Attraverso un’analisi che intreccia riflessioni sociologiche, psicologiche e spirituali, in quest’ultima opera Scartati, l’autore invita a interrogarsi su cosa significhi realmente rispettare chi è fragile e vulnerabile. Docente di Metodologia del lavoro sociale all’Università Cattolica di Milano e figura di riferimento nel panorama accademico nell’ambito del social work, Folgheraiter ha dedicato la sua carriera alla ricerca di un approccio relazionale alla cura. Tra le sue opere principali, come Fondamenti di Metodologia Relazionale (2011), Manifesto del Relational Social Work (2018) e Relational Theory in Social Work: Phenomenological Foundations (edito negli Stati Uniti da Cognella nel 2024), emerge una costante: il rispetto come cuore pulsante di ogni relazione di aiuto.
Il paradigma del rispetto: una sfida continua
Simone de Beauvoir affermava provocatoriamente: «I vecchi sono degli esseri umani? A giudicare dal modo con cui sono trattati nella nostra società, è lecito dubitarne». Questo interrogativo, citato da Folgheraiter nelle prime pagine del saggio, è il punto di partenza per riflettere su una cultura che, spesso, relega anziani e fragili al ruolo di “scarti”. È evidente come la società contemporanea, spinta da logiche utilitaristiche e performative, tenda a valorizzare l’efficienza e a disprezzare la debolezza.
Ma il rispetto, sostiene Folgheraiter, non può essere una concessione condizionata alla vitalità o alla funzionalità delle persone. Al contrario, esso deve nascere da una visione più profonda e matura, che riconosca il valore intrinseco dell'essere umano al di là delle sue condizioni contingenti.
I limiti dei modelli tradizionali
L’autore analizza quindi due paradigmi ricorrenti nelle pratiche di cura: il modello efficientista e quello welfarista.
- Il modello efficientista, osserva Folgheraiter, è guidato da un’ammirazione per l’“invecchiamento attivo”, in cui l’anziano è rispettato nella misura in cui rimane produttivo e autosufficiente. «Apprezziamo gli anziani quando assomigliano ai giovani», sottolinea ironicamente l’autore, denunciando un atteggiamento che celebra solo coloro che mostrano “gagliardia”. Ma cosa succede, si chiede, quando la vitalità svanisce? Quando una persona non può più nascondere i segni della fragilità? «Ponendo come criterio ideale la salute del giovane, siamo forzati a riformulare come specularmente penosa la decadenza», aggiunge, evidenziando il rischio di trattare i fragili come oggetti, privi di dignità autonoma.
- Il modello welfarista, invece, si fonda su un’etica di diritti e doveri. Qui gli anziani sono tutelati non tanto per il loro valore intrinseco, quanto per un obbligo giuridico e deontologico. Tuttavia, questo approccio spesso genera una forma di rispetto “di facciata”, che non coinvolge emotivamente gli operatori. «Il rispetto rischia qui di scadere a surrogato di sé stesso», scrive Folgheraiter, sottolineando come questo paradigma, pur più inclusivo, rischi di trasformare la dignità in una concessione paternalistica.
Entrambi i modelli, secondo l’autore, soffrono di una visione unidirezionale che impedisce una relazione autentica tra operatore e assistito.
Il paradigma relazionale: verso una reciprocità autentica
Folgheraiter propone un superamento di questi modelli attraverso il paradigma relazionale, che riconosce nella vulnerabilità un’occasione di incontro e crescita reciproca. «Quanto più ci appari sofferente e umiliato, tanto più lampeggia ai nostri occhi la tua umanità», scrive l’autore. Questo approccio richiede un profondo lavoro introspettivo da parte degli operatori, chiamati a interrogarsi sulle proprie emozioni e pregiudizi.
Il rispetto, in questo senso, non è più un obbligo morale o un atteggiamento professionale, ma una qualità intrinseca della relazione. Come afferma il sociologo e filosofo Pierpaolo Donati, citato nel libro: «La qualità delle cure date dal caregiver è un atto di reciprocità verso la dignità dell’anziano».
Implicazioni pratiche e metodologiche
L’adozione del paradigma relazionale comporta un cambiamento radicale nelle pratiche di cura. Gli operatori, secondo Folgheraiter, devono abbandonare – come direbbe Andrea Canevaro - atteggiamenti paternalistici, assistenzialisti e suprematisti per entrare in relazione autentica con le persone assistite. Questo significa riconoscere la fragilità come parte integrante della vita, propria e altrui, e trarne insegnamenti.
Le implicazioni non sono solo metodologiche, ma anche esistenziali. Gli operatori che abbracciano questa prospettiva, sostiene l’autore, trovano maggiore soddisfazione e significato nel proprio lavoro, evitando il rischio di burnout e insoddisfazione.
Conclusione
Il paradigma relazionale rappresenta di fatto una rivoluzione nel modo di intendere la cura, delle persone anziane in questo caso, ma non solo. Non si tratta semplicemente di offrire assistenza, ma di costruire relazioni capaci di valorizzare la dignità umana nella sua essenza. In un mondo che tende a classificare e scartare, questa prospettiva ci ricorda che «gli ultimi in efficienza saranno i primi in umanità».