Indice
- Il bisogno educativo speciale
- La Direttiva 27 dicembre 2012
- La circolare 6 marzo 2013, n. 8
- BES e Piano per l’inclusività
- Ulteriori precisazioni
- Gli alunni con funzionamento intellettivo limite
- Gli alunni ad alto funzionamento intellettivo
- Il disturbo ADHD
- La scuola in ospedale
- L’istruzione domiciliare
1. Il bisogno educativo speciale
L’espressione «bisogno educativo speciale» (BES) viene inserita nei documenti dell’Unesco con la Dichiarazione di Salamanca del 1994, nella legislazione del Regno Unito nel 2001 (Special Educational Needs) e utilizzata nel 2003 dall’Agenzia europea per lo sviluppo dell’educazione.
Anche l’Organizzazione mondiale della Sanità ha inserito i BES nella sua Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF), definendo tale condizione con queste parole: «qualsiasi difficoltà evolutiva di funzionamento permanente o transitoria in ambito educativo o di apprendimento, dovuta all’interazione tra vari fattori di salute e che necessita di educazione speciale individualizzata».
L’approccio biopsicosociale del modello ICF dell’OMS (2001), infatti, consente di definire diverse situazioni di studenti BES, caratterizzate da problemi di varia natura: personale, familiare, sociale, in un intreccio potenzialmente illimitato di interazioni. L’idea di Bisogno Educativo Speciale, nel concetto di salute dell’ICF, si fonda sul funzionamento globale della persona nel rapporto con l’ambiente di vita e di relazione. Ciò non significa rifiutare l’importanza delle diagnosi cliniche, che hanno un evidente significato per gli aspetti di natura scientifica, legati anche a eventuali interventi riabilitativi, educativi e didattici. Significa, partendo anche da approcci clinici, descrivere lo stato di salute e di benessere della persona valorizzando le risorse e le opportunità presenti nei differenti contesti e non considerando soltanto i limiti dell’individuo.
Entro questa prospettiva si colloca il concetto di BES nella cultura pedagogica italiana. L’istanza legata ai soggetti con bisogni educativi speciali viene «presa in carico», come vedremo, dal Miur (Direttiva 27 dicembre 2012) con una rappresentazione «ombrello» che comprende tutte le possibili difficoltà educative e apprenditive di una determinata fascia di alunni: situazioni di disabilità certificata (legge 104/1992), disturbi specifici di apprendimento (legge 170/2010) e tutte le altre problematiche (deficit di attenzione, iperattività, comportamenti-problema, ecc.) di origine socioculturale e linguistiche, che determinano un significativo ostacolo all’apprendimento in contesto scolastico.
Hanno Bisogni Educativi Speciali, quindi, tutti quegli alunni che evidenziano una difficoltà nell’apprendimento e nella partecipazione sociale, rispetto alla quale è richiesto un intervento didattico mirato, individualizzato e personalizzato, nel momento in cui le normali misure e attenzioni didattiche non siano sufficienti a garantire un percorso educativo efficace (Ricerca Erickson, 2019).
A differenza delle persone con disabilità e con disturbi specifici di apprendimento per i quali è prevista una certificazione clinica, i soggetti con bisogni educativi speciali non sono il risultato di una valutazione medica. Rispondono, invece, alla necessità di andare incontro alle particolari esigenze che un alunno può manifestare, anche solamente per un periodo circoscritto. In realtà, gli alunni con BES non sono tutti uguali. Si possono suddividere in due tipologie:
-
senza certificazione clinica, comprendente gli alunni soggetti a svantaggio socioeconomico o con background migratorio con scarsa conoscenza della lingua italiana;
-
con certificazione clinica. In questa «categoria», possono essere compresi allievi con ritardo cognitivo, con ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder), con funzionamento intellettivo limite (FIL), con disturbi del linguaggio, ecc., spesso in comorbilità con altre patologie.
2. La Direttiva 27 dicembre 2012
Nel nostro Paese una tappa fondamentale del processo di inclusione a beneficio degli alunni che presentano bisogni educativi speciali è rappresentata dalla Direttiva del Miur 27 dicembre 2012 (Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica). In questo documento viene dedicata una specifica attenzione non solo agli allievi con disabilità e con disturbo specifico di apprendimento, ma anche agli alunni che vivono condizioni particolari di svantaggio e di difficoltà che, in qualche caso, risultano più complesse di quelle legate alla disabilità e alla condizione di DSA.
Sul piano meramente statistico, si calcola che almeno il 20 % degli allievi frequentanti la scuola manifesti evidenti problematicità sul piano cognitivo, affettivo e sociale, non ascrivibili a condizioni di veri e propri deficit di natura clinica.
