Il progetto di vita delle persone con disabilità

Il progetto di vita delle persone con disabilità

1. La legge-quadro 328/2000 e il progetto individuale

Il primo decennio del XXI secolo è stato scandito da sfide di importanza strategica per l’avvenire dei ragazzi con disabilità. Il primo provvedimento che ha posto un tema cruciale della vita delle fasce più fragili della nostra popolazione è la legge n. 328/2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali). Nell’art. 14 del provvedimento legislativo si prevede che, affinché venga promossa la piena inclusione scolastica, lavorativa, sociale e familiare della persona con disabilità, sia predisposto un progetto individuale per ogni singola «persona con disabilità fisica, psichica e/o sensoriale, stabilizzata o progressiva, di cui all’ art. 3 della legge 104/1992». Il testo dell’articolo è il seguente:

Per realizzare la piena integrazione delle persone disabili nell’ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell’istruzione scolastica, o professionale e del lavoro, i Comuni, d’intesa con le ASL, predispongono, su richiesta dell’interessato, un progetto individuale. Esso comprende: la valutazione diagnostico funzionale; la prestazione di cura e di riabilitazione (SSN); i servizi alla persona; le misure economiche; la definizione delle potenzialità; gli eventuali sostegni per il nucleo familiare.

Tale progettualità persegue la finalità di organizzare percorsi personalizzati in cui i vari interventi siano coordinati in maniera mirata, evitando azioni settoriali e tra loro disomogenee. Il tutto per rispondere complessivamente ai bisogni e alle aspirazioni della persona richiedente.

Nello specifico, il Comune deve predisporre, d’intesa con la A.S.L, un progetto individuale, indicando i vari interventi sanitari, socio-sanitari e socio-assistenziali relativi ai bisogni della persona con disabilità, nonché le modalità di una loro interazione.
Attraverso tale approccio la persona con disabilità non è più vista come un semplice utente di singoli servizi, ma come un soggetto con specifiche esigenze, interessi, potenzialità da alimentare e valorizzare.

Il progetto individuale, infatti, rientra in una cornice di programmazione che si articola nel tempo e sulla cui base le istituzioni, la persona, la famiglia e la stessa comunità territoriale devono prevedere tutte le possibili condizioni affinché quelle azioni positive si possano effettivamente compiere.

La prospettiva che si afferma nella legge 328/2000 è quella di realizzare le condizioni per l’autorealizzazione della persona in tutti gli ambiti della vita.

Il tema del progetto individuale, delineato nell’art. 14, si collega a un documento di portata rivoluzionaria che sarà deliberato nel 2001 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Si tratta della classificazione internazionale ICF (International Classification Functioning), in cui la salute di ogni individuo, in particolare delle persone più vulnerabili, è messa in relazione con la qualità dei contesti di vita, di studio e di lavoro. Prevale, pertanto, rispetto a un approccio esclusivamente clinico, un modello bio-psico-sociale entro il quale si colloca il progetto di vita.

La centralità della redazione del progetto individuale è oggi ampiamente ribadita nel Decreto legislativo 3 maggio 2024, n. 62 (Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione del progetto di vita individualizzato personalizzato e partecipato) incentrato, come vedremo, sulla personalizzazione e sulla partecipazione dell’interessato al progetto di vita, di cui la persona con disabilità è titolare.

2. L’ICF, 2001

La pubblicazione da parte dell’OMS nel 2001 dell’ICF costituisce uno spartiacque nella visione generale della vita della persona in condizione di disabilità.

Dagli anni Settanta del secolo scorso, l’OMS ha definito la situazione di salute utilizzando espressioni che tendevano a vedere nella persona in condizione di disabilità in una dimensione prettamente deficitaria (menomazioni, minorazioni, handicap, limitazioni, svantaggi, ecc.). In sostanza, la persona con disabilità rientrava nella tipologia del «non»: non è, non sa, non sa fare, ecc.

