Indice
- Principi costituzionali
- Il Codice penale: articoli 97 e 98
- Dal Tribunale per i minorenni al Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie
- Le tutele del minore nel processo penale
- La «messa alla prova» dopo la «legge Cartabia»
- L’iter giudiziario
- Reati tramite Internet
- Lo Statuto delle studentesse e degli studenti
- Il Regolamento di istituto
- Classificazione delle sanzioni
- I principi e le fasi del procedimento disciplinare
- La legge 150 del 2024 e l’O.M. n. 3/2025
- La giustizia riparativa
1. Principi costituzionali
Per poter procedere penalmente nei confronti di un minore, è necessario che questi sia imputabile, ovvero che sia stata valutata la capacità del minore per essere dichiarato responsabile di un reato e di essere sottoposto a pena.
A questo riguardo va ricordato che, in base all’articolo 27 della Costituzione, «la responsabilità penale è personale»: ciascuno risponde penalmente di un fatto proprio e non e per fatto altrui. Quindi, nessuno può subire una condanna se non esiste un nesso di causalità tra il suo comportamento e il fatto commesso. Questo principio costituisce il punto di riferimento anche per responsabilità che non configurino una situazione di reato.
L’imputato, poi, sulla base del comma 2 dell’art. 27, «non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». La colpevolezza del reo, pertanto, può essere stabilita solo dopo aver espletato tutti i gradi di giudizio: primo grado, appello, Cassazione. È una conquista civile che tutela la persona accusata di un reato contro l’arbitrio o ogni forma di giudizio sommario, a tutela della dignità umana.
Nel medesimo articolo, al comma 3, si afferma che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»; dunque, le pene rivestono un carattere educativo e non meramente afflittivo. Ad esempio, per favorire il reinserimento sociale, l’ordinamento penitenziario, in forza della legge 26 luglio 1975, n. 354), si doterà di alcuni istituti finalizzati a mitigare l’asprezza della condanna: regime di semilibertà, licenze, sconti di pena, affidamento ai servizi sociali, ecc.
Ritroviamo i principi declinati nell’art. 27 in tutte le norme fondamentali che si occupano del sistema penale.
Per quanto concerne la condizione del minore, l’art. 27 della Costituzione va collegato con il successivo articolo 31, comma 2, in sui si sottolinea che «La Repubblica protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo».
L’articolo 31 rientra nel Titolo 2 della Costituzione (Rapporti etico-sociali). Riguarda solo indirettamente la materia di cui ci stiamo occupando. In ogni caso, accanto agli strumenti ordinari (servizi sociali, consultori, assegni, ecc.), in un’ottica di tutela della gioventù, le leggi ordinarie si ispireranno a quanto stabilito in questo articolo, punendo severamente coloro che attentano all’integrità fisica e psicologica dei minori, per esempio con episodi di violenza domestica, comportamenti di bullismo, spaccio di stupefacenti, violenze di varia natura (pedofilia, pedopornografia, ecc.).
2. Il Codice penale: articoli 97 e 98
«Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto reato, non ha compiuto quattordici anni», così recita l’art. 97 del codice penale. Pertanto, la norma prevede una presunzione assoluta di non imputabilità del minore di 14 anni. In questo caso, lo si considera «incapace di intendere e di volere». Si presume che i minori di età inferiore a 14 anni non abbiano raggiunto una maturità psicofisica tale da consentire loro di distinguere in modo sufficientemente adeguato che cosa sia giusto e cosa sbagliato. Nello specifico,
la capacità di intendere coincide con il grado di comprensione del significato del proprio comportamento e di valutazione delle possibili ripercussioni positive o negative su terzi.
La capacità di volere rappresenta l’attitudine della persona ad autodeterminarsi ed esprimere la volontà di essere in grado di controllare gli impulsi ad agire.
Tuttavia, a fronte della non punibilità del minore di 14 anni, è prevista nei suoi confronti l’applicazione di misure di sicurezza: libertà vigilata, collocamento in comunità (ex riformatorio giudiziario), qualora sia da considerarsi socialmente pericoloso e nel caso di delitti particolarmente gravi.
In altri termini, per il minore infraquattordicenne che si sia reso autore di atti criminosi, si pone l’esigenza di garantire un percorso di espiazione e di responsabilizzazione con l’applicazione delle misure di sicurezza, che lo aiutino a comprendere la gravità e il disvalore delle azioni compiute. Questo percorso di rivisitazione delle condotte anche gravi commesse non deve sacrificare le esigenze di crescita e di educazione, che costituiscono diritti inviolabili della persona, sanciti dalla Costituzione.
Invece, secondo l’articolo 98 del codice penale, è imputabile chi «nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora diciotto, se aveva capacità di intendere e di volere; ma la pena è diminuita».
Dunque, nel caso dei minori di età compresa tra i 14 e i 18 anni, l’imputabilità va giudicata caso per caso. Il giudice dovrà appurare la concreta capacità di intendere e di volere. In mancanza di tale capacità, il minore non è punibile.
Nel diverso caso in cui il giudice appura la capacità di intendere e di volere al momento della commissione del fatto, il minore viene considerato punibile, ma la sua pena sarà diminuita rispetto a quella prevista dalla legge per l’adulto.
L’espressione utilizzata è abbastanza generica. La sua traduzione in chiave personologica è stata tradotta dalla dottrina giuridica con il concetto di «immaturità» e si basa sull’idea che, pur potendo il singolo soggetto infradiciottenne avere un livello di capacità sufficientemente sviluppato, a lui mancherà quasi sempre quel bagaglio etico da cui dipende la piena comprensione dei valori morali che fondano una data comunità.
Sul piano giurisprudenziale, dunque, si distingue tra, da un lato, le capacità cognitivo-culturali del minorenne e, dall’altro lato, il suo grado di maturità morale, civica e valoriale. Ovverosia, una potenziale maturità intellettiva potrebbe accompagnarsi a una totale carenza sotto il profilo emotivo.
3. Dal Tribunale per i minorenni al Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie
La competenza giudiziaria della valutazione di fatti criminosi commessi da un minore infradiciottenne non rientra nelle prerogative del Tribunale ordinario ma del Tribunale per i Minorenni (TM), istituito con il Regio Decreto n. 1404/1934, risalente al codice Rocco durante la dittatura fascista, con finalità quasi esclusivamente penali.