In questo senso la Direttiva 27 dicembre 2012 rappresenta un momento particolarmente significativo nell’allargamento, anche sul piano normativo, a questa nuova «categoria» che include svantaggi di varia natura. Viene potenziata, quindi, la cultura dell’inclusione estendendola all’area dello svantaggio scolastico, che risulta «molto più ampia di quella riferibile esplicitamente alla presenza di deficit». Questo specifico svantaggio scolastico, si sottolinea nella Direttiva, che ricomprende problematiche diverse,
viene indicato come area dei Bisogni Educativi Speciali (in altri paesi europei: Special Educational Needs). Vi sono comprese tre grandi sotto-categorie: quella della disabilità; quella dei disturbi evolutivi specifici e quella dello svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale.
Nei «disturbi evolutivi specifici», oltre ai DSA, sono compresi anche deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria, dell’attenzione, dell’iperattività, ecc. Il funzionamento intellettivo limite, invece, «può essere considerato un caso di confine fra la disabilità e il disturbo specifico» (vedi paragrafo 6). Molti di questi profili sono compresi nelle categorie dei principali Manuali Diagnostici, in particolare dell’ICD-10 (oggi, ICD-11) e del DSM-5, utilizzati dai Servizi Sociosanitari italiani. Afferma Dario Ianes, uno dei primi a occuparsi di questa specifica materia, che:
sono BES tutte quelle situazioni in cui qualsiasi combinazione di fattori biostrutturali, psicologici, sociali, ambientali crea un funzionamento umano problematico. Alcune di queste sono stabili, altre transitorie e la comprensione della reale situazione di funzionamento viene fatta indipendentemente dalle diagnosi (Ianes e Cramerotti, 2016).
Nella Direttiva 27 dicembre 2012 vengono descritte in particolare alcune tipologie di bisogni educativi speciali:
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alunni con disturbi specifici riguardanti problematiche nell’area del linguaggio e nelle aree non verbali;
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alunni con deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività (ADHD), spesso in comorbilità con altri disturbi dell’età evolutiva;
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funzionamento cognitivo limite (vedi paragrafo 6).
La parte seconda della Direttiva è dedicata all’organizzazione territoriale per migliorare l’inclusione scolastica, con particolare rimando al potenziamento dei Centri Territoriali di Supporto (CTS), intesi come punti di riferimento per le scuole e la formazione dei docenti.
3. La circolare 6 marzo 2013, n. 8
Il Miur ha ripreso i problemi affrontati nella Direttiva del 27 dicembre 2012 nella circolare ministeriale 6 marzo 2013, n. 8 (Direttiva Ministeriale 27 dicembre 2012 “Strumenti d’intervento per gli alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”. Indicazioni operative), in cui vengono dettate indicazioni operative. In particolare, si prevede per gli alunni con BES, la predisposizione del Piano Didattico Personalizzato che, in accordo con la famiglia, può essere decisa autonomamente dal team dei docenti (scuola primaria) o dal consiglio di classe (secondaria di primo e di secondo grado). Viene esteso, pertanto, anche agli alunni con BES il principio della personalizzazione dell’apprendimento.
In questa nuova e più ampia ottica, si sottolinea nella C.M. 8/2013,
il Piano Didattico Personalizzato non più essere inteso come mera esplicitazione di strumenti compensativi e misure dispensative per gli alunni con DSA; esso è bensì lo strumento in cui potranno, ad esempio, includere progettazioni didattico-educative […] e interventi programmatici utili in misura maggiore rispetto a compensazioni o dispense.
In relazione all’area dello svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale, nella Circolare si riprende quanto affermato nella Direttiva e cioè che «ogni alunno con continuità o per determinati periodi» può manifestare, nel corso del percorso scolastico, il bisogno di un supporto individuale per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguate e personalizzate risposte. Tali tipologie di BES, si afferma,
dovranno essere individuate sulla base di elementi oggettivi (come, ad esempio, una segnalazione degli operatori dei servizi sociali), ovvero di ben fondate considerazioni psicopedagogiche e didattiche.
Vengono richiamati in modo specifico i problemi legati agli alunni che manifestano difficoltà legate alla scarsa conoscenza della lingua italiana (di origine straniera, di recente immigrazione). Anche per questi allievi, in casi particolari, è possibile attivare percorsi individualizzati e personalizzati.
I principi contenuti nelle norme sopra richiamate riguardano anche la scuola secondaria di secondo grado. Come per il primo ciclo d’istruzione, gli alunni con BES della scuola secondaria di secondo grado, vengono valutati sulla base del piano didattico personalizzato.
Relativamente all’organizzazione dei servizi in favore degli alunni con BES, viene sottolineata l’importanza:
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a livello di singola istituzione scolastica, del Gruppo di lavoro e di studio (GLI) con compiti di rilevazione dei BES presenti nella scuola, di raccolta e documentazione degli interventi didattico-educativi, di consulenza e supporto ai colleghi per l’efficace gestione della classe e di elaborazione di proposte per il Piano Annuale per l’inclusività, (oggi Piano per l’Inclusione – 8 del decreto legislativo n. 66/2017);
-
a livello territoriale, dei Centri Territoriali per l’Inclusione (CTI), non attivati, per la verità, in tutte le regioni del Paese.