L’ICF ribalta questa concezione; come si evince dallo schema (si veda Figura 1) le parole chiave del modello bio-psico-sociale sono: attività personali e partecipazione.

 

FIG. 1 Il modello bio-psico-sociale dell'ICF.

 

Come mostra lo schema, le funzioni e le strutture corporee della persona con disabilità sono strettamente correlate sia alle capacità e alle potenzialità che la persona esprime (attività), sia all’esercizio di un ruolo e di una parte attiva nel contesto ambientale (partecipazione sociale).

L’ICF integra il modello clinico con quello psicosociale, attraverso l’interazione dell’individuo con i fattori ambientali. Il contesto, in particolare, costituisce il background della qualità o meno della vita di tutti noi. Esso comprende componenti sia materiali (eliminazione delle barriere architettoniche, qualità dei mezzi di trasporto e della mobilità, ecc.) che sociali (bisogno di appartenenza e di sentirsi parte attiva di una comunità). I «qualificatori» ambientali più rilevanti che incidono positivamente sul funzionamento della persona con disabilità sono le relazioni sociali, amicali, lavorative, ecc. Si tratta di aspetti di fondamentale importanza in vista della costruzione di un progetto di vita in contesti nei quali tutti, istituzioni (enti locali) e mondi espressivi (associazioni), condividono un’idea di un futuro abitabile da tutti, in primis da coloro che esprimono bisogni particolari.

3. La Convenzione ONU 2006

L’approfondimento del modello di funzionamento dell’ICF ci porta inevitabilmente a esaminare l’idea di un diverso modo di intendere il welfare, non più incentrato su forme assistenziali secondo cui la persona è destinataria di forme di soccorso e di varie provvidenze (sicuramente necessarie), quanto la capacità di essere lei stessa titolare del progetto che intende realizzare. Il premio Nobel per l’economia del 1998, Amartya Sen, accademico indiano, ha coniato l’espressione Capability (Capacity+Ability). La Capability rappresenta la libertà che le persone posseggono di «funzionare» secondo le proprie aspettative e i propri desideri.

La tradizionale impostazione welfarista, tendente a offrire servizi standardizzati, non tiene conto delle variabili personali e del diritto a una propria «fioritura». A ogni cittadino, indipendentemente da una condizione favorevole o sfavorevole, deve essere assicurata la possibilità di esprimersi nei diversi domìni della vita sociale, sulla base delle proprie aspirazioni individuali.

Questa concezione rappresenta il filo conduttore della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre 2006.

La Convenzione ONU impone di considerare le donne e gli uomini con disabilità non più per le loro limitazioni, ma innanzitutto per il loro «poter essere» in quanto persone e, quindi, titolari del diritto inalienabile di gestire un proprio percorso di vita da realizzare, in condizioni di pari opportunità con tutti gli altri.

A tal proposito, l’art. 19 della Convenzione recita:

gli Stati Parti di questa Convenzione riconoscono l’eguale diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella comunità, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e prendono misure efficaci e appropriate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e della piena inclusione e partecipazione all’interno della comunità.

L’approccio della Convenzione, recepita dal parlamento italiano con la legge 3 marzo 2009, n. 18, è finalizzato a superare la tradizionale visione segregante delle persone con disabilità, promuovendo il vivere in comunità, sostenendo progetti individuali tesi ad assicurare la condizione di vita autonoma e indipendente. Si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale: la condizione di disabilità, più che una condizione soggettiva, è riconducibile a una mancata partecipazione alla vita sociale.

In quello stesso periodo, nel nostro Paese, l’importanza del rapporto tra Piano Educativo Individualizzato e Progetto di vita veniva posto da figure di primo piano del mondo educativo italiano.

Mario Tortello, giornalista e scrittore piemontese, pioniere dell’inclusione scolastica, scomparso precocemente nel 2002, aveva coniato l’espressione «Pensami adulto», sollecitando enti e istituzioni ad accompagnare il percorso di vita dei giovani con disabilità dal sistema d’istruzione al progetto post-scolastico.