Nel Dopoguerra, con il passaggio dal regime fascista a un sistema democratico, l’attenzione fu posta gradualmente sulla funzione rieducativa e non punitiva della funzione sanzionatoria nei confronti del minorenne.
La struttura attuale della giustizia penale minorile è stata delineata nel Decreto legislativo n. 272/1989 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del D.P.R. 448/1988 recante disposizioni sul processo minorile a carico di imputati minorenni), attuativo della D.P.R. n. 448/1988. La normativa ha definitivamente riconosciuto rilevanza al principio della residualità della detenzione per i minorenni, relegando ai margini del sistema penale minorile l’istituzione carceraria.
Il TM opera in ambito:
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penale, in quanto è l’organo competente a decidere sulla responsabilità penale di un minorenne. Si tratta di un organo collegiale specializzato, composto da quattro giudici: due togati e due onorari, scelti questi ultimi tra i cultori delle scienze umane (pedagogia, psicologia, psichiatria, antropologia criminale, ecc.);
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civile. In questo ambito il TM può assumere provvedimenti che riguardano i figli naturali (riconoscimento di figlio naturale, dichiarazione di paternità, tutela del minore, attribuzione di cognome). Ad esempio, può essere autorizzato il matrimonio per i minori tra i 16 e i 18 anni, che può essere concesso, in deroga al principio secondo cui non ci si può sposare prima della maggiore età.
La «riforma Cartabia», attuata con il Decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, ha apportato significativi cambiamenti nella sfera del processo minorile.
Le disposizioni riguardanti il processo penale minorile sono contenute nel D.P.R. n. 448/1988, in cui, all’art. 1 si afferma che esse «sono applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne, assicurando il rispetto dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione e dall'articolo 6 del Trattato sull’Unione europea».
La competenza giudiziaria di un reato commesso da minori, dal 17 ottobre 2024, dopo la «riforma Cartabia», è del Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie. È stata abrogata la dizione «Tribunale per i minorenni».
Il Tribunale per le persone, per i minorenni, per le famiglie opera a livello distrettuale (sezione distrettuale) presso ciascuna Corte d’appello.
Tale sezione, in materia civile, giudica con un collegio composto da tre giudici. In materia penale, invece, l’organo collegiale è composto da due magistrati e due giudici onorari esperti.
Esistono poi una o più sezioni a livello circondariale, costituite presso ogni sede di Tribunale ordinario.
La sezione circondariale giudica in composizione monocratica, caratterizzata dall’unica presenza di un giudice togato.
Il Tribunale di cui sopra può limitare l’esercizio della responsabilità genitoriale, fino a decretarne la decadenza, può disporre del minore fuori dalla famiglia o può dichiarare l’adottabilità.
Si occupa anche del riconoscimento di figli naturali, di autorizzazioni al matrimonio dei minorenni, della rimozione di un genitore dall’amministrazione dei beni, dell’autorizzazione ad avere informazioni sulle proprie origini da parte del minore adottato.
In determinati casi il Tribunale può disporre l’affido a un’altra famiglia, misura orientata a tutelare il minore. L’affido ha una durata stabilita, che può terminare con:
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il rientro nella famiglia d’origine;
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la dichiarazione dello stato di adottabilità, quando i genitori non sono in grado di adempiere la funzione genitoriale.
Il Giudice, che opera presso il Tribunale di cui alla «legge Cartabia», deve valutare e contemperare le ragioni del Pubblico Ministero e dell’Avvocato del minorenne infradiciottenne, emettendo la sentenza, che può prevedere anche il perdono giudiziario. In questo caso il giudice non condanna il minorenne, pur colpevole, solo però per una pena non superiore ai due anni.
In caso di condanna, la pena è sempre diminuita perché la legge prevede una sorta di «attenuante» che deve essere riconosciuta a tutti i minori in condizione di colpevolezza,
In ogni caso, anche il minorenne, dopo il compimento del 14° anno di età, può essere incarcerato, in un istituto penitenziario appositamente destinato ai minori.
4. Le tutele del minore nel processo penale
I criteri che governano il processo minorile, volti a tutelare la personalità dell’imputato, sono riconducibili ai seguenti principi:
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adeguatezza: il giudice deve esaminare accuratamente la sfera privata del minore con riguardo alla situazione familiare, personale e all’educazione ricevuta o che sta ricevendo. Tale principio è contemplato nell’art. 1, comma 1, del D.P.R. 448/1988 in cui si afferma che le misure riguardanti il minore siano «applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne»;
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minima offensività: il processo deve evitare di compromettere lo sviluppo della personalità del minore e ridurre il pericolo della sua emarginazione. I giudici, pertanto, devono preoccuparsi di non interrompere i processi educativi, consentendogli di usufruire di strumenti alternativi;
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destigmatizzazione: tale principio è l’estensione di quello precedente (minima offensività). Riguarda, in particolare, l’identità individuale e sociale del minorenne, che va protetta il più possibile da processi di auto ed etero svalutazione. Il giudice, a tal proposito, può adottare le seguenti disposizioni: l’irrilevanza del fatto, l’estinzione del reato per l’esito positivo della prova, il divieto di diffondere immagini o informazioni sull’identità del minore, l’esecuzione di notificazioni in via riservata, ecc.,
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residualità della detenzione. Secondo tale principio l’ordinamento prevede strumenti adeguati affinché la carcerazione sia l’ultima e residuale misura (extrema ratio) da applicarsi. Sono state a tal fine previste misure tese a responsabilizzare il minore e a ridurre l’impatto costrittivo e afflittivo. L’eventuale detenzione deve essere limitata al caso in cui vi siano insopprimibili preoccupazioni di difesa sociale altrimenti non tutelabili.
Sulla base delle informazioni raccolte riferite alla personalità, alla famiglia e all’ambiente di vita del minore, il processo può chiudersi con la dichiarazione di «irrilevanza del fatto».
Il D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 si prefigge, quindi, l’obiettivo di coniugare l’esigenza di dare una risposta al reato con quella di proteggere il percorso evolutivo di crescita del minore. Tutto il sistema si ispira alla cosiddetta finalizzazione educativa, per cui il processo non deve interferire sulla continuità educativa, finalizzata a promuovere l’integrità della persona in età evolutiva.