4. BES e Piano per l’Inclusività
Alla circolare n. 8 del 6 marzo 2013, è seguita una nota del Miur del 27 giugno 2013, n. 1551 (Piano Annuale per l’Inclusività. Direttiva 27 dicembre 2012 e CM 8/2013) nella quale si prevede che il Gruppo di Lavoro per l’Inclusione scolastica (GLI) elabori una proposta di Piano Annuale per l’Inclusività (oggi, solo Piano per l’Inclusività) riferito a tutti gli alunni con BES, da redigere al termine di ogni anno scolastico. Lo scopo di tale Piano, si sottolinea nella nota, è quello di fornire un elemento di riflessione nella predisposizione del POF (oggi, PTOF – Piano Triennale dell'Offerta Formativa), di cui esso è parte integrante. Il Piano non deve essere inteso come un ulteriore adempimento burocratico, bensì come uno strumento che possa contribuire a promuovere una cultura dell’integrazione, nella prospettiva di una scuola «per tutti e per ciascuno». Pertanto, si afferma,
non è un “documento” per chi ha bisogni educativi speciali, ma è lo strumento per una progettazione della propria offerta formativa in senso inclusivo, è lo sfondo ed il fondamento sul quale sviluppare una didattica attenta ai bisogni di ciascuno nel realizzare gli obiettivi comuni, le linee guida per un concreto impegno programmatico per l’inclusione, basato su una attenta lettura del grado di inclusività della scuola e su obiettivi di miglioramento, da perseguire nel senso della trasversalità delle prassi di inclusione negli ambiti dell’insegnamento curricolare, della gestione delle classi, dell’organizzazione dei tempi e degli spazi scolastici, delle relazioni tra docenti, alunni e famiglie.
Tali complessi passaggi richiedono un percorso partecipato e condiviso da parte di tutte le componenti della comunità educante, facilitando processi di conoscenza e approfondimento, dando modo e tempo per approfondire i temi delle didattiche inclusive: gestione della classe, percorsi individualizzati e personalizzati, ecc., nella prospettiva di un miglioramento della qualità dell’integrazione scolastica del nostro Paese.
Alla nota n. 1551/2013 è seguita un’ulteriore precisazione da parte del Miur, con la nota 22 novembre 2013, n. 2563 (Strumenti di intervento per alunni con BES. A.S. 2013-2014. Chiarimenti), in cui si forniscono indicazioni su alcuni aspetti di particolare importanza rispetto ai provvedimenti precedentemente emanati.
Piano Didattico Personalizzato
In questo paragrafo si afferma che nella quotidiana esperienza scolastica si possono incontrare alunni che presentano difficoltà nel processo di apprendimento, anche di natura temporanea. In altre situazioni, invece, tali difficoltà hanno un carattere più stabile e caratterizzate da una maggiore complessità.
La scuola, si sottolinea nella nota,
può intervenire nella personalizzazione in tanti modi diversi, informali o strutturati, secondo i bisogni e la convenienza; pertanto la rilevazione di una mera difficoltà di apprendimento non dovrebbe indurre all’attivazione di un percorso specifico con la conseguente compilazione di un Piano Didattico Personalizzato.
Con la Direttiva 27 dicembre 2012 il Ministero ha voluto fornire una specifica tutela non solo agli alunni con disabilità e con DSA, ma anche ai casi di difficoltà di apprendimento per le quali dagli stessi insegnanti sono stati richiesti strumenti di flessibilità da impiegare nell’azione educativo-didattica. Pertanto, solo in presenza di «difficoltà non meglio specificate» e di particolare complessità, il team dei docenti (scuola primaria) e il consiglio di classe (scuola secondaria di I e di II grado) valuteranno se compilare o meno il Piano Didattico Personalizzato, con eventuali strumenti compensativi e/o misure dispensative.
Si afferma altresì che
non è compito della scuola certificare gli alunni con bisogni educativi speciali, ma individuare quelli per i quali è opportuna e necessaria l’adozione di particolari strategie didattiche. Si ribadisce che, anche in presenza di richieste dei genitori accompagnate da diagnosi che però non hanno dato diritto alla certificazione di disabilità o di DSA, il Consiglio di classe è autonomo nel decidere se formulare o non formulare un Piano Didattico Personalizzato, avendo cura di verbalizzare le motivazioni della decisione. Nella nota viene precisato inoltre che per “certificazione” si intende un documento, con valore legale, che attesta il diritto dell’interessato ad avvalersi delle misure previste da precise disposizioni di legge – nei casi che qui interessano: dalla Legge 104/92 o dalla Legge 170/2010 - le cui procedure di rilascio ed i conseguenti diritti che ne derivano sono disciplinati dalle suddette leggi e dalla normativa di riferimento. Per “diagnosi” si intende invece un giudizio clinico, attestante la presenza di una patologia o di un disturbo, che può essere rilasciato da un medico, da uno psicologo o comunque da uno specialista iscritto negli albi delle professioni sanitarie. Pertanto, le strutture pubbliche (e quelle accreditate nel caso della Legge 170), rilasciano “certificazioni” per alunni con disabilità e con DSA. Per disturbi ed altre patologie non certificabili (disturbi del linguaggio, ritardo maturativo, ecc.), ma che hanno un fondamento clinico, si parla di “diagnosi”.
