Indice
1. Il rilancio dell’autonomia
Un tentativo di rilancio dell’autonomia scolastica è avvenuto anche con la legge n. 107 del 13 luglio 2015, Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti. Composta da un unico articolo suddiviso in 212 commi, la legge si pone come finalità generale quella di un rilancio dell’autonomia scolastica:
Art. 1, comma 1.
1. Per affermare il ruolo centrale della scuola nella società della conoscenza e innalzare i livelli di istruzione e le competenze delle studentesse e degli studenti, rispettandone i tempi e gli stili di apprendimento, per contrastare le diseguaglianze socio-culturali e territoriali, per prevenire e recuperare l'abbandono e la dispersione scolastica, in coerenza con il profilo educativo, culturale e professionale dei diversi gradi di istruzione, per realizzare una scuola aperta, quale laboratorio permanente di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica, di partecipazione e di educazione alla cittadinanza attiva, per garantire il diritto allo studio, le pari opportunità di successo formativo e di istruzione permanente dei cittadini, la presente legge dà piena attuazione all'autonomia delle istituzioni scolastiche di cui all’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, anche in relazione alla dotazione finanziaria.
La legge, che ha costruito il suo disposto intorno ad alcune priorità conseguenti all’applicazione della Sentenza della Corte di Giustizia europea per il superamento del precariato, è intervenuta su una miriade di ambiti che potremmo ricondurre alle seguenti tematiche:
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l’autonomia delle istituzioni scolastiche ed educative;
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il sistema di istruzione e formazione;
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il personale della scuola;
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le funzioni del Dirigente scolastico;
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le studentesse e gli studenti;
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la scuola digitale;
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il rapporto tra scuola, orientamento e mondo del lavoro;
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la sicurezza a scuola;
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alcuni aspetti finanziari;
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le deleghe al Governo.
Tra gli aspetti più rilevanti della legge sono rientrate le deleghe per il riordino di alcuni ambiti del nostro sistema: i commi 180 e 181 hanno infatti invitato il Governo ad adottare entro diciotto mesi dalla pubblicazione della legge uno o più decreti legislativi per riordinare e semplificare le norme sull’istruzione e per coordinarle con la stessa legge n. 107/2015, nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi della legge n. 59/1997.
Le deleghe hanno riguardato nove ambiti:
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il riordino delle norme del sistema nazionale di istruzione e formazione;
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la formazione iniziale e l’accesso ai ruoli dei docenti nelle scuole secondarie;
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l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità;
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gli indirizzi e le articolazioni dei percorsi di istruzione professionale e il loro raccordo con quelli dell’istruzione e formazione professionale di competenza regionale;
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la creazione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei anni;
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il diritto allo studio;
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la cultura umanistica;
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le istituzioni scolastiche all’estero;
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la valutazione e la certificazione delle competenze degli studenti e gli esami di Stato.
2. Aspetti innovativi
La legge non è intervenuta sull’architettura del nostro sistema di istruzione e formazione, confermando il modello delineato dalla legge n. 53/2003 e dai provvedimenti Gelmini del 2010, riservandosi solo le deleghe per il sistema 0-6 anni e per quello dell’istruzione professionale. Ben più significativo è stato il suo impatto sull’autonomia delle istituzioni scolastiche in quanto ha innovato molti aspetti della routine scolastica.
La prima innovazione ha riguardato l’introduzione del Piano Triennale dell’offerta formativa (PTOF) che ha sostituito il precedente Piano annuale (POF) previsto dal Regolamento per l’autonomia del DPR n. 275/1999.
Il PTOF è diventato il documento che definisce l’identità culturale e progettuale di ciascuna istituzione scolastica; esso ha modificato la tempistica delle procedure, dando alla progettualità il più ampio respiro del triennio e consentendo di poter impegnare le risorse disponibili in quello stesso arco di tempo. Naturalmente, la gestione finanziaria delle attività scolastiche ha mantenuto la caratteristica dell’annualità in quanto è collegata al DEF (Documento di Economia e Finanza) nazionale che è, appunto, annuale. In realtà, la tempistica triennale ha consentito alle scuole di avere spazi di progettualità di maggior respiro, con la consapevolezza di contare su risorse certe e stabili su base triennale anche se con conferma annuale.