5. La «messa alla prova» dopo la «legge Cartabia»
L’art.28 D.P.R. del 22 settembre 1988, n. 448 recita:
con l’ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato.
Tale istituto viene definito«messa alla prova» e rappresenta un’innovazione nel sistema della giustizia penale minorile, in quanto prevede la sospensione del processo senza la pronuncia di una sentenza di condanna nei confronti del minore. In alternativa, il giudice prevede un programma individualizzato, strutturato sulla base delle risorse personali, familiari e ambientali del ragazzo. Per la riuscita di tale intervento preventivo risulta di fondamentale importanza il lavoro di un’équipe incaricata della gestione del programma stesso, che dovrà calendarizzare i colloqui con il servizio sociale e lo psicologo, le attività di sostegno educativo, indispensabili per il percorso di recupero e reinserimento sociale del minore.
La «Riforma Cartabia» (D.lgs. n.150/2022) è intervenuta sull’applicabilità dell’istituto della «messa alla prova» ampliando il novero dei reati che ne consentono l’accesso e che si prestano all’avvio di percorsi di rieducazione e riparazione.
Pertanto, il Decreto legislativo 150 amplia quanto previsto nell’art. 28 del D.P.R. n. 448/1988, prevedendo che il giudice inviti il minore a partecipare a un programma di giustizia riparativa (vedi paragrafo 13), ove ne ricorrano le condizioni.
Come verrà meglio illustrato nell’ultimo paragrafo, il Decreto legislativo n. 150/2022 determina i principi (partecipazione volontaria attiva), gli obiettivi (responsabilizzazione dell’autore dell’offesa) e le garanzie (sia per la vittima che per l’autore) che regolano la giustizia riparativa.
6. L’iter giudiziario
L’iter giudiziario a cui sono sottoposti i minori (peculiarità del processo minorile) si differenzia dal procedimento ordinario, in quanto i protagonisti sono soggetti a una maggiore tutela.
Innanzitutto, per legge, le udienze si svolgono a porte chiuse (il pubblico non è ammesso); devono, invece, parteciparvi i genitori dell’imputato.
Prendono parte al processo penale minorile l’imputato, il suo difensore, la persona offesa dal reato, i genitori dell’imputato (o gli esercenti la potestà genitoriale), i servizi sociali.
Nel procedimento relativo a un processo rivolto a minori di età compresa tra i 14 e i 18 anni, un ruolo molto importante è svolto dai Servizi minorili, previsti dall’articolo 6 del D.P.R. 448/1988. Essi coadiuvano l’autorità giudiziaria in ogni momento e grado dell’iter processuale e svolgono un duplice compito:
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proteggere il minore da eventuali comportamenti poco garantistici degli organi che agiscono nel processo;
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fare da tramite fra l’autorità giudiziaria e il minore.
Il Pubblico Ministero (PM) che esercita l’azione penale deve illustrare i contenuti che portano alla pretesa azione punitiva dello Stato, ma al contempo è tenuto a cooperare per il conseguimento del recupero del minore indagato.
L’avvocato del minore fornisce agli organi giudicanti, anche con il supporto dei servizi sociali, il quadro psicologico e familiare del minorenne, cercando di ottenere l’archiviazione o una sentenza di non luogo a procedere.
Il Giudice, a sua volta, deve valutare e contemperare le ragioni del PM e dell’avvocato, emettendo la sentenza, che può prevedere anche il perdono giudiziario, che consente al giudice di non condannare il minorenne colpevole, solo però per una pena non superiore ai due anni. In caso di condanna, la pena è sempre diminuita perché la legge prevede una sorta di «attenuante» che deve essere riconosciuta a tutti i minori in condizione di colpevolezza, In ogni caso, anche il minorenne, dopo il compimento del 14° anno di età, può essere incarcerato, in un istituto penitenziario appositamente destinato ai minori.
Ogni reato obbliga chi l’ha commesso a risarcire causati dal comportamento illecito. Nel caso di crimini commessi da minori, anche per gli ultraquattordicenni, saranno i genitori a provvedere al pagamento. Il minorenne, anche se colpevole, in quanto non dotato di autonomia patrimoniale, non è tenuto a risarcire la vittima. Tale incombenza ricade su coloro che hanno la responsabilità genitoriale.
7. Reati tramite Internet
La diffusione dei social network comporta spesso l’uso irresponsabile di Internet, da cui deriva, come per i reati di altra natura, una duplice responsabilità:
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civile, di tipo risarcitorio. Ricade sul soggetto maggiorenne, che è tenuto al risarcimento o alla riparazione. Nel caso di minorenni, come accennato nel paragrafo precedente, saranno i genitori (o chi ne fa le veci) a rispondere dei danni arrecati dal minore dal punto di vista patrimoniale (art. 2048 del Codice civile). Esempi possono essere gli insulti, atti di bullismo veicolati da strumenti digitali;
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penale, qualora dall’uso illecito derivi la commissione di reati.
I delitti che possono essere commessi utilizzando Internet possono ledere:
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il diritto all’immagine (tutelato dall’art. 28 del codice civile), che viene leso quando l’immagine è diffusa senza il consenso della persona. Quindi, prima di pubblicare una foto, un video, ecc., occorre ottenere il consenso delle persone che vi si possono riconoscere;
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il diritto d’autore. La legge stabilisce la protezione dell’autore di scritti (libri, romanzi, trattati scientifici, ecc.) e di opere di varia natura (figurative, audiovisive, grafiche, decorative, musicali, ecc.), che non possono essere divulgati senza il consenso dei «proprietari» di tali prodotti.
Molti sono i rischi a cui gli adolescenti possono andare incontro diffondendo con mezzi digitali insulti o immagini pornografiche. Secondo l’articolo 197 del Codice Penale è reato fabbricare, consumare, mettere in circolazione, ecc., oggetti o rappresentazioni a carattere pornografico. I minori che producono immagini o video intimi (sexting) rischiano di rendersi colpevoli di produzione e diffusione di pornografia. Ciò vale anche per coloro che si fotografano nudi, in pose erotiche o compiono atti sessuali.
