Riscoprire il Relativismo Linguistico: l’Ipotesi di Sapir-Whorf nella società contemporanea

Riscoprire il Relativismo Linguistico: l’Ipotesi di Sapir-Whorf nella società contemporanea

Della controversa Ipotesi di Sapir-Whorf hanno discusso in tanti e a lungo. Se i filosofi si sono posti domande esistenziali quali “Pensiamo come parliamo o parliamo come pensiamo?”, i neuroscienziati hanno tentato di individuare differenze nei pattern neurali di parlanti di lingue diverse, mentre i linguisti si sono dibattuti strenuamente tra universalismo e relativismo.

Peraltro, negli ultimi tempi l’Ipotesi di Sapir-Whorf è riuscita a varcare i suoi stessi confini, guadagnandosi anche l’interesse di ambienti distanti dall’accademia, come il cinema.

Senza dubbio, di Sapir-Whorf si continua ancora a parlare: ma per quale ragione, con quali propositi?

Al giorno d’oggi, e al netto di decenni di ricerca, sembra necessario fare un passo indietro e interrogarsi non tanto sulle questioni astratte e meramente teoriche dell’Ipotesi, bensì sui risvolti concreti che questa potrebbe avere in una realtà altra rispetto a quella in cui si è sviluppata: la nostra.

Questo contributo intende dunque indagare quale può essere il contributo di una dottrina spesso considerata “più seduttiva che istruttiva” nel mondo multiculturale e multilinguistico che ci troviamo ad abitare, e da lì poi ripartire (Bloom and Keil, 2001).

Relativismo Linguistico e Ipotesi di Sapir-Whorf: cominciamo con una definizione

Ciò che comunemente definiamo “relativismo linguistico”, dovrebbe in realtà essere concepito come un umbrella term per un movimento avviato in epoca romanica e sempre legato ai contesti in cui si è declinato.

I primi relativisti intendevano reagire alla supremazia - tipicamente illuminista - della ratioliberando la lingua dal giogo del pensiero. Più avanti, a partire dal contributo dell’antropologo Franz Boas, una seconda generazione di relativisti dà via ad un processo di protezione e rivendicazione delle lingue dimenticate, sfaccettatura del relativismo spesso relegata ai margini della letteratura scientifica.

Intorno alla metà del secolo scorso, all’interno della dottrina relativista si impone un’ipotesi, che diviene poi manifesto della dottrina stessa e finisce per fondersi, seppur erroneamente, con il relativismo linguistico: è l’Ipotesi di Sapir-Whorf. Anche conosciuta come Ipotesi della Relatività Linguistica, essa viene tuttora a coincidere con il punto più alto del relativismo in linguistica e a incarnare l’acme di un processo travagliato che ha conosciuto accettazione e rifiuto, acclamazione e condanna.

Volendo generalizzare, si potrebbe affermare che le voci relativiste hanno sostenuto e continuano a sostenere fermamente l’influenza della lingua sulla cognizione, o, come si suole spesso affermare, “sul pensiero”, smussando pilastri solidissimi della linguistica dell’ultimo secolo (Lucy, 2005).

Le lingue: arma o dono?

Negli anni, i relativisti hanno tentato strenuamente di elevare la lingua da mero mezzo di accesso al pensiero a strumento attraverso cui il pensiero prende forma. Non sarebbero tanto il pensiero o i costrutti socioculturali a dare forma alla lingua, dunque, bensì la lingua a “programmare” il modo in cui i parlanti pensano ed interagiscono con e nel mondo.

Quasi come fosse un’equazione matematica, se è vero che le lingue esercitano un’influenza sulla cognizione, le discrepanze tra le lingue innescherebbero modi diversi di percepire la realtà circostante. Secondo questa postura, la lingua inciderebbe anche su altre attività cognitive, come ad esempio la memoria, o su categorie apparentemente universali, come il tempo e lo spazio.

Una posizione di questo tipo, però, ha finito troppo spesso per essere fraintesa, diffondendo piuttosto la supposizione secondo cui il semplice fatto di parlare lingue diverse costituirebbe un limite alla comprensione tra parlanti di lingue diverse. Volendo dare credito a questa postura, le lingue sarebbero portatrici di prospettive inconciliabili dalle quali guadare al mondo e agirebbero come un’arma minacciosa e divisoria.