Sergio Neri, uno dei pedagogisti più autorevoli della seconda metà del Novecento, poneva, fin dagli anni Novanta del secolo scorso, il tema dell’estensione del PEI dal contesto scolastico agli altri ambienti, a partire dalla famiglia e dalle risorse presenti nella comunità allargata (biblioteche, musei, locali di intrattenimento, laboratori, ecc.).

Andrea Canevaro, docente Pedagogia speciale presso l’Università di Bologna, ha incentrato spesso l’attenzione sulla vita indipendente, sostenendo la necessità di rivedere il concetto di autonomia, che doveva liberarsi dal rapporto diadico (uno a uno) e abbracciare un tessuto relazionale più ricco e ampio di quello genitoriale o del coping insegnante di sostegno-alunno in condizione di disabilità.

Nel primo decennio del nuovo secolo, dunque, il progetto di vita, sotto la spinta di sollecitazioni internazionali e di voci autorevoli interne, cominciava a prendere forma.

Infatti, con la nota del Miur 4 agosto 2009, n. 4274, vengono diffuse le Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, in cui un intero paragrafo è dedicato al progetto di vita. In esso si sottolinea che quest’ultimo è parte integrante del PEI e

include un intervento che va oltre il periodo scolastico, aprendo l'orizzonte di “un futuro possibile”, deve essere condiviso dalla famiglia e dagli altri soggetti coinvolti nel processo di integrazione.

Risulta, pertanto, necessario predisporre piani educativi che prefigurino le possibili scelte che l’alunno intraprenderà dopo aver concluso il percorso di formazione scolastica. Questa transizione dovrà trovare una sua collocazione all’interno del Piano Triennale dell’Offerta Formativa, anche mediante l’attuazione dell’alternanza scuola-lavoro e di altri canali formativi post-diploma.

4. La legge relativa alle persone con disturbi dello spettro autistico

Dal 2000 a oggi sono intervenuti molti provvedimenti, a carattere nazionale e internazionale, che hanno legittimato il principio sancito nell’art. 14 della legge n. 328 del 2000.

Dopo la Convenzione ONU 2006 e le Linee guida del Miur del 2009, un posto di particolare rilievo meritano due provvedimenti legislativi:

  • la legge 18 agosto 2015, n. 134 (Disposizioni in materia di diagnosi, cura, abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie);

  • la legge 22 giugno 2016, n. 112 (Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare) e il Decreto attuativo del 23 novembre 2016.

La legge 134/2015 viene approvata sulla scorta della Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU del 2012 sui bisogni delle persone con autismo ed è finalizzata a garantire la tutela della salute, il miglioramento delle condizioni di vita e l’inserimento nei differenti contesti comunitari di questa tipologia di cittadini, a forte rischio di emarginazione soprattutto nella vita adulta. La legge 134 recepisce il dispositivo della Risoluzione dell’ONU del 2012. 

Sulla scorta della legge 134, il 10 maggio 2018, in sede di Conferenza Unificato Stato-regioni, è stata sottoscritta l’Intesa sul documento recante Aggiornamento delle linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nei Disturbi dello Spettro Autistico, in cui si prevede che il Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) sia raccordato con il più ampio progetto individuale di vita.

In Italia, secondo l’Osservatorio Nazionale Autismo, 1 bambino su 77, nella fascia d’età tra i 7 e i 9 anni, presenta un disturbo dello spettro autistico, con una prevalenza maggiore nei maschi. Si stima che il numero di persone autistiche sia in crescita, pari a circa 600mila, e si avvii a superare l’1% della popolazione italiana.

In generale, la transizione alla vita adulta per le persone con disturbo dello spettro autistico è estremamente problematica per mancanza di risorse economiche, di competenze professionali, di strutture, ecc.