In ambito pornografico, si può configurare anche il reato di sextortion, forma di ricatto esercitata con l’utilizzo di materiale a carattere sessuale. I reati di sextortion possono essere i seguenti: estorsione, calunnia, violazione della sfera personale, pornografia.
Esiste poi il reato di adescamento online (grooming), identificato come il tentativo messo in atto da un adulto di avvicinare un bambino o un adolescente per assecondare i propri scopi sessuali. La rete (chat, social, app, ecc.) è spesso utilizzata per questa forma di crimine, perché il luogo virtuale permette il contatto diretto.
Gli atti di cyberbullismo possono avere rilevanza penale e configurare una molteplicità di fattispecie di reato: estorsione, delitti contro l’onore, danneggiamento o sottrazione di dati personali, minaccia, violazione della sfera segreta mediante strumenti di presa d’immagini, coazione, ecc.
Il cyberstalking è una forma di violazione della sfera privata, che si realizza quando una persona adotta un comportamento intenzionalmente e ripetutamente minaccioso nei confronti di un altro soggetto, portandolo a temere per la propria incolumità. Nel caso di cyberstalking la persecuzione e la minaccia avvengono tramite Internet. I possibili reati sono quelli configurati dal cyberbullismo.
I pericoli ai quali il minore è esposto nell’uso della rete telematica rendono necessario un rafforzamento degli obblighi inerenti alla responsabilità genitoriale, che impongano ai genitori non solo il dovere di impartire al minore un’adeguata educazione all’utilizzo dei mezzi di comunicazione, ma anche di compiere un’attività di vigilanza sul minore per quanto concerne il suddetto utilizzo.
La vigilanza che i genitori devono esercitare verso i figli adolescenti è volta, da un lato, a prevenire che i minori siano vittime dell’abuso di Internet da parte di terzi e, dall’altro, a evitare che siano proprio i minori a cagionare danni a terzi o a sé stessi mediante gli strumenti di comunicazione digitale. La mancata vigilanza da parte dei genitori o di chi esercita la potestà genitoriale verso i figli minorenni determina la responsabilità della culpa in vigilando per i fatti cagionati dal fatto illecito.
I genitori sono tenuti, infatti, a educare la prole, secondo quanto stabilito dall’art. 30 della Costituzione («È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio»).
Il minore, in quanto privo di autonomia patrimoniale non può risarcire il fatto illecito cagionato ad altri. I genitori e gli esercenti la potestà genitoriale sono liberati dalla responsabilità civile soltanto se provano in giudizio di non avere potuto impedire il fatto.
8. Lo Statuto delle studentesse e degli studenti
Il sistema delle infrazioni e i relativi provvedimenti disciplinari nei confronti dei minori riguardano anche le violazioni che non hanno rilevanza penale. In questo caso sono due i principali riferimenti normativi che regolano questa materia:
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D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249, concernente lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria di primo e di secondo grado;
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D.P.R. n. 235 del 21 novembre 2007 che ha modificato e integrato il D.P.R. del 1998.
Lo Statuto si rifà a un principio personalista: la scuola è la prima e più importante istituzione di dialogo, giustizia e crescita dello studente in tutte le sue dimensioni.
Il D.P.R. 249/1998, oltre a sottolineare i diritti e i doveri delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria di I e di II grado, indica anche principi e criteri a cui i regolamenti disciplinari dei singoli istituti devono ispirarsi. Nel quadro più generale dell’autonomia scolastica, nell’art. 14 del D.P.R. 275/1999 si prevede che le scuole adottino disposizioni circa la materia disciplinare degli studenti. In relazione al procedimento disciplinare a carico degli alunni, tutte le istituzioni scolastiche hanno adottato regolamenti che si ispirano ai principi stabiliti dallo Statuto delle studentesse e degli studenti.
Il D.P.R. 249, successivamente modificato dal n. 235 del 2007, stabilisce la finalità educativa della sanzione che, in base all’art. 4, si articola nel:
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rafforzamento senso di responsabilità;
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ripristino rapporti corretti nella comunità scolastica;
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recupero dello studente (attività sociali, culturali, a vantaggio della comunità scolastica).
Nell’articolo 3 del decreto vengono fissati i doveri a cui sono tenuti studentesse e studenti: rispetto dell’obbligo di frequenza, degli impegni di studio, delle norme organizzative e di sicurezza dell’istituzione scolastica; utilizzo corretto del patrimonio della scuola; cura degli ambienti interni ed esterni e condivisione nel renderli accoglienti.
Come suaccennato, le istituzioni scolastiche esercitano la potestà regolamentare. Nell’art. 6 dello Statuto si prevede che i regolamenti disciplinari siano adottati previa consultazione degli studenti nella scuola secondaria superiore e dei genitori in quella di primo grado.
I Regolamenti individuano i comportamenti che configurano mancanze disciplinari e gli organi competenti a irrogare le sanzioni, il relativo procedimento, secondo quanto sottolineato nello Statuto. La potestà regolamentare accordata alle singole istituzioni scolastiche può prevedere:
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sanzioni disciplinari autonome e diverse dall’allontanamento;
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sanzioni accessorie a quelle dell’allontanamento (es., volontariato, collaborazione in Segreteria, pulizia locali, ecc.).
In ogni caso, devono essere rispettati alcuni limiti assoluti alla potestà regolamentare, quali il divieto di:
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riduzione delle garanzie offerte dallo Statuto;
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sanzionamento della libera espressione del pensiero.
L’obiettivo che ogni scuola deve perseguire non è la punizione in sé, quanto il potenziamento del senso di responsabilità della studentessa e dello studente dei diritti e dei doveri.
In un Regolamento disciplinare-tipo, può essere schematizzata la seguente sequenza di principi e criteri:
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i provvedimenti disciplinari hanno finalità educativa;
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i comportamenti che configurano mancanze disciplinari vanno accertati in maniera precisa;
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la responsabilità disciplinare è personale;
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la sanzione disciplinare viene irrogata dopo aver invitato la persona responsabile a esporre le sue ragioni e non senza che ne sia stata riconosciuta la diretta responsabilità;
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le sanzioni sono proporzionate alle infrazioni, ispirate al principio della riparazione del danno, sono temporanee e possono essere convertite in attività a favore della comunità scolastica;
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l’irrogazione della sanzione presuppone attenzione a: entità dell’infrazione; età dello studente; contesto socio-economico e culturale; finalità della scuola.