Inoltre, nella constatazione della diversità interlinguistica - che è invece comune denominatore per i relativisti - molti critici hanno preferito leggere gerarchie linguistiche e cognitive. L’esistenza di lingue più complesse di altre nel lessico, nella morfologia o nella sintassi, per l’appunto, è stata spesso sufficiente a giustificare la credenza secondo la quale vi fossero modi di pensare più strutturati di altri, e quindi più degni di nota, tradendo in questo modo l’essenza più autentica della proposta relativista.

Oltre la lingua e la cognizione: accettazione e difesa della diversità linguistica e culturale

Solo guardando al contributo dei padri del relativismo, però, sembra evidente che l’Ipotesi relativista sia sorta piuttosto per destabilizzare, partendo proprio dalle lingue, quelle certezze socioculturali di stampo etnocentrico che hanno a lungo segnato il Vecchio Mondo (Ellingsworth, 1992).

Come i suoi precursori Herder, Boas e Sapir, anche Whorf era guidato da un interesse genuino per quelle lingue ‘dimenticate’ che deviavano dal “discorso” eurocentrico, e credeva nel valore della diversità etnolinguistica.

Lo stesso studioso aveva affermato che “una fase più ampia della fratellanza tra gli uomini” poteva essere raggiunta solo accettando e proteggendo la diversità interlinguistica. In questo modo, si era fatto portavoce ante litteram di quello che Fishman avrebbe poi definito “Whorfianismo del terzo tipo”, per cui, le differenze tra le lingue non sarebbero un’arma, bensì un dono (Whorf, 1941 in Carroll, 1959:263; Fishman, 1982).

Conclusioni

L’ipotesi relativista, insieme alle sue oggi numerose declinazioni, sembra essere ancora accolta da sguardi scettici e diffidenti. Ciò su cui è necessario insistere, tuttavia, è proprio un ritorno agli obiettivi primordiali della dottrina, i quali, paradossalmente, si sposano con valori tutti contemporanei.

Il Relativismo, infatti, nasce come promotore di forme di mutuo rispetto ed intercomprensione tra parlanti di lingue diverse, i quali, nell’incontro con l’Altro, finiscono per indossarne i panni linguistici e cognitivi, raggiungendo consapevolezze più profonde sul piano linguistico, socioculturale e anche umano.

Nella ferma convinzione che le lingue siano un “dono umano unico” (Boroditsky, 2009), ponte tra culture e non ostacolo, l’Ipotesi di Sapir-Whorf sembra suggerirci, prima di ogni tecnicismo, che apprezzare il ruolo che le lingue stesse ricoprono nel costruire la nostra vita mentale potrebbe contribuire in maniera significativa a comprendere la più ampia natura dell’umanità e a promuovere quell’uguaglianza tanto ambita dai suoi sostenitori (Whorf, 1941 in Carroll, 1959; Boroditsky, 2009).

Bibliografia

BLOOM, P., & KEIL, F. C. (2001)., “Thinking through language”, Mind & language, 16(4), 351-367.

BORODITSKY, L., (2009), “How does our language shape the way we think”, What’s next, 6, 116-129.

ELLINGSWORTH, H. W., (1992), “The shadow of Benjamin Lee Whorf: Continuing issues in linguistic relativism”, Intercultural Communication Studies, 2(2), 43-59.

FISHMAN, J. A., (1982), “Whorfianism of the third kind: Ethnolinguistic diversity as a worldwide societal asset (The Whorfian Hypothesis: Varieties of validation, confirmation, and disconfirmation II)”, Language in society, 11(1), 1-14.

LUCY, J. A., (2005), “Through the window of language: Assessing the influence of language diversity on thought”, Theoria: an international journal for theory, history and foundations of science, 20(54), 299-310.

WHORF, B. L., (1959), Language, Thought, and Reality: Selected Writings of Benjamin Lee Whorf, Carroll, J. B., Levinson, S. C., & Lee, P. (eds), Cambridge, The MIT Press. [First edition:1956].