovo assetto istituzionale, il superamento della dittatura fascista, la nascita dei partiti politici, le condizioni di vita di molta popolazione ridotta alla fame, ecc., costituiscono una fase della storia del popolo italiano caratterizzata da un fermento e da un desiderio di partecipazione che in precedenza non si erano mai visti.
Innanzitutto occorreva liberarsi dagli ordinamenti liberticidi della dittatura del Ventennio e creare una stagione totalmente nuova, diversa anche dal liberalismo che aveva connotato i governi prefascisti.
In coincidenza con la ricorrenza dell’ottantesimo anniversario (2026-2028) di queste date simboliche, in ogni scuola, dall’infanzia all’istruzione di secondo grado, i docenti potranno progettare e realizzare moduli didattici, possibilmente multidisciplinari in cui vengono approfondite specifiche tematiche.
Alla scuola, si offre una preziosa opportunità di esaminare, approfondire, studiare pezzi della storia d’Italia, spesso ignorati, e che richiedono una completa rivalutazione.
Il «curricolo della Repubblica» può diventare un percorso formativo per insegnanti (e implicitamente per gli alunni) della durata di un triennio-quadriennio 2025-2028, prendendo in esame i principali eventi che sono avvenuti in ogni annualità del periodo della rinascita del nostro Paese.
Come già sottolineato, i destinatari del corso formativo sono i docenti della «scuola di base» (senza escludere i professori dell’istruzione superiore), infanzia, primaria e secondaria di I grado, e potrà essere organizzato in parte con modalità tradizionali (lezioni da parte di figure esperte) e in parte con attività laboratoriali.
Lo schema potrebbe essere il seguente:
Tabella 1
Schema per un curricolo della Repubblica
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Anno |
Lezioni frontali (non solo) |
Laboratori |
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1946 |
Il referendum del 2 giugno Le donne dell’Assemblea costituente L’organizzazione dei lavori dell’Assemblea |
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1947 |
I problemi dell’elaborazione del testo della Costituzione Alcune parole chiave: democrazia, diritti-doveri, bene comune, ecc. L’approvazione e la promulgazione della Carta Costituzionale |
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1948 |
L’entrata in vigore della Costituzione Le elezioni del 18 aprile 1948 L’elezione del primo Presidente della Repubblica Italiana |
Le attività di laboratorio verteranno sullo studio di situazioni-problema, sull’esame di specifici temi (ad esempio, dalle leggi razziali del 1938 all’Olocausto), sull’approfondimento delle parole-chiave della Costituzione, su personaggi ed episodi della storia locale. Potranno essere progettate facendo riferimento all’età degli alunni, utilizzando (volendo) la tecnica anglosassone delle «5 w» («Five Ws»):
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«what?» (che cosa è avvenuto? che cosa stiamo indagando?);
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«who?» (chi è che ha fatto quel «che cosa»?);
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«where?» (dove quel «chi» ha fatto quel «che cosa»?);
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«when?» (quando quel «chi» ha fatto quel «che cosa»?);
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«why?» (perché quel «chi» ha fatto quel «che cosa»?).
Si possono mettere in campo molteplici strategie didattiche, dal focus group, al lavoro di coppia, apprendimento cooperativo, in un’ottica di una didattica per problemi e progetti. Si pensi all’efficacia di strategie costruttive soprattutto nell’approfondimento della visione di filmati, dell’esame di parole chiave della Costituzione: uguaglianza, democrazia, sovranità, rispetto del patrimonio, bene comune, ripudio della guerra, ecc.
Alunni e insegnanti potranno dare vita ad attività di Service Learning, in cui si impara ad apprendere e servire insieme. Si pensi alla manutenzione di luoghi pubblici, di cippi, installazioni, ecc., che ricordano episodi importanti della storia locale. Attività che costituiscono la chiave di volta della formazione dei ragazzi.
Bibliografia di riferimento
Bloch M. (2009), Apologia della storia o mestiere di storico, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi.
Flores M. (2002), Il secolo mondo. Storia del Novecento, Bologna, Il mulino.
Galli della Loggia E. e Perla L. (2023), Insegnare l’Italia. Una proposta per la scuola dell’obbligo, Brescia, Editrice Morcelliana.
Guarracino S. (2012), Le questioni dell’insegnare storia. In P. Bernardi e F. Monducci (a cura di), Insegnare storia. Guida alla didattica del laboratorio storico, Torino, Utet.
Guasti L., (2009), Standards di contenuto nella scuola di base, Un’esperienza di ricerca a Reggio Emilia, Trento, Erickson.
Rondanini L. (2009), Introduzione. In L. Guasti (2009), Standards di contenuto nella scuola di base, Trento, Erickson.