9. Il Regolamento d’istituto
Nella nota del Ministero della Pubblica Istruzione del 31 luglio 2008, n. 3602, che esplicita le misure contenute nel D.P.R. 249/1998, come modificato dal D.P.R. 235/2007, si entra nel merito del contenuto dei Regolamenti di istituto. Si premette, innanzitutto, che i destinatari dello Statuto delle studentesse e degli studenti sono gli alunni delle scuole secondarie di I e di II grado, precisando che, per quanto concerne la materia disciplinare, la legge n. 241/1990, relativa alla trasparenza del processo ammnistrativo, costituisce «il quadro di riferimento di carattere generale per gli aspetti procedimentali dell’azione disciplinare nei confronti degli studenti».
Nella nota, si sottolinea che, a seguito delle modifiche introdotte dal D.P.R. 235/2007, è opportuno ricapitolare i contenuti dei regolamenti d’istituto in tema di disciplina degli studenti. Detti regolamenti dovranno individuare:
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le mancanze disciplinari, con riferimento alla specificazione dei doveri e dei divieti di determinati comportamenti;
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le sanzioni da correlare alle mancanze disciplinari. Nel caso in cui queste ultime siano diverse dall’allontanamento dalla comunità scolastica, il potere di irrogarle è appannaggio del regolamento delle istituzioni scolastiche, che, quindi, le dovrà specificatamente individuare.
Le istituzioni scolastiche, nel momento in cui avviano un procedimento disciplinare a carico dello studente, si ispireranno al principio fondamentale della finalità educativa e non solo punitiva della sanzione. Quello che si richiede alle scuole, si sottolinea nella nota,
è uno sforzo di tipizzazione di quei comportamenti generali cui ricollegare le sanzioni e non un rinvio generico allo Statuto delle studentesse e degli studenti, che di per sé non contiene fattispecie tipizzate, se non nei casi gravissimi.
A questo proposito, la nota chiarisce che le sanzioni riguardanti l’allontanamento superiore a 15 giorni, ivi compreso quello fino al termine delle lezioni o con esclusione dallo scrutinio finale o la non ammissione all’esame di Stato conclusivo del corso di studi, sono sempre adottate dal consiglio di istituto.
Con riferimento, invece, alle sanzioni più lievi riconducibili alla competenza del consiglio di classe, nella nota si sottolinea che, nel momento in cui tale organo collegiale esercita la competenza in materia disciplinare, deve operare nella composizione allargata a tutte le componenti, ivi compresi pertanto gli studenti e i genitori.
gli organi competenti a comminare le sanzioni. Il regolamento d’istituto è chiamato ad identificare gli organi competenti ad irrogare le sanzioni diverse dall’allontanamento dalla comunità scolastica (ad es. docente, dirigente scolastico o consiglio di classe). Le sanzioni comportanti l’allontanamento dalla comunità scolastica sono, inoltre, riservate dal D.P.R. 235/2007 alla competenza del Consiglio di Classe e del Consiglio d’Istituto.
10. Classificazione delle sanzioni
Come precedentemente sottolineato, le sanzioni che non comportano l’allontanamento temporaneo dalla comunità scolastica (art. 4, comma 1 del D.P.R. 249/1998) devono essere definite dai singoli regolamenti d’istituto. Si tratta, infatti, di sanzioni non tipizzate né dal D.P.R. 249/1998 né dal D.P.R. 235/2007. Nel caso di mancanze lievi, i regolamenti, oltre alla sanzione devono indicare anche le procedure e gli organi competenti a irrogarle.
Infrazioni lievi possono comportare per lo studente il richiamo (ammonizione) verbale in classe da parte del docente oppure scritto sul registro. Più richiami scritti per il medesimo comportamento scorretto inducono il docente, coordinatore della classe, ad apporre una nota disciplinare sul registro di classe.
Può essere prevista anche l’ammonizione scritta del docente con o senza allontanamento temporaneo dalla lezione.
Su segnalazione del Coordinatore di classe, il Dirigente Scolastico annota l’ammonimento nel Registro di classe e ne dà comunicazione alla famiglia tramite il libretto personale dello studente.
Per i comportamenti più gravi, o in caso di reiterazione, il Dirigente scolastico può allontanare lo studente sino al termine delle lezioni del giorno e invita i genitori dello studente a prelevare il proprio figlio da scuola.
In questi casi non viene data comunicazione preventiva di avvio del procedimento e la contestazione è formulata nell’immediatezza del fatto, anche oralmente, e annotata sul registro di classe insieme alle eventuali giustificazioni dell’allievo. Prevale in questo caso l’esigenza di celerità del procedimento che consente, ai sensi dell’art. 7 della Legge 241/90, di non dare comunicazione preventiva dell’avvio del procedimento.
Diversa è la casistica per infrazioni gravi, tipizzate, che comportano la sospensione dalle lezioni o l’allontanamento da scuola. La tipologia delle sanzioni in cui è previsto l’allontanamento della studentessa e dello studente dalla comunità scolastica sono, in ordine decrescente, le seguenti e devono essere irrogate da un organo collegiale (consiglio di classe o consiglio di istituto).
Sanzioni che comportano l’allontanamento temporaneo dello studente dalla comunità scolastica per un periodo non superiore a 15 giorni
Tale sanzione è adottata dal Consiglio di Classe ed è comminata soltanto in caso di gravi o reiterate infrazioni disciplinari derivanti dalla violazione dei doveri esplicitati nell’art. 3 del D.P.R. n. 249/98. Durante il suddetto periodo di allontanamento è previsto un rapporto con lo studente e con i suoi genitori al fine di preparare il rientro dello studente sanzionato nella comunità scolastica.
Sanzioni che comportano l’allontanamento temporaneo dello studente dalla comunità scolastica per un periodo superiore a 15 giorni
Queste sanzioni sono adottate dal Consiglio d’Istituto, se ricorrono due condizioni, entrambe necessarie:
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devono essere stati commessi «reati che violino la dignità e il rispetto della persona umana» (ad es. violenza privata, minaccia, percosse, ingiurie, reati di natura sessuale, ecc.);
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deve esservi una concreta situazione di pericolo per l’incolumità delle persone (es. incendio o allagamento).