Anche per i dirigenti scolastici l’arrivo del PTOF ha comportato la modifica del loro rapporto con gli organi collegiali, in particolare con il Collegio dei docenti: la legge ha, infatti, previsto che il dirigente svolga sostanzialmente funzioni di indirizzo, mentre agli organi collegiali compete la redazione del PTOF sulla base degli indirizzi espressi dal dirigente.
Art. 1, comma 14.
4. Il piano è elaborato dal collegio dei docenti sulla base degli indirizzi per le attività della scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione definiti dal dirigente scolastico. Il piano è approvato dal consiglio d’istituto. Legge 13 luglio 2015, n. 107 - Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti.
Una importante innovazione è stata prevista per le risorse professionali delle scuole con l’istituzione dell’organico dell’autonomia definito, su base regionale, territoriale di ambito e di singole istituzioni scolastiche composto dall’organico di diritto, dai posti per il potenziamento e da quelli per il sostegno, comprensivi anche dei posti in deroga per la presenza di gravi situazioni di handicap.
Va sottolineato che, in realtà, l’introduzione dell’organico dell’autonomia non ha risolto completamente i problemi della scuola, in quanto le situazioni contingenti hanno spinto in molti casi verso un utilizzo improprio del personale in più: si pensi, ad esempio, all’emergenza della copertura delle assenze temporanee con personale già in servizio.
La legge ha introdotto nella struttura scolastica un altro livello per la titolarità dei docenti, quello dell’ambito, oggi definitivamente abbandonato a seguito del Contratto di mobilità 2019-2022. È stata indirettamente soppressa anche la potestà discrezionale per i dirigenti scolastici di chiamata diretta di docenti dell’ambito territoriale, con nomine triennali anche rinnovabili, su posti vacanti della propria scuola.
Art. 1, comma 79
A decorrere dall'anno scolastico 2016/2017, per la copertura dei posti dell'istituzione scolastica, il dirigente scolastico propone gli incarichi ai docenti di ruolo assegnati all'ambito territoriale di riferimento, prioritariamente sui posti comuni e di sostegno, vacanti e disponibili, al fine di garantire il regolare avvio delle lezioni, anche tenendo conto delle candidature presentate dai docenti medesimi e della precedenza nell'assegnazione della sede ai sensi degli articoli 21 e 33, comma 6, della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
Il provvedimento è stato finalizzato anche alla valorizzazione della figura dei dirigenti scolastici, ai quali è stata affidata anche la questione della premialità, coinvolgendo il Collegio dei docenti e il Comitato per la valutazione dei docenti, organismo rinnovato nelle funzioni e nella composizione rispetto al precedente modello dei decreti delegati.
La legge n. 107/2015 aveva modificato anche la formazione in sevizio dei docenti, definendola nell’art. 1 comma 124, obbligatoria, permanente e strutturale, riprendendo un principio già sancito nella legge dell’8 novembre 2013, n. 128, Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca. Tale scelta è stata sconfessata successivamente dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro.
Tra gli elementi qualificanti della legge è rientrata la possibilità delle istituzioni scolastiche di costituirsi in reti tra loro, con le altre realtà educative e con le comunità territoriali in cui esse operano; è lo stesso disposto normativo che ha stabilito che gli Uffici Scolastici Regionali dovranno promuovere la costituzione di reti nel medesimo ambito territoriale.
Le reti, che hanno avuto una loro prima costituzione entro il 30 giugno 2016, sono state finalizzate alla valorizzazione delle risorse professionali, alla gestione comune di funzioni e di attività amministrative, alla realizzazione di progetti o di iniziative didattiche, educative, sportive o culturali di interesse territoriale e nazionale. È stato previsto, come strumento per la realizzazione di tale prospettiva, quello degli accordi di rete nei quali sono individuati criteri, modalità per l’utilizzo dei docenti, forme di trasparenza delle decisioni e dei rendiconti delle attività svolte.