Le difficoltà di costruire percorsi formativi nella vita sociale rivolti a giovani con spettro autistico risiedono anche nello specifico deficit che caratterizza il loro disturbo e cioè la persistente difficoltà nella comunicazione interpersonale e nell’interazione sociale in molteplici contesti e pattern di comportamenti.

Il 9 ottobre 2023 l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha pubblicato il testo completo della Linea Guida (LG) sulla diagnosi e il trattamento del disturbo dello spettro autistico riguardante bambini e adolescenti, che include 27 raccomandazioni. Il testo comprende, inoltre, una indicazione di buona pratica clinica che gli esperti, professionisti e familiari di persone con autismo, hanno formulato sulla base della letteratura più aggiornata e della loro esperienza professionale e personale.

Una delle priorità più importanti del progetto di vita rivolto a persone con disturbi dello spettro autistico è quella di assecondare il bisogno di accompagnamento, soprattutto nel supporto all’inclusione nella comunità, che costituisce una delle sfide più impegnative nella costruzione di un progetto di vita adulta.

Il principale obiettivo è quello di costruire una rete di relazioni all’interno di istituzioni rispettose della dignità e dei diritti inalienabili della persona umana. In questa ottica risulta di fondamentale importanza seguire i costrutti di Qualità di Vita (QdV), riferiti alla persona nella sua pienezza educativa, in funzione del potenziale di apprendimento e dei bisogni individuali.

5. La legge Durante e Dopo di noi

La legge 112/2016 e il successivo Decreto attuativo hanno permesso di ipotizzare la predisposizione del progetto di vita adulta delle persone con disabilità non più solo in termini di mera assistenza, ma come persone alle quali deve essere data l’opportunità di scegliere dove, come e con chi vivere senza vedere spezzato il filo della propria vita solo perché i genitori non possono più supportarle. Si è così realizzato, almeno sul piano giuridico, il pensiero di Mario Tortello del progetto «Pensami adulto», nel quale egli sottolineava l’importanza di tessere una rete di legami. Un giovane in situazione di disabilità cresce nella misura in cui non lo si pensa come «eterno bambino». Al contrario, cresce in relazione alle opportunità che gli vengono offerte, in famiglia e altrove, che lo abilitino progressivamente ad assumere quei micro-ruoli familiari o sociali che stanno alla base della successiva assunzione di macro-responsabilità, sia pure rapportate alla presenza di un deficit e delle compromissioni.

La legge 112/2006 deve essere inquadrata nel contesto normativo sin qui delineato, in attuazione dei principi di uguaglianza stabiliti dalla Carta costituzionale e dalla Convenzione ONU del 2006. Nell’art. 12 della Convenzione è previsto che gli Stati Parti adottino misure adeguate per consentire l’accesso da parte delle persone con disabilità al sostegno necessario a esercitare la propria capacità giuridica, attraverso misure tese a:

  • rispettare i diritti, la volontà e le preferenze della persona disabile;

  • essere scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita;

  • essere applicate per il più breve tempo possibile;

  • essere soggette a periodica revisione da parte di un’autorità competente, indipendente e imparziale o da parte di un organo giudiziario.

Nel quadro di tale visione giuridica, gli Stati dovranno assicurare che:

  • le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione;

  • le persone con disabilità abbiano accesso a una serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l’assistenza personale necessaria per consentire loro di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione;

  • i servizi e le strutture sociali destinate a tutta la popolazione siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità e siano adattate ai loro bisogni.

La legge 112/2016 individua nella redazione del progetto individuale il punto di partenza per l’attivazione dei percorsi previsti dall’art. 14 della legge n. 328/2000.

Tale finalità è contemplata nell’articolo 1 della 112, laddove si afferma che il provvedimento disciplina «misure di assistenza, cura e protezione nel superiore interesse delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare».

Tali misure, si sottolinea, sono volte a evitare l’istituzionalizzazione e «sono integrate nel progetto individuale di cui all’art. 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328».