Il fatto commesso dovrà risultare particolarmente grave: è competenza del Consiglio di Istituto stabilire la durata dell’allontanamento.
Nei periodi di allontanamento superiori a 15 giorni, la scuola promuove – in coordinamento con la famiglia dello studente e, ove necessario, con i servizi sociali e l’autorità giudiziaria – un percorso di recupero educativo mirato all’inclusione, alla responsabilizzazione e al reintegro, ove possibile, nella comunità scolastica.
Sanzioni che comportano l’allontanamento dello studente dalla comunità scolastica fino al termine dell’anno scolastico
L’irrogazione di tale sanzione, da parte del Consiglio d’Istituto, è prevista in situazioni di gravità eccezionale: condotte recidive; reati che violino la dignità e il rispetto per la persona umana; atti di grave violenza tali da determinare seria apprensione a livello sociale. Si tratta di azioni criminose per le quali non sono esperibili interventi per un reinserimento responsabile e tempestivo dello studente nella comunità scolastica nel corso dell’anno. Nell’irrogazione di tale sanzione, occorre possibilmente evitare che la sua applicazione determini il superamento dell’orario minimo di frequenza richiesto per la validità dell’anno scolastico.
Sanzioni che comportano l’esclusione dello studente dallo scrutinio finale o la non ammissione all’esame di stato conclusivo del corso di studi
Anche per questa sanzione devono ricorrere condizioni di particolare gravità. L’organo deputato a disporre l’esclusione dello studente dallo scrutinio finale o la non ammissione all’esame di Stato conclusivo del corso di studi è il Consiglio di Istituto.
La contestazione delle sanzioni sopra illustrate dovrà essere specificata in maniera molto chiara e comprendere le motivazioni circostanziate dell’irrogazione. Infatti, come affermato nell’art. 3 della legge 241/1990 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, la cosiddetta legge sulla trasparenza), «ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato».
Le sanzioni disciplinari, al pari delle altre informazioni relative alla carriera dello studente, vanno inserite nel fascicolo personale e seguono lo studente in occasione di trasferimento da una scuola a un’altra o di passaggio da un grado all’altro di scuola, nel rispetto delle norme sulla privacy. Il cambiamento di scuola non pone fine a un procedimento disciplinare iniziato, ma esso segue il suo iter fino alla conclusione.
11. I principi e le fasi del procedimento disciplinare
Il fondamento del potere disciplinare si rinviene nello ius corrigendi che la legge assegna agli organi della scuola e al relativo personale, i quali sono tenuti ad assicurare il rispetto delle regole poste alla base della convivenza all’interno della comunità scolastica.
Ciò premesso, i principi, i criteri e le finalità ai quali i regolamenti di disciplina e i provvedimenti disciplinari debbono ispirarsi e conformarsi possono facilmente rinvenirsi nell’articolo 4 del D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249, integrato dal D.P.R. 21 novembre 2007, n. 235.
Lo Statuto delle studentesse e degli studenti (D.P.R. 249/1998) sottolinea la finalità educativa dei provvedimenti disciplinari e la possibilità di prevedere attività di natura sociale, culturale, a vantaggio, in generale, della comunità scolastica, finalizzate al rafforzamento del senso di responsabilità dello studente.
Nell’articolo 4 dello Statuto vengono indicati i principi normativi che devono essere rispettati nel momento di irrogare una sanzione disciplinare.
Innanzitutto, essendo la responsabilità disciplinare personale, «nessuno può essere sottoposto a sanzioni disciplinari senza essere stato invitato ad esporre le proprie ragioni» (art. 4, c. 3). Si stabilisce, dunque, la non responsabilità per fatto altrui o per l’appartenenza a una classe scolastica.
Il principio fondamentale, posto alla base dell’efficacia dell’azione amministrativa, è quello della immediatezza.
Ai sensi dell’articolo 4, comma 5 dello Statuto del 1998, «le sanzioni sono sempre temporanee, proporzionate all’infrazione disciplinare e ispirate, per quanto possibile, al principio della riparazione del danno». Inoltre, deve sempre essere fatta una valutazione della situazione personale della studentessa o dello studente, offrendo la possibilità di «convertirle in attività in favore della comunità scolastica».
Il procedimento disciplinare si articola nei seguenti momenti:
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fase dell’iniziativa, che comprende la contestazione in forma scritta degli addebiti, precisando il contenuto dell’inosservanza commessa: indicazione circostanziata del fatto, rilevanza disciplinare e relative fonti, invito di fronte all’organo collegiale per l’esercizio della difesa;
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fase dell’audizione di fronte all’organo collegiale. Allo studente viene ripetuta la contestazione in una seduta del consiglio di classe o del consiglio di istituto per consentire la difesa e si invita l’alunno a discolpa ascoltando le sue ragioni. Il tutto deve essere puntualmente verbalizzato;
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fase decisoria. La deliberazione che l’organo collegiale assumerà deve essere in forma scritta e indicare se assunta all’unanimità o a maggioranza. In questo caso, dovranno essere indicati i nominativi che hanno votato in un senso o nell’altro. Come precedentemente sottolineato, è obbligatorio che venga dichiarata la motivazione (art. 3 della legge 241/1990).
Il provvedimento sanzionatorio va obbligatoriamente comunicato, senza indugio, nella sua integralità all’interessata/o, indicando che la studentessa o lo studente hanno il diritto, nel termine di 15 giorni dal ricevimento, di proporre ricorso all’Organo di garanzia della scuola, previsto dall’articolo 5 del D.P.R. 249/1998 e integrato dal D.P.R. 235/2007.
Va altresì indicato che, entro 60 giorni dal ricevimento dell’atto sanzionatorio, è possibile fare ricorso al TAR (Tribunali Amministrativi Regionali), con il ministero di un avocato.
Si rammenta che l’Organo di garanzia, disciplinato dal Regolamento della scuola, prevede, ai sensi dell’articolo 5 dello Statuto, alcune norme inderogabili relative alla sua composizione, di cui si riporta integralmente il primo comma.