Alunni con cittadinanza non italiana
Per quanto concerne gli alunni stranieri, nella nota n. 2563/2013, si ribadisce che solo in via eccezionale deve essere predisposto il PDP. Si tratta soprattutto (ma non solo) di quegli studenti neo-arrivati in Italia, ultratredicenni, provenienti da Paesi di lingua non latina ovvero ove siano chiamate in causa altre problematiche. Il Piano Didattico Personalizzato va quindi inteso come uno strumento in più per curvare la metodologia alle esigenze dell’alunno, o meglio alla sua persona, rimettendo alla esclusiva discrezionalità dei docenti la decisione in ordine alle scelte didattiche, ai percorsi da seguire e alle modalità di valutazione.
Piano per l’inclusività
Nella nota viene precisato quanto precedentemente affermato (nota 27 giugno 2013, n. 1551). Il Piano per l’inclusività è un momento di riflessione di tutta la comunità educante per realizzare la cultura dell’inclusione: l’obiettivo è quello di far emergere criticità e punti di forza, rilevando le tipologie dei diversi bisogni educativi speciali e le risorse impiegabili.
Relativamente agli aspetti organizzativi a livello di istituzione scolastica (GLI) e in ambito territoriale, la nota conferma quanto indicato nella circolare n. 8/2013.
5. Ulteriori precisazioni
In relazione agli alunni con Bisogni Educativi Speciali sono intervenute solo indicazioni ministeriali (direttive, circolari, note, ordinanze). A questi provvedimenti amministrativi non è mai seguito nessun atto legislativo di rango primario (legge o decreto legislativo), neppure nel campo della valutazione degli apprendimenti. Il D.lgs. 13 aprile 2017, n. 62, la norma più importante sulla valutazione dell’ultimo periodo, ha ignorato completamente il tema degli studenti con BES, non tutelati dalla legge 104/1992 o dalla legge 170/2010. Soprattutto per quanto riguarda lo svolgimento degli esami di Stato sia del primo che del secondo ciclo di istruzione, il Ministero è intervenuto solo con le annuali ordinanze o specifiche note.
Coerentemente con quanto appena detto, va segnalata la nota ministeriale 3 aprile 2019, n. 562 (Alunni con Bes. Chiarimenti), in cui si ribadisce che i principi di fondo inerenti alla condizione degli alunni con BES sono stati declinati dalla C.M. n. 8/2013 e dalle note successive illustrate nel paragrafo precedente. Si riprendono considerazioni già svolte, precisando ancora una volta che il Piano Didattico Personalizzato non risponde tanto alla logica dell’adempimento ma a quella della «cura educativa».
Nella nota di cui sopra, viene presa in considerazione anche la scuola dell’infanzia, per la quale, qualora dovessero emergere bisogni educativi speciali, sarebbe più opportuno
fare riferimento a un profilo educativo o altro documento di lavoro che la scuola in propria autonomia potrà elaborare e non ancora a un Piano Didattico Personalizzato. In sintonia con quanto già chiarito in precedenti documenti ministeriali (Linee guida allegate al D.M. 12 luglio 2011), il precocismo nell'insegnamento della letto-scrittura, ossia l'avvio di attività precipuamente didattiche, è infatti da evitare.
Nella scuola dell’infanzia, pertanto, risulta della massima importanza
svolgere osservazioni quanto più possibile sistematiche e coerenti rispetto ai comportamenti attesi, sulla base dell'età anagrafica, da parte di ciascun bambino. Ciò anche al fine di dare continuità all'azione pedagogica e rafforzando un dialogo fra gli insegnanti della scuola dell'infanzia e gli insegnanti della scuola primaria.
Nella nota n. 562/2019 vengono presi in considerazione anche alunni e studenti ad alto potenziale intellettivo, definiti Gifted children in ambito internazionale (vedi paragrafo 7). In questo, come in altri casi, la strategia da assumere è rimessa alla decisione dei Consigli di Classe o team docenti della primaria che, in presenza di eventuali situazioni di criticità con conseguenti manifestazioni di disagio, possono adottare metodologie didattiche specifiche in un’ottica inclusiva, sia a livello individuale sia di classe, valutando l'eventuale convenienza di un percorso di personalizzazione formalizzato in un PDP.