Per conseguire le finalità della norma, nell’articolo 3 si prevede l’istituzione nel bilancio del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del «Fondo per l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare». Per il 2016 la dotazione del Fondo veniva determinata in 90 milioni di euro.

6. Dalla legge 107/2015 al Decreto legislativo 66/2027

La redazione del progetto individuale per le persone con disabilità di cui all’art. 14 della legge 328/2000 è stata ripresa dalla Riforma della «Buona Scuola» e in particolare dal Decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66 (Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, a norma dell’art. 1 commi 180 e 181, lettera cdella legge 13 luglio 2015, n. 107), nell’ambito del quale deve ricondursi la predisposizione del PEI (Programma Educativo Individualizzato), del Progetto individuale (PI) e dei conseguenti interventi di sostegno all’inclusione scolastica e sociale degli alunni con disabilità.

Nell’articolo 5 del D.lgs. 66/2017 si prevede la sostituzione della diagnosi funzionale e del profilo dinamico funzionale, documenti indicati nella legge 104/1992, con il Profilo di funzionamento, che dovrà essere progettato secondo il modello bio-psico-sociale dell’ICF del 2001. Da tale Profilo discendono i due fondamentali strumenti dell’inclusione scolastica e sociale delle persone con disabilità: il Piano educativo individualizzato e il Progetto individuale (si veda Figura 2).

 

FIG. 2 Dal Profilo di funzionamento al Progetto individuale e al PEI.

 

Nel Decreto legislativo 66/2017, all’art. 6, si sottolinea che il progetto individuale è redatto dal competente Ente locale sulla base del profilo di funzionamento, su richiesta e con la collaborazione dei genitori o di chi ne esercita la responsabilità. Le misure e le prestazioni di cui al Progetto individuale sono definite anche in collaborazione con le istituzioni scolastiche.

L’art. 6 del D.lgs. 66/2017 viene ripreso nel glossario delle Linee guida per la redazione della certificazione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica e del profilo di funzionamento tenuto conto della classificazione internazionale delle malattie (ICD) e della classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF) dell’OMS, diffuse dal Ministero della salute nel novembre 2022, nel quale viene precisato che cosa si intende per «progetto individuale» (art. 14 della legge 328/2000). Tale progetto, si legge,

comprende, oltre alla valutazione diagnostico-funzionale e al Profilo di funzionamento, le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale, il Piano educativo individualizzato a cura delle istituzioni scolastiche, i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e all'integrazione sociale, nonché le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale. Nel Progetto individuale sono inoltre definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare.

 

7. Il progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato

Il progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato è un passaggio chiave della legge 12 dicembre 2021, n. 227 (Delega al Governo in materia di disabilità), tramite la quale il governo fu delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per la revisione e il riordino delle disposizioni vigenti in materia di disabilità, in attuazione degli articoli 2, 3, 31 e 38 della Costituzione e in conformità alle disposizioni della Convenzione Onu del 2006. Uno di questi provvedimenti, ai sensi dell’art.1, comma 5 lettera c) della legge n. 227/2021, nell’ambito della valutazione multidimensionale della disabilità, doveva riguardare «la realizzazione del progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato». Il progetto, si sottolinea nel dispositivo della legge, è finalizzato a realizzare gli obiettivi della persona con disabilità secondo i suoi desideri, le sue aspettative e le sue scelte, migliorandone le condizioni personali e di salute nonché la qualità di vita nei suoi vari ambiti,

individuando le barriere e i facilitatori che incidono sui contesti di vita e rispettando i principi al riguardo sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità indicando gli strumenti, le  risorse, i servizi, le misure, gli accomodamenti ragionevoli che devono essere adottati per la realizzazione del progetto.

Il Decreto legislativo 3 maggio 2024, n. 62 (Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione del progetto di vita individualizzato personalizzato e partecipato) ha definito quanto indicato nella legge delega. Il progetto di vita è finalizzato a migliorare le condizioni personali e di salute della persona con disabilità, a facilitare l’inclusione sociale e la partecipazione nei diversi contesti, sulla base di una condizione di uguaglianza con gli altri.