Contro le sanzioni disciplinari è ammesso ricorso, da parte di chiunque vi abbia interesse, entro quindici giorni dalla comunicazione della loro irrogazione, ad un apposito organo di garanzia interno alla scuola, istituito e disciplinato dai regolamenti delle singole istituzioni scolastiche, del quale fa parte almeno un rappresentante eletto dagli studenti nella scuola secondaria superiore e dai genitori nella scuola media, che decide nel termine di dieci giorni. Tale organo, di norma, è composto da un docente designato dal consiglio di istituto e, nella scuola secondaria superiore, da un rappresentante eletto dagli studenti e da un rappresentante eletto dai genitori, ovvero, nella scuola secondaria di primo grado da due rappresentanti eletti dai genitori, ed è presieduto dal dirigente scolastico.
12. La legge 150 del 2024 e l’O.M. n. 3/2025
L’insediamento del governo di centro destra nell’ottobre del 2022 è coinciso con una serie di decisioni tese a inasprire le sanzioni ai comportamenti scorretti delle studentesse e degli studenti. Tale determinazione ha riguardato in particolare gli alunni della scuola secondaria di primo e di secondo grado.
La legge 1° ottobre 2024, n. 150 (Revisione della disciplina in materia di valutazione delle studentesse e degli studenti, di tutela dell’autorevolezza del personale scolastico nonché di indirizzi scolastici differenziati) interviene su vari aspetti inerenti alla valutazione degli apprendimenti e del comportamento sia nel primo che nel secondo ciclo di istruzione.
In materia di valutazione, il 2024 ha segnato un ritorno all’antico!
Valutazione del comportamento nella scuola primaria
Nella scuola primaria, nella valutazione degli apprendimenti, sono stati introdotti i giudizi sintetici (dal «non sufficiente» all’«ottimo») al posto di quelli descrittivi previsti nell’O.M. n. 172/2020.
La legge però si occupa prevalentemente di valutazione del comportamento.
Relativamente alla scuola primaria, l’Ordinanza del MIM 10 gennaio 2025, n. 3 che recepisce i dettami della legge, stabilisce che la valutazione del comportamento dell’alunna/o
è espressa collegialmente dai docenti con un giudizio sintetico riportato nel documento di valutazione, secondo quanto previsto dall’articolo 2, comma 5 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62.
Pertanto, per la scuola primaria l’O.M. applica integralmente quanto previsto dalla legge, confermando il criterio del «giudizio sintetico» indicato nel D.lgs. 62/2017.
Si rammenta che per tutti i gradi scolastici, compresa la scuola primaria, i riferimenti principali della valutazione del comportamento sono: lo Statuto delle studentesse e degli studenti, il Patto educativo di corresponsabilità e i Regolamenti deliberati dagli organi collegiali delle singole istituzioni scolastiche.
Come precedentemente sottolineato, si ricorda che nell’articolo 7 della legge 92/2019 riguardante l’introduzione dell’insegnamento dell’educazione civica dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di II grado, al fine di sensibilizzare gli alunni alla cittadinanza responsabile e di rafforzare la collaborazione tra scuola e famiglia, si prevede l’estensione del patto educativo di corresponsabilità anche alla scuola primaria.
Nel medesimo articolo della legge 92/2019 sono stati aboliti gli articoli 412, 413, 414 del Regolamento generale sui servizi dell’istruzione elementare di cui al Regio decreto n. 1297 del 1928.
L’art. 412 prevedeva per gli alunni della scuola elementare «i seguenti mezzi disciplinari»:
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l’ammonizione;
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la censura notata sul registro con comunicazione scritta ai genitori, che la devono restituire vistata;
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la sospensione dalla scuola, da uno a dieci giorni di lezione;
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l’esclusione dagli scrutini o dagli esami della prima sessione;
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l’espulsione dalla scuola con la perdita dell’anno scolastico.
Le prime tre sanzioni venivano inflitte dal maestro o dalla maestra, le ultime due dal direttore didattico, governativo o comunale, con provvedimento motivato.
Pertanto, dal 1° settembre 2020, data di entrata in vigore della Legge n. 92, l’azione disciplinare nei confronti degli alunni della scuola primaria viene esercitata da ogni istituzione scolastica autonoma, secondo quanto stabilito nei rispettivi regolamenti di istituto.
Valutazione del comportamento nella secondaria di primo grado
Per quanto concerne le alunne e agli alunni della scuola secondaria di primo grado, la legge 150/2024 detta le seguenti istruzioni:
per le alunne e gli alunni della scuola secondaria di primo grado, la valutazione del comportamento è espressa in decimi […]. Se la valutazione del comportamento è inferiore a sei decimi, il consiglio di classe delibera la non ammissione alla classe successiva o all’esame di Stato conclusivo del percorso di studi.
L’Ordinanza del 10 gennaio 2025, n. 3 riprende integralmente il dettato della legge 150/2024 e nell’articolo 5 si afferma che, a decorrere dall’anno scolastico 2024/2025,
la valutazione periodica e finale del comportamento degli alunni della scuola secondaria di primo grado è espressa con voto in decimi […]. Il voto attribuito al comportamento degli alunni in sede di scrutinio finale è riferito all’intero anno scolastico. In sede di scrutinio finale, il consiglio di classe delibera la non ammissione alla classe successiva o all’esame di Stato per gli alunni a cui è attribuito un voto di comportamento inferiore a sei decimi.
Valutazione del comportamento nella secondaria di secondo grado
Relativamente, invece, alla valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria di secondo grado, la legge 150/2024 prevede che, qualora essa sia inferiore a sei decimi, lo studente non verrà ammesso alla classe successiva e/o all’esame di Stato conclusivo del percorso di studi. Nel caso in cui sia pari a sei decimi, il consiglio di classe
assegna un elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale da trattare in sede di colloquio dell'esame conclusivo del secondo ciclo.
Inoltre, il punteggio più alto attribuibile al credito scolastico può essere assegnato solo se il voto di comportamento è pari o superiore a nove decimi.
La legge 150/2024 prevede inoltre l’inasprimento delle sanzioni tipizzate a carico della studentessa e dello studente.
