La disprassia verbale in età evolutiva

Che cos’è, quali sono le sue caratteristiche e quanto è diffusa

La disprassia verbale in età evolutiva

Tra i disturbi dell’acquisizione del linguaggio, la disprassia verbale evolutiva (DVE) rappresenta un quadro clinico di particolare complessità. Questo disturbo, denominato nella letteratura anglosassone Childhood Apraxia of Speech (CAS), è definito dall’ASHA - l’American Speech Language Hearing Association - come «disordine dell’articolazione dei suoni, sillabe e parole in cui la precisione e la sistematicità nella produzione articolatoria risultano compromesse in assenza di deficit neuromuscolari e di anomalie strutturali a carico dell’apparato bucco-fonatorio».

Come specificato dall’ASHA, la disprassia può essere idiopatica, in assenza di cause identificabili, o secondaria a patologie neurologiche note. Ugualmente, essa può ricorrere come forma pura o associata a disturbi di programmazione motoria a carico di altri distretti corporei (disprassia manuale, oculo-motoria, ecc.) o al disturbo specifico di coordinazione motoria. Per quanto riguarda l’ambito oro-buccale, difficoltà a questo livello sono spesso associate alla disprassia verbale, soprattutto nei bambini più piccoli.

La diffusione

I dati epidemiologici sulla prevalenza della DVE sono ancora scarsi, seppure sia riferita un’incidenza inferiore rispetto ad altri disturbi fono-articolatori e linguistici. Nella popolazione generale, la prevalenza stimata è di 1-2 bambini su 1000. La prevalenza cambia se si esamina una popolazione clinica: in uno studio condotto presso un grande ospedale metropolitano americano su un ampio numero di bambini valutati per ritardo dello speech e del linguaggio, la DVE risulta presente nel 4,3% dei soggetti.

Le caratteristiche 

Non esiste una singola caratteristica che possa differenziare la disprassia verbale dagli altri disturbi fonetico-fonologici. L’ASHA evidenzia tre sintomi cardine:

  1. Produzione di errori inconsistenti (o «erratici»: che variano, cioè, da una realizzazione all’altra), a carico sia del sistema delle vocali che delle consonanti.L’inconsistenza fonologica è caratterizzata dalla produzione, per un medesimo target fonologico, di realizzazioni tra loro differenti che non risultano funzionali a un’approssimazione progressivamente migliore del bersaglio. Ad esempio, lo stesso soggetto può produrre il vocabolo «pettine» come pette, pe(.)tte(.)ne, petta, e la parola «mano» come mane, mana, ma(.)no.

  2. Alterazione delle transizioni coarticolatorie (all’interno della sillaba, tra suono e suono e al livello della frase, tra sillabe e parole); I bambini con DVE presentano particolari difficoltà nell’organizzazione delle configurazioni articolatorie iniziali e nella transizione dinamica dei movimenti articolatori per produrre sequenze di suoni e parole.Nelle prime fasi dello sviluppo, tale aspetto può determinare l’uso preferenziale di un unico suono prolungato o di un ristretto insieme di vocalizzazioni ricorrenti (ad esempio: jé, jò).

  3. Alterazione della prosodia, della velocità, dell’intonazione e del ritmo dell’eloquio.

    L’eloquio del bambino disprassico risulta caratterizzato da alterazioni diffuse a vari livelli. Si osservano, in particolare, alterazioni nel ritmo. Queste sono caratterizzate dal prolungamento dei foni e delle pause tra foni, sillabe e parole e danno all’ascoltatore l’impressione di un «eloquio staccato» (segregazione sillabica). Altra caratteristica della prosodia nella DVE è l’accentazione atipica, con anomalie nel rapporto tra sillabe forti (accentate) e deboli e nell’assegnazione dell’accento sia al livello della singola parola (ad esempio «zaìno») sia a quello dell’enunciato. Il risultato è un eloquio monotono, generalmente caratterizzato da riduzione di velocità, ritmo e fluenza. Si associano, talvolta, alterazioni del timbro della voce con ipo- o iper-nasalità.