Troviamo un passaggio alquanto controverso riguardante gli alunni con bisogni educativi speciali nella circolare del Miur 4 aprile 2019, n. 5772 (Indicazioni in merito allo svolgimento degli esami di Stato nelle scuole del primo ciclo di istruzione e alla certificazione delle competenze. A.S. 2018-2019). Nelle modalità di svolgimento delle prove scritte, si afferma quanto segue:
Per gli alunni con bisogni educativi speciali (BES) che non rientrano nelle tutele della legge n. 104/1992 e della legge n. 170/2010, ma sono comunque in possesso di una certificazione clinica, non sono previste misure dispensative - peraltro non contemplate nemmeno dalla previgente normativa – ma possono essere utilizzati strumenti compensativi qualora sia stato redatto un POP che ne preveda l'utilizzo, se funzionali allo svolgimento della prova assegnata. Si rammenta, inoltre, che la commissione d'esame, in sede di riunione preliminare, individua gli eventuali strumenti (es. righello, compasso, dizionario, ecc.) che tutti gli alunni possono utilizzare per le prove scritte.
Si introduce la tipologia degli alunni con BES «in possesso di una certificazione clinica»; coloro che non si trovano in questa condizione non possono utilizzare gli strumenti compensativi. Di fatto, gli allievi con bisogni educativi speciali, individuati in modo autonomo dal team dei docenti o dal consiglio di classe, per i quali è stato predisposto un Piano didattico personalizzato, privi di una certificazione clinica, sono esclusi da ogni provvidenza prevista per tutti coloro la cui situazione di BES è stata diagnosticata sul piano clinico. Il processo di medicalizzazione, comprendente gli studenti con disabilità e con DSA, ha finito per includere anche gli alunni con bisogni educativi speciali.
6. Gli alunni con funzionamento intellettivo limite
Nella Direttiva 27 dicembre 2012 un breve paragrafo è dedicato agli alunni con «funzionamento cognitivo limite». La dizione FIL o borderline cognitivo (slow learner) viene utilizzata per indicare quei soggetti con un QI (si veda Figura 1) globale che risponde a una misura che va da 70 a 85 punti. Si tratta di una condizione evolutiva che può essere collocata in una sorta di confine tra normalità e disabilità intellettiva.
FIG. 1 Il QI: rapporto tra età mentale e età cronologica, moltiplicato per cento
Coerentemente con quanto indicato nel DSM-5, la valutazione del quoziente intellettivo è necessaria, ma non sufficiente per definire una condizione di Funzionamento Intellettivo Limite. È necessario, infatti, prendere in considerazione diverse abilità cognitive che nei test somministrati per calcolare il QI non sono comprese. In particolare, vanno osservate eventuali difficoltà legate al funzionamento adattivo, la soluzione delle quali risulta di particolare importanza affinché l’alunno possa rispondere adeguatamente alle richieste del proprio contesto di vita. Questi alunni, infatti, presentanolimiti intellettivi e problemi adattivi che, pur non precludendo un inserimento nella vita normale, possono rendere difficile un’offerta formativa personalizzata e dare risposte efficaci alle loro richieste nell’ambito scolastico e ambientale in cui sono inseriti.
Sebbene non sia possibile delineare un profilo di funzionamento dei soggetti con FIL, è possibile indicare alcune caratteristiche comuni:
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difficoltà di apprendimento;
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lentezza procedurale;
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difficoltà di acquisizione e organizzazione delle informazioni;
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problematicità nella memoria di lavoro;
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difficoltà attentive.
Nella Direttiva del 27 dicembre 2012 si afferma che la presenza di questi alunni nella nostra scuola si aggira sul 2,5% dell’intera popolazione scolastica, pari a circa 200.000 unità.
Per un approfondimento di questa materia è utile consultare il libro curato da Gianluca Daffi, Gli alunni con funzionamento intellettivo limite, edito da Erickson (Trento).
7. Gli alunni ad alto funzionamento intellettivo
La Direttiva del 27 dicembre 2012, la successiva circolare n. 8 del 2013 e le note successive del Miur (27 giugno 2013, n. 1551; 22 novembre 2013, n. 2563) sono ancora oggi i riferimenti principali delle norme riguardanti gli alunni con Bisogni Educativi Speciali.
In una circolare successiva del 4 aprile 2019, n. 5729, il Ministero dell’Istruzione ha richiamato l’importanza della Direttiva 27 dicembre 2012 e delle disposizioni attuative, ribadendo che l’inclusione scolastica rappresenta un valore primario nell’ambito delle politiche nazionali. Essa si ispira, infatti, ai principi costituzionali di eguaglianza e pari dignità sociale di ogni cittadino.
La legge-quadro 104/1992 relativa agli alunni con disabilità, la legge 170/2010 riguardante gli studenti con DSA e la Direttiva 27 dicembre 2012 riferita agli allievi con BES costituiscono i capisaldi della scelta inclusiva italiana.
A questi provvedimenti, va aggiunta anche la legge 107/2015 nella quale si afferma che, fra gli obiettivi prioritari del nostro sistema di istruzione viene posto
il potenziamento dell'inclusione scolastica e del diritto allo studio degli alunni con bisogni educativi speciali attraverso percorsi individualizzati e personalizzati. Le disposizioni in materia mirano ad assicurare agli alunni con bisogni educativi speciali, bisogni che possono assumere anche forma transitoria, gli adeguati strumenti di supporto indispensabili per la loro partecipazione alla vita scolastica su un piano di uguaglianza con gli altri compagni e compagne di classe.