L’allontanamento dalla scuola, fino a un massimo di due giorni, comporta il coinvolgimento della studentessa e dello studente in attività di approfondimento sulle conseguenze dei comportamenti che hanno determinato il provvedimento disciplinare.
Nell’allontanamento dalla scuola di durata superiore a due giorni è previsto lo svolgimento di attività di cittadinanza solidale presso strutture convenzionate con le istituzioni scolastiche.
L’intera materia, che comporta una modifica dei Decreti presidenziali n.249/1998 e n. 235/2007, sarà oggetto di uno o più provvedimenti che dovranno essere emanati dal Ministero dell’Istruzione e del merito nei prossimi mesi.
13. La giustizia riparativa
Per affrontare il tema della giustizia riparativa (restorative justice) occorre aver chiaro il concetto di giustizia penale, che si occupa dei reati che le persone possono commettere.
Il reato è un comportamento umano punito dal legislatore il quale decide cosa e come sanzionare chi si è macchiato di un atto criminoso.
La finalità della punizione può essere ricondotta ad alcuni orientamenti in qualche caso tra loro dissimili.
Una prima risposta, cosiddetta classica, risiede nel principio del malum pro malo, ovvero della «retribuzione afflittiva»: chi ha sbagliato deve pagare!
La seconda è di ordine pratico: la punizione è finalizzata a intimidire, quindi a creare una sorta di prevenzione generale rivolta alla comunità e speciale riguardante il singolo individuo.
La terza, richiamata esplicitamente nell’art. 27 della nostra Costituzione, è incentrata sul principio della rieducazione del condannato.
Dal 1° novembre 2022 è entrato in vigore il Decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, noto come «Riforma Cartabia», in attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari.
Il decreto contiene la prima disciplina organica della giustizia riparativa per l’ordinamento italiano. Vi si regolano definizioni, principi, garanzie e quanto altro concerne l’inserimento dei programmi di giustizia riparativa nel sistema penale, sia in fase processuale che in fase esecutiva. Nell’articolo 46 del provvedimento, titolato «persone minori di età», viene stabilito che questa nuova disciplina vada applicata anche ai minorenni, in quanto compatibile alle esigenze della persona di minore età, conformemente a quanto previsto dall’articolo 3 della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo del 1989.
Con questa riforma il giudice può formulare l’invito nei confronti del minore, ove ricorrano le condizioni, a partecipare a un programma di giustizia riparativa che, nell’articolo 43 del d.lgs. n. 150/2022, è così definita:
ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore.
Vengono poi definiti:
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i principi che regolano la giustizia riparativa, tra i quali vi è la partecipazione attiva e volontaria; l’equa considerazione dell’interesse della vittima e dell’autore dell’offesa; il coinvolgimento della comunità; la riservatezza; la ragionevolezza e la proporzionalità dell’esito riparativo; l’indipendenza e l’equi prossimità del mediatore; la garanzia del tempo necessario (art. 43, d.lgs. n.150/2022);
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gli obiettivi, ovvero il riconoscimento della vittima del reato, la responsabilizzazione della persona indicata come autore dell’offesa e la ricostituzione dei legami con la comunità (art. 43, d.lgs. n.150/2022);
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le garanzie, in quanto la vittima e l’autore del reato hanno diritto all’informazione circa la facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa; inoltre, il consenso alla partecipazione deve essere personale, libero, consapevole, informato, espresso in forma scritta e sempre revocabile (art. 48, d.lgs. n.150/2022).
Nel rispetto dei principi generali della giustizia riparativa, nel procedimento penale minorile, l’art. 84 del D.lgs. n.150/2022 recita:
in qualsiasi fase dell’esecuzione, l’autorità giudiziaria può disporre l’invio dei minorenni condannati, previa adeguata informazione e su base volontaria, ai programmi di giustizia riparativa.
Considerata la delicatezza che la partecipazione di persone minorenni comporta a un programma riparativo, la norma stabilisce che i minori debbano essere accompagnati da mediatori dotati di «specifiche attitudini», con riguardo alla formazione ricevuta e alle competenze acquisite nel tempo.
La giustizia riparativa applicata a fatti di bullismo e cyberbullismo rappresenta un modello innovativo che promuove la riparazione del danno attraverso la riconciliazione tra le parti e il recupero delle relazioni compromesse dal responsabile della condotta «criminale» verso la vittima.
Questo modello si distingue dal sistema «retributivo» tradizionale, orientato principalmente alla punizione, poiché considera il reato non come un semplice atto contro la legge, ma come un’offesa alle persone e alle relazioni sociali.
L’idea di fondo è quella di rompere il circolo vizioso di isolamento che la vittima quasi sempre sperimenta sulla propria pelle, attraverso la responsabilizzazione e l’attivazione degli studenti della classe, compresi coloro che manifestano comportamenti di sopraffazione e prepotenza.
Nel caso di episodi di bullismo a scuola l’obiettivo è quello della riparazione del danno. Da un lato, i compagni di classe, dall’altro, i genitori direttamente coinvolti, con l’aiuto di un adulto, possono dar vita a un percorso di giustizia che diventa parte integrante della soluzione del conflitto. Molto importante è l’assistenza di una figura terza (ad esempio, un docente), vero e proprio facilitatore altamente formato e imparziale.
L’atto finale di questo paziente lavoro di riconciliazione coincide con un incontro volontario tra l’autore del reato e la vittima.
Con riguardo a singoli programmi di giustizia riparativa, l’articolo 53 del D.lgs. n. 150/2022 ricomprende i seguenti interventi:
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la mediazione tra la persona indicata come autore dell’offesa e la vittima del reato, estesa anche ai gruppi parentali;
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il dialogo riparativo;
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ogni altro programma dialogico guidato da mediatori, svolto nell’interesse della vittima del reato e della persona indicata come autore dell’offesa.
Con il decreto n. 150/2022, l’Italia si è dotata di uno strumento già presente sul piano internazionale e nel quadro giuridico dell’Unione europea (Direttiva 29/2012/UE).
Investendo nel legame tra i giovani e la comunità in un processo che stimola l’assunzione di responsabilità, le pratiche riparative possono rivelarsi particolarmente idonee a rispettare il principio dell’interesse superiore del minore nel processo di giustizia.