Comma 71.
Gli accordi di rete individuano:
a) i criteri e le modalità per l’utilizzo dei docenti nella rete, nel rispetto delle disposizioni legislative vigenti in materia di non discriminazione sul luogo di lavoro, nonché di assistenza e di integrazione sociale delle persone con disabilità, anche per insegnamenti opzionali, specialistici, di coordinamento e di progettazione funzionali ai piani triennali dell'offerta formativa di più istituzioni scolastiche inserite nella rete;
b) i piani di formazione del personale scolastico;
c) le risorse da destinare alla rete per il perseguimento delle proprie finalità;
d) le forme e le modalità per la trasparenza e la pubblicità delle decisioni e dei rendiconti delle attività svolte.
Nell’ambito di tali accordi, una notevole opportunità è costituita dalla possibilità di utilizzare insegnanti per coordinare la progettazione e la realizzazione del PTOF, favorire l’assistenza e l’integrazione sociale degli alunni disabili, realizzare insegnamenti opzionali e specialistici, svolgere attività di formazione.
La costituzione delle reti è destinata certamente a promuovere processi di trasferibilità delle buone pratiche tra le scuole; gli accordi pattizi e lo stesso meccanismo di governo di questa dimensione orizzontale dell’offerta scolastica sono destinati a sollecitare processi di miglioramento nell’educazione e nell’istruzione dei ragazzi.
La governance, in questa ottica, si concretizza nella capacità dei decisori politici e delle istituzioni di ciascun territorio, scuola compresa, di costruire dal basso una rete di servizi finalizzata a promuovere più significativi progressi della collettività.
Sia nelle Indicazioni nazionali del 2012 sia nella legge 107/2015 l’apertura della scuola al territorio con il pieno coinvolgimento delle realtà locali è fortemente sottolineata e ripetutamente ribadita.
Nel primo documento, poi ripreso nel documento di aggiornamento del 2018, si afferma che la scuola deve costruire un’alleanza educativa con i genitori aprendosi alle famiglie e al territorio utilizzando proprio gli strumenti forniti dall’autonomia scolastica intesa come modo di concepire il rapporto delle scuole con le comunità di appartenenza, locali e nazionali.
Le esperienze virtuose delle attività di ricerca/azione condotte dalle reti di scuole, che in questi anni hanno lavorato alla diffusione delle Indicazioni, testimoniano che la formazione tra pari, lo sviluppo condiviso di pratiche e culture generano proficui risultati e durevole cambiamento. Si auspica pertanto che venga incoraggiata, anche nella pianificazione delle reti di ambito, la formazione tra pari mediante unità formative di ricerca/azione che vedano il concorso di docenti di gradi di scuola diversi del primo ciclo ed eventualmente, anche del secondo (Indicazioni Nazionali, 2018).
Nel secondo documento, riprendendo i principi delle Indicazioni, si sottolinea il fatto che l’organico dell’autonomia diventa fondamentale per la valorizzazione della scuola intesa come comunità attiva, aperta al territorio in grado di sviluppare e aumentare l’interazione con le famiglie e con la comunità locale, comprese le organizzazioni del terzo settore e le imprese.
3. L’alternanza scuola-lavoro
Ritornando alle innovazioni introdotte dalla legge n. 107/2015, ricordiamo altri ambiti che essa ha regolamentato quali l’alternanza scuola-lavoro, art. 1, commi 33-44 della legge. È stata in questo senso stabilita una linea di demarcazione con le norme precedenti, a cominciare dalla legge n. 53/2003 e dal D.lgs. n. 77/2005, in cui si affermava che
i percorsi di alternanza sono progettati, attuati, verificati e valutati sotto la responsabilità dell’istituzione scolastica, sulla base di apposite convenzioni con le imprese o con le rispettive associazioni di rappresentanza.
Nelle norme successive, riferite all'obbligo d'istruzione, D.M. n. 139/2007, al riordino dell’istruzione secondaria di secondo grado, Linee guida degli Istituti Professionali e Tecnici, DPR n. 87/2010 e n. 88/2010 e alla legge 128 del novembre 2013, era stato previsto un ulteriore rafforzamento di questo dispositivo.