La cura educativa che le istituzioni scolastiche e gli insegnanti devono promuovere si estrinseca nell’elaborazione del PDP, che non va assunto come semplice adempimento burocratico, ma strumento condiviso per consentire a un alunno di dialogare e di cooperare con i compagni della classe, sotto l’attenta regìa dei docenti nell'ottica di una effettiva corresponsabilità educativa di ogni componente del team o del consiglio di classe.
Il giorno prima dell’emanazione della circolare n. 5729/2019, nella nota 3 aprile 2019, n. 562 (Alunni con bisogni educativi speciali. Chiarimenti) il Miur ha esaminato anche il problema degli studenti ad «alto potenziale intellettivo» (Gifted children). A questo proposito, molte scuole hanno considerato questa tipologia di alunni nell’ambito del Bisogni educativi speciali. «Tale prassi», si legge nella nota, «assolutamente corretta, attua la prospettiva della personalizzazione degli insegnamenti, la valorizzazione degli stili di apprendimento individuali e il principio di responsabilità educativa».
L’educazione di questi alunni è rimessa alla decisione dei Consigli di Classe o Team Docenti della primaria che possono valutare interventi specifici considerando l’eventualità di predisporre per loro un Piano didattico personalizzato.
Infatti, gli alunni con un alto potenziale cognitivo rischiano di essere emarginati e vivere l’esperienza scolastica in senso negativo. Paradossalmente, sono espressione anch’essi di un bisogno educativo speciale che deve essere riconosciuto dalla scuola e dagli insegnanti. Da qui l’importanza di preparare i docenti a individuare le caratteristiche di questi allievi attraverso un lavoro di formazione basato su programmi didattici personalizzati.
La plusdotazione intellettiva non ha una definizione univoca. È difficile stabilire criteri per definire un soggetto «gifted». Può essere considerata una condizione di essere diversamente intelligenti, soprattutto per quanto concerne la qualità del pensiero. Chi rientra in un profilo di giftedness presenta un QI superiore a 130 punti. I bambini ad alto funzionamento intellettivo possono essere accomunati da alcune ricorrenti caratteristiche, quali:
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linguaggio ricco e fluido e spiccate abilità verbali: molti bambini iperdotati iniziano a parlare prima dei coetanei;
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abilità precoci di lettura e scrittura: alcuni di loro imparano a leggere e scrivere ben prima del primo anno di scuola primaria;
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buona memoria: una caratteristica fondamentale è che essi imparano in fretta e facilmente e ricordano con meno allenamento rispetto ai coetanei;
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un’ampia gamma di interessi, molto più ampi e sviluppati rispetto alla media;
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spiccata creatività:in genere manifestano una forte immaginazione e creatività;
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intensità:sono dotati spirito critico e di profondità di pensiero rispetto ai coetanei della loro età.
C’è anche il rovescio della medaglia: il bambino gifted può vivere una certa disincrocia, tendere ad annoiarsi e incontrare difficoltà a stabilire relazioni positive con gli altri. Questi aspetti problematici potrebbero essere canalizzati, nella prospettiva di una classe inclusiva, verso l’attribuzione di funzioni di aiuto e sostegno verso altri compagni di classe: ad esempio, un peer tutor esperto a supporto dei compagni in difficoltà!
8. Il disturbo ADHD
Nella Direttiva del 27 dicembre 2012, un paragrafo è dedicato agli alunni e studenti «con problemi di controllo attentivo e/o dell’attività, spesso definiti con l’acronimo ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder)». In italiano, si usa un’espressione simile, deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività.
Nella Direttiva si sottolinea che
L’ADHD si può riscontrare anche spesso associato ad un DSA o ad altre problematiche, ha una causa neurobiologica e genera difficoltà di pianificazione, di apprendimento o di socializzazione con i coetanei. Si è stimato che il disturbo, in forma grave tale da compromettere il percorso scolastico, è presente in circa l’1% della popolazione scolastica, cioè quasi 80.000 alunni.
Riguardo alle origini, negli ultimi tre decenni, le conoscenze scientifiche si sono notevolmente arricchite per l’intensificarsi di studi riguardanti il funzionamento del cervello, anche se tuttora i pareri circa l’ADHD non sono unanimi.
Possiamo evidenziare due «scuole di pensiero»: la prima attribuisce le cause maggiori alle condizioni ambientali; la seconda, come detto, invece, ad anomalie di tipo neurobiologico. Con ogni probabilità, è verosimile che l’origine dell’ADHD sia multifattoriale e che i fattori neurobiologici e psicosociali siano una concausa del suo manifestarsi.