Nell’articolo 2, lettera n del decreto legislativo 62/2024 si afferma che il progetto di vita individuale personalizzato e partecipato della persona con disabilità prende avvio «dai suoi desideri e dalle sue aspettative e preferenze» ed è diretto

ad individuare, in una visione esistenziale unitaria, i sostegni, formali e informali, per consentire alle persone stesse di migliorare la qualità della propria vita, sviluppare tutte le sue potenzialità, poter scegliere i contesti di vita e partecipare in condizioni di pari opportunità rispetto agli altri.

Nel progetto devono essere individuati, «per qualità, quantità e intensità, gli strumenti, le risorse, gli interventi, i benefici, le prestazioni, i servizi e gli accomodamenti ragionevoli» volti ad abbattere le barriere e a promuovere i supporti necessari per la partecipazione della persona con disabilità nei diversi ambiti di lavoro, studio, formazione, abitazione, ecc., comprese le misure per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale.

La persona con disabilità, si afferma nell’art. 18 del decreto legislativo, è titolare del progetto di vita e ne richiede l’attivazione, concorre a determinare i contenuti, esercita le prerogative volte ad apportarvi le modifiche e le integrazioni, secondo i propri desideri, le proprie aspettative e le proprie scelte. 

In particolare, il progetto di vita individua gli obiettivi che si vogliono conseguire e gli interventi nelle seguenti aree:

  • apprendimento, socialità ed effettività;

  • formazione, lavoro;

  • casa e habitat sociale;

  • salute;

  • servizi (assistenza, accomodamenti ragionevoli, ecc.).

Come già accennato i due principi guida del progetto di vita sono l’autodeterminazione e l’accomodamento ragionevole (si veda Figura 3).

 

FIG. 3 Progetto di vita: autodeterminazione e accomodamento ragionevole.

Il progetto di vita deve essere sostenibile nel tempo, ovvero garantire continuità degli strumenti e di tutti gli interventi sopra richiamati, nel rispetto del principio di autodeterminazione dell’interessato. Lo Stato, le regioni e gli enti locali sono tenuti a garantire l’effettività e l’omogeneità del progetto di vita, indipendentemente dall’età e dalle condizioni personali e sociali.

Dal 1° gennaio 2025 è stata avviata una sperimentazione della durata di dodici mesi, volta all’applicazione provvisoria e a campione del progetto di vita, in nove province, secondo il principio di differenziazione geografica tra Nord, Sud e centro Italia. Esse sono: Brescia, Catanzaro, Firenze, Forlì-Cesena, Frosinone, Perugia, Salerno, Sassari e Trieste.

Per questi enti verrà avviata una fase di formazione che interesserà le regioni, i Comuni, le istituzioni scolastiche, ecc., ma anche i soggetti del terzo settore.

Il progetto di vita ha efficacia dal momento della sua approvazione e sottoscrizione che, secondo quanto disposto dall’art. 26, comma 7, del Decreto legislativo n. 62/2024,

è predisposto dall’unità di valutazione multidimensionale unitamente ai responsabili dei vari servizi e interventi, anche informali, previsti e da attivare nell’ambito del progetto. I soggetti di cui al primo periodo, previa adozione dei relativi atti, anche amministrativi, lo approvano e lo sottoscrivono.

Nell’articolo 27 del D.Lgs. 62/2024 si sottolinea che il progetto di vita è garantito anche in caso di variazione, temporanea o definitiva, del contesto territoriale, di vita o del luogo di abitazione.

L’attuazione del progetto è sostenuta dal budget di progetto, costituito «dall’insieme delle risorse umane, professionali, tecnologiche, strumentali ed economiche, pubbliche e private, attivabili anche in seno alla comunità territoriale» (art. 28). Tale budget è parte integrante del progetto di vita e potrà essere adeguato in funzione di eventuali aggiornamenti.