Il sostegno che vorrei…

Ho scritto un libro: Il sostegno è un caos calmo e io non cambio mestiere. Dopo anni penso la stessa cosa: non cambio mestiere! Ma adesso, quello che vorrei è che a cambiare fosse lui, il mio mestiere.

Il sostegno che vorrei…

Il sostegno che vorrei è un sostegno diverso, evoluto, organizzato

È l'organizzazione la chiave di volta per migliorare le cose, per migliorare l'inclusione scolastica.

Il sostegno che vorrei è con la porta dell'aula di classe sempre aperta

Con dinamismo e scambi continui. Un sostegno diffuso. Per dirla come il professor Canevaro e il professor Ianes: “Non più sostegno, ma sostegni”.

Sostegni! A cominciare dai dirigenti scolastici, che diventino finalmente i veri garanti di una organizzazione inclusiva in cui non esista più la delega del problema ad un solo insegnante, ma in cui tutti i docenti si sentano parte e responsabili di un percorso condiviso che riguarda tutti gli alunni della classe. Senza lasciare mai indietro nessuno. Nemmeno uno soltanto.

Il sostegno che vorrei è, appunto, quello degli insegnanti del consiglio di classe, tutti!

Che finalmente sappiano come muoversi perché hanno preso in carico il problema. Perché conoscono le tecniche operative di facilitazione e di semplificazione e non dimenticano mai che gli alunni della loro classe sono venticinque. Non uno di meno.

Il sostegno che vorrei è quello dei genitori dei nostri ragazzi

Che ci diano dei consigli e che ci dicano chiaramente, senza remore, cosa secondo loro non va nel nostro modo di lavorare. Che non chiedano un'ora in più di sostegno, come fosse la soluzione di tutti i problemi, che non inseguano più quella minaccia all'inclusione rappresentata dalla “copertura totale dell'orario scolastico”. Genitori che si mettano in fila nel giorno di ricevimento delle famiglie per parlare con l'insegnante di italiano e con quello di matematica, con quelli di inglese e di educazione fisica. Tanto con l’insegnante di sostegno ci parlano già praticamente ogni giorno. Genitori che portino i loro figli a scuola e li lascino da noi, sereni. Convinti che quello in cui li accompagnano è il posto giusto e utile per i loro bambini e ragazzi.

Il sostegno che vorrei è quello dei compagni di classe

Che molto spesso sanno meglio di tutti cosa e come fare, che hanno idee, che sono empatici, che non hanno pregiudizi. Basta lasciarli fare, i compagni, stimolarli e lasciare libere le loro idee geniali e funzionali.

Il sostegno che vorrei è quello dei nostri ragazzi

Perché dai loro sorrisi e dalle loro parole non si finisce mai di imparare. Soprattutto si può imparare cos’è che rende piena l’inclusione scolastica. Quello che segna la differenza tra una compresenza passiva e una vera inclusione, sono le attività. Non si costruisce un percorso didattico inclusivo facendo cose completamente diverse, ma adattando, facilitando e semplificando i contenuti comuni, magari fino all'osso se necessario, fino all'essenziale. È importante lavorare sugli stessi obiettivi e contenuti, anche se con modalità e strumenti differenti.

Il sostegno che vorrei è quello del dopo

Del dopo la scuola. Perché la scuola, nel bene o nel male, non chiude mai la porta a nessuno. Ma dopo? Cosa c'è dopo per i nostri ragazzi con autismo, con sindrome di down, con deficit cognitivo grave? Vorrei un sostegno del progetto di vita in cui la società sia accogliente, inclusiva. Ma che lo faccia sul serio! Che si sforzi di trovare strategie e tecniche per occupare, impegnare, inserire nel mondo del lavoro, sviluppare abilità che diano possibilità reali e concrete di piena autonomia. Una società inclusiva che non spinga più le famiglie a chiedere alla scuola di tenere i propri figli fino a 20 anni e oltre. Che non sia causa di regressione in persone che nella scuola hanno fatto sensibili e costanti progressi.

Il sostegno che vorrei è convincere anche me che bisogna cambiare

Perché a volte, magari in buona fede, sono stato proprio io un ostacolo al cambiamento. Convincere me, insegnante di sostegno! Convincermi che io non sono indispensabile. E tutte le volte che mi sono sentito indispensabile ho creato una barriera all'inclusione. Tutte le volte che, magari con intima soddisfazione, ho ascoltato un genitore dire: “Siamo stati fortunati, quest'anno il sostegno è andato bene!”, ho creato una barriera tra quei genitori e gli insegnanti di classe del loro figlio. Forse li ho distolti dalla loro legittima aspettativa che tutti gli insegnanti si occupassero del loro figlio. Sentendomi indispensabile ho accettato una delega e ho accettato di legare l’inclusione alla fortuna o alla sfortuna e non a una coerente ed efficace organizzazione didattica di aiuti e sostegni.

Il sostegno che vorrei è sul campo e mai dietro una scrivania

Non è un lavoro di consulenza, ma di sudore in classe tra i banchi, gomito a gomito con i colleghi. È un gioco di contatto, forte, presente, ma nello stesso tempo discreto e leggero, mai invasivo, e che piano piano si attenua, fino a diventare quasi invisibile e a sparire, se è possibile.  È un sostegno in cui sono protagonisti tutti, non uno solo, e gli interventi di aiuto sono distribuiti. I sostegni, appunto.

Un altro sostegno è possibile. È necessario, è addirittura indispensabile, oggi!
Il sostegno è un caos calmo ed è arrivato il momento di cambiarlo, questo mestiere.
E allora facciamolo! 

Il sostegno che vorrei, Carlo Scataglini