Con alcuni significativi cambiamenti era stata, infatti, incrementata la sua durata obbligatoria prevedendo almeno 400 ore nel triennio conclusivo degli Istituti Tecnici e dei Professionali e 200 ore nei Licei. I percorsi avrebbero potuto essere svolti non solo in contesti produttivi, ma anche presso servizi del terzo settore, musei, istituti pubblici e privati operanti negli ambiti delle attività culturali, artistiche, musicali, ambientali e gli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano).
Nella Guida operativa diffusa dal Ministero nell’ottobre del 2015, l’alternanza scuola-lavoro era indicata come una metodologia didattica per realizzare forme di apprendimento flessibili in grado di coniugare l’apprendimento formale in aula con quello operativo sul lavoro. La stessa Guida operativa affermava che tali attività rientravano nel monte ore annuale del progetto personalizzato, per cui avrebbero potuto essere organizzate, tutte o in parte, durante il normale orario del mattino oppure nei periodi di sospensione delle attività didattiche, anche all’estero.
Con il D.lgs. n. 62 del 16 maggio 2017, Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, si afferma che i percorsi di alternanza, in quanto inseriti nel Piano dell’offerta formativa triennale che assicurava l’unitarietà del progetto personalizzato, sarebbero risultati determinanti per l’ammissione all’esame conclusivo del secondo ciclo d’istruzione e che durante il colloquio il candidato avrebbe dovuto illustrare una breve relazione o un elaborato multimediale sulle esperienze realizzate nel triennio.
La legge n. 145 del 30 dicembre 2018 Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021, aveva ridefinito l’alternanza come Percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento (PCTO) e successivamente era intervenuto il D.M. n. 774 del 4 settembre 2019 che aveva definito le Linee Guida dei percorsi per le competenze trasversali per l’orientamento ai sensi dell’articolo 1, comma 785, legge 30 dicembre 2018, n. 145. Tali documenti avevano confermato la progettualità triennale dei PCTO e la loro obbligatorietà e avevano ridotto la durata del monte ore prevedendo negli istituti professionali e tecnici rispettivamente da 400 a 210 e 150 ore e nei licei da 200 a 90 ore.
Con la legge 24 febbraio 2023, n. 14, è stata stabilita dall’anno scolastico 2022/2023 la deroga permanente del requisito del PCTO per l’ammissione all’Esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione.
Più recentemente, la legge 3 luglio 2023, la legge n. 85 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48 che ha riguardato l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro in favore di lavoratori, imprese e famiglie ha apportato rilevanti modifiche anche all’organizzazione dei PCTO estendendo a tali attività la tutela assicurativa INAIL (Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) per gli studenti e per il personale del sistema nazionale di istruzione e formazione, della formazione terziaria professionalizzante e della formazione superiore in tutti gli ambienti scolastici. È stato anche istituito, presso il Ministero del lavoro delle politiche sociali, un Fondo per i familiari degli studenti deceduti, vittime di infortuni dopo il primo gennaio 2018 durante lo svolgimento di attività formative.
4. Luci e ombre della legge n. 107/2015
La legge n. 107/2015 ha costituito un importante passaggio finalizzato a risolvere alcune problematiche rimaste irrisolte per decenni nel nostro sistema d’istruzione: il riferimento è, in questo senso, alla necessità del rilancio dell’autonomia scolastica con l’introduzione del PTOF e dell’organico ampliato, al Piano straordinario delle immissioni in ruolo, alla formazione obbligatoria degli insegnanti, alla didattica laboratoriale, alla scuola digitale, alla valutazione dei dirigenti, all’alternanza scuola lavoro, all’edilizia scolastica.