I problemi degli alunni con deficit di attenzione e iperattività sono stati affrontati in una circolare del Miur del 15 giugno 2010, n. 4089 (Disturbo di deficit di attenzione ed iperattività), nella quale vengono descritte le difficoltà più ricorrenti e pervasive che questi ragazzi incontrano nel percorso scolastico. Esse sono principalmente le seguenti:
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selezionare le informazioni necessarie per eseguire il compito e mantenere l’attenzione per il tempo utile a completare la consegna;
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resistere a elementi distraenti presenti nell'ambiente o a pensieri divaganti;
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seguire le istruzioni e rispettare le regole (non a causa di comportamento oppositivo o di incapacità di comprensione);
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utilizzare i processi esecutivi di individuazione, pianificazione e controllo di sequenze di azioni complesse, necessarie all’esecuzione di compiti e problemi;
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regolare il comportamento che si caratterizza, quindi, per una eccessiva irrequietezza motoria e si esprime principalmente in movimenti non finalizzati, nel frequente abbandono della posizione seduta e nel rapido passaggio da un'attività all'altra;
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controllare, inibire e differire risposte o comportamenti che in un dato momento risultano inappropriati, come aspettare il proprio turno nel gioco o nella conversazione;
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applicare in modo efficiente strategie di studio che consentano di memorizzare le informazioni a lungo termine.
Gli alunni con ADHD possono, inoltre, presentare difficoltà nel mantenere relazioni positive con i coetanei, nell'autoregolare le proprie emozioni, nell'affrontare adeguatamente situazioni di frustrazione imparando a posticipare la gratificazione e nel controllare l’insorgere di momenti di aggressività.
La diagnosi di ADHD si basa su due sistemi di classificazione internazionale: l’ICD-10, International Classification of Diseases (è oggi in vigore la versione ICD-11) e il DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), redatto dall’Associazione psichiatrica americana.
Nel DSM-5 sono state apportate alcune correzioni rispetto alla versione precedente (DSM-4); quella più rilevante si riferisce al fatto che i sintomi del disturbo devono presentarsi in diversi ambienti (almeno due contesti: per esempio, casa e scuola; scuola e situazioni di gioco, ecc.).
Nella tabella 21.2 del DSM-5, l’ADHD è dettagliatamente descritto nelle due voci che caratterizzano il disturbo: la disattenzione e l’iperattività/impulsività.
9. La scuola in ospedale
Tra le varie situazioni che rientrano nella casistica dei Bisogni educativi speciali, i bambini e i ragazzi ricoverati in ospedale costituiscono una priorità a cui da decenni il Ministero dell’Istruzione ha cercato di dare una risposta concreta.
La scuola in ospedale garantisce ai minori ricoverati in strutture di cura, il diritto all'apprendimento in un contesto completamente diverso da quello che si svolge in un contesto formativo. Il suo scopo principale è quello di aiutare i «pazienti» ricoverati in reparti ospedalieri a intraprendere o a mantenere un percorso di istruzione, che consenta loro di conservare i legami con il proprio ambiente di vita familiare e scolastico.
Già con l’approvazione della legge 104/1992 si evidenziava l’esigenza di assicurare ad alunni e studenti affetti da gravi patologie la possibilità di poter fruire di servizi scolastici personalizzati, alternativi ai canali formali.
Le norme di rango primario che si sono occupate recentemente della scuola in ospedale e dell’istruzione domiciliare sono i seguenti decreti legislativi, tutti attuativi della legge 107/2015:
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62/2017, Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato (art. 22);
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63/2017, Effettività del diritto allo studio attraverso la definizione delle prestazioni in relazione ai servizi alla persona (art. 8);
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66/2017, Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità (art. 16).
Per assicurare i primari ed essenziali diritti delle persone di cui ai decreti sopra richiamati, il Miur ha messo, da tempo, a disposizione due tipologie di offerte formative:
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la scuola in ospedale (SIO);
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l’istruzione domiciliare (ID).
La SIO e l’ID devono interagire tra loro e concorrere, per uno stesso alunno, a garantire il diritto all’istruzione e alla formazione. È necessario, pertanto, che tutti gli operatori coinvolti, nell’ambito degli specifici ruoli e responsabilità, si impegnino nella definizione e condivisione di ogni singolo progetto.
Nell’a.s. 2022-2023, risultavano presenti sul territorio nazionale 257 sezioni ospedaliere con il coinvolgimento di 955 docenti. Nello stesso anno, hanno usufruito di tale offerta formativa 59.226 studenti, prevalentemente della Scuola dell’infanzia e primaria (circa il 70%) e 5.270 della Scuola secondaria di secondo grado.
Il Miur con decreto 6 giugno 2019, n. 641 ha presentato le Le Linee di indirizzo sulla scuola in ospedale e l’istruzione domiciliare, con l’obiettivo di ampliare e integrare il precedente documento: Il servizio di istruzione domiciliare. Vademecum ad uso delle scuole di ogni ordine e grado (2003).
