Insieme contro l’errore: valutazione e alleanza

Come valutare ottenendo autenticamente il meglio da ogni alunno

Insieme contro l’errore: valutazione e alleanza

Se un insegnante dà a un ragazzo un voto basso, ma gli dice: «D’accordo, abbiamo preso 4, cosa vogliamo fare adesso? Cerchiamo di togliere questi errori insieme?», passa dal ruolo di giudice a quello di alleato. Per fare questo non ci vogliono schede, non ci vogliono libri. Ci vuole consapevolezza professionale, coscienza di come si insegna, di come si segna in, di come si mette il segno dentro l’Io.

Ma è possibile dare un voto, a maggior ragione un voto basso, senza ergersi a giudice accusatore? Voglio specificare bene questo aspetto per evitare di generare un equivoco: 

essere un alleato non significa astenersi dal misurare i risultati scolastici di un allievo.

La valutazione: misura, non giudizio 

Io non sono paladina di una scuola «facile», semplificata, ma di un sistema di didattica e valutazione capace di ottenere autenticamente il meglio: se non riesce a trarre un miglioramento di competenze che sia realmente radicato negli studenti, allora la scuola è un bluff.

Per dimostrare quanto sia importante porsi nel giusto ruolo di fronte al rendimento di un allievo tengo a ricordare le parole di Luca, 10 anni, che si dipinge così: «Mi batte forte il cuore che vuole uscire dalla testa. Perché a me i pensieri fanno ansia quando non li faccio uscire». Questa frase descrive un bambino «ingozzato» di nozioni tanto quanto di angoscia: lui apprende, l’insegnante valuta, poi gli fornisce un’altra informazione da memorizzare, quindi verifica, in un ciclo continuo. Questo saturare e valutare, a mio avviso, non è ciò che dovrebbe fare un maestro. 

Ora, la valutazione oggettiva del rendimento è un processo introdotto nella scuola come garanzia di una misura equa, che metta proprio al riparo dal giudizio soggettivo.

Il presupposto è che misurare sia giusto, giudicare sia controproducente; dunque il principio di misura deve essere utilizzato per comprendere dove l’allievo ha bisogno di supporto, non deve essere sfruttato per giudicare un allievo ancor più severamente di quanto si farebbe se una valutazione standardizzata non fosse prevista.

Il giudizio svalutante è controproducente non solo perché non aiuta affatto a «togliere l’errore», ma perché genera una vera e durevole sofferenza. Quella che troviamo nelle parole di Claudio, per esempio: «Il mio ricordo più duro è quando mia madre si è messa a piangere fuori dalla clinica (ero dislessico grave, discalculico e disprassico con disturbi di comportamento). Ricordo che mi sarei dato fuoco lì, piuttosto che tornare a scuola».

È così che dovrebbe sentirsi uno studente? Come Claudio, o magari come Anna che ricorda: «Le lettere mi giravano in testa e i numeri mi facevano più paura degli zombie e dei fantasmi. Ma le urla… le urla: “Cretina, stupida, ignorante… idiota, menomata”… Sono ancora oggi il mio dolore sconfinato».

Non è forse evidente il passaggio dall’errore alla sofferenza? E che cosa determina il malessere: dimenticare le doppie o sentirsi giudicati negativamente per questo sbaglio?

Questo testo è tratto dal libro "Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere" di Daniela Lucangeli.