Malgrado ciò, nella sua fase attuativa la legge non è riuscita a confermare le aspettative create, forse anche a partire dal titolo che a essa fu riconosciuto, la Buona Scuola, quasi a distinguerla da non si sa quale modello di scuola precedente. Il provvedimento, approvato solo con un voto di fiducia del Governo, aveva dato sin da subito l’impressione di una scelta quasi calata dall’alto ed eseguita in nome di una potestà burocratica che non si era posto il problema del coinvolgimento della scuola reale nella sua definizione e applicazione. Era stato facile, allora, pronosticare che la scuola avrebbe accolto il provvedimento con freddezza e, in vari casi, contrarietà, il tutto testimoniato da una non dichiarata indisponibilità di settori del mondo della scuola più volte all’epoca denunciate dallo stesso Governo. D’altra parte, la legge era stata presentata senza un dichiarato quadro pedagogico, per cui a molti era apparsa come un insieme di provvedimenti specifici per la soluzione di singoli problemi reali.
Non va dimenticato che la legge n. 107/2015 era stata preceduta da una serie di altri significativi interventi che nell’ambito di un quindicennio avevano modificato più volte lo stesso assetto del nostro ordinamento scolastico, impedendo di fatto la possibilità di un reale assestamento delle innovazioni: in quella fase si erano, infatti, succeduti il progetto della scuola di base di Berlinguer e De Mauro, la riforma di Letizia Moratti, l’intervento di Fioroni sulle Indicazioni, quello della Gelmini sugli organici, l’armonizzazione delle Indicazioni Nazionali del ministro Profumo.
Anche il tentativo di velocizzare i sistemi di reclutamento del personale della scuola non aveva avuto un risultato apprezzabile per le lungaggini con le quali si erano svolti i concorsi pubblici, anche imputabili al disservizio creato dalle commissioni alle quali era stato chiesto di lavorare a costo zero, determinando dimissioni a catena tra i membri e difficoltose sostituzioni. Per quanto poi riguardava il personale docente, l’immissione in ruolo di circa 100.000 insegnanti, collegata alla sentenza dell’UE di condanna dell’Italia per il precariato, aveva provocato il trasferimento di molti di questi dalle Regioni del Sud a quelle settentrionali dove si registrava una maggior disponibilità di posti vacanti. Quel meccanismo non aveva funzionato e un buon numero di insegnanti aveva tentato il rientro nella propria provincia d’origine ricorrendo a tutte le possibilità offerte dalle leggi, dall’avvicinamento alla famiglia alle assegnazioni provvisorie e altro. Tali disfunzioni hanno finito per minare una delle principali istanze della Buona Scuola, la stabilità dei docenti e la continuità dell’insegnamento, accentuando ulteriormente la precarietà dello stesso rapporto tra insegnanti e sedi di servizio assegnate.
Anche i meccanismi di valorizzazione del personale scolastico, che pure erano stati considerati punti di forza della legge, non avrebbero funzionato perfettamente: la carta elettronica per i docenti di ruolo dell’importo annuale di 500 euro e il riconoscimento del merito (cosiddetto bonus). Per la carta, i ritardi attuativi e l’assenza di una strategia di fondo avevano finito per vanificare i miglioramenti professionali, con il tutto che si era sostanzialmente ridotto all’acquisto di beni informatici non si sa a cosa effettivamente destinati.
Per quanto concerne il bonus, tale scelta aveva incontrato la diffidenza degli insegnanti nei confronti di riconoscimenti economici destinati a differenziarne le prestazioni: era già avvenuto nel 1999 con la proposta del concorsone dell’allora ministro Berlinguer che avrebbe dovuto collegare gli emolumenti maggiormente ad aspetti di qualificazione e di valorizzazione del merito dei docenti. Qualche difficoltà si era registrata anche per la valutazione dei dirigenti scolastici che sarebbe poi di fatto slittata all’anno scolastico 2017-2018.
Anche gli aspetti che pur avevano incontrato il maggior consenso del mondo della scuola come, ad esempio, l’adozione del PTOF triennale, nella fase attuativa non erano riusciti a superare del tutto tradizionali vincoli amministrativi legati ai finanziamenti del Fondo dell’istituzione scolastica che ha conservato la sua dimensione annuale se pur su base progettuale anche triennale.
Le critiche non avrebbero risparmiato neppure molti aspetti dei decreti attuativi previsti dalle deleghe.