Nelle Linee di indirizzo sopra richiamate, sono confermati gli aspetti fondamentali del servizio di scuola in ospedale e istruzione domiciliare, con particolare riferimento alla promozione dei seguenti criteri di qualità:
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garantire l’integrazione dell’intervento della scuola ospedaliera con quello della classe di appartenenza e con l’attività didattica di istruzione domiciliare dello studente;
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ricontestualizzare il domicilio-scuola, in modo da garantire allo studente la massima integrazione con il suo gruppo classe. A tal fine è indispensabile l’individuazione di strategie didattiche e relazionali adeguate al contesto;
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diffondere la conoscenza delle opportunità offerte dalla scuola in ospedale e dall’istruzione domiciliare, considerato che potrebbe interessare, senza preavviso e con urgenza, qualsiasi contesto scolastico;
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garantire omogeneità nell’erogazione del servizio su tutto il territorio nazionale, attraverso indicazioni di dettaglio per una corretta e completa applicazione nel rispetto della normativa vigente.
Con l’approvazione delle Linee di indirizzo nazionali riguardanti la scuola in ospedale, il Miur ha confermato gli elementi fondamentali della gestione del servizio di tale scuola e dell’istruzione domiciliare.
Quest’ultimo Regolamento intende costituire uno strumento operativo concreto, volto, da un lato, ad agevolare e coordinare le procedure amministrative documentali necessarie, dall’altro, a fornire indicazioni utili a riorientare opportunamente le strategie metodologico-didattiche.
In particolare, vengono evidenziati alcuni criteri di tale servizio, quali:
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la flessibilità organizzativa, metodologica e valutativa;
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la personalizzazione delle azioni di insegnamento-apprendimento;
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l’utilizzo didattico delle tecnologie digitali;
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la particolare cura della relazione educativa.
Dunque, questa particolare offerta formativa, attiva in tutti i principali ospedali del Paese, è finalizzata ad assicurare a tutti gli alunni il diritto allo studio e a contrastare l’abbandono scolastico dovuto alla malattia e a periodi di ospedalizzazione, concorrendo all’umanizzazione del ricovero e integrando con uno specifico intervento educativo il programma terapeutico.
Tale peculiare servizio si è gradualmente esteso fino a includere la scuola secondaria di secondo grado.
In particolare, le attività di Scuola in ospedale devono essere organizzate previo confronto e coordinamento tra il Dirigente scolastico e il Direttore Sanitario della struttura ospedaliera per il rispetto dei previsti protocolli di sicurezza in ambiente ospedaliero.
Ai sensi dell’art. 22 del D.lgs. n. 62/2017, per le alunne e gli alunni, le studentesse e gli studenti che frequentano corsi di istruzione funzionanti in ospedali o in luoghi di cura per periodi temporalmente rilevanti, i docenti, che impartiscono i relativi insegnamenti, trasmettono alla scuola di appartenenza elementi di conoscenza, in ordine al percorso formativo individualizzato attuato dai predetti alunni e studenti, ai fini della valutazione periodica e finale.
Il MIM, ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 63, ha emanato il decreto 9 ottobre 2023, n.1966, nel quale disciplina i criteri e le modalità per l’erogazione dei finanziamenti finalizzati al servizio di scuola in ospedale e di istruzione domiciliare per l’a.s. 2023/2024.
Pertanto, al fine di garantire il diritto all'istruzione delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti ricoverati in ospedale, in case di cura e riabilitazione e il diritto all’istruzione domiciliare, nonché per assicurare l'erogazione dei servizi e degli strumenti didattici necessari, anche digitali e in modalità telematica, è ripartita su base regionale, per l’anno scolastico 2023/2024, la somma di euro € 2.720.500.
10. L’istruzione domiciliare
Questo servizio coinvolge le scuole di ogni ordine e grado del territorio nazionale; si attiva a seguito di un periodo più o meno lungo di ospedalizzazione qualora la certificazione medica attesti l’impossibilità dello studente di riprendere la scuola a causa dello stato di salute e per la prosecuzione di cure a domicilio.
Il servizio di istruzione domiciliare può essere destinato a studenti di ogni ordine e grado sottoposti a terapie domiciliari che impediscono la frequenza della scuola per un periodo di tempo non inferiore a trenta giorni, anche non continuativi. Nel 2022/2023 hanno usufruito di questo servizio 2067 alunni, per un totale di 119.198 ore di istruzione domiciliare.
L’istruzione a domicilio può essere garantita principalmente con due modalità, attraverso:
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la predisposizione di uno specifico progetto, che può essere presentato in qualunque momento dell’anno scolastico, a cura del consiglio di classe dell’alunno interessato. Il progetto, una volta autorizzato e finanziato dall’USR (Ufficio Regionale Scolastico) di appartenenza, consente alla scuola di inviare il personale docente disponibile a domicilio per seguire lo studente impossibilitato a frequentare la scuola. Le modalità di gestione del servizio sono decise, a seconda delle specifiche situazioni, dalle istituzioni scolastiche;
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l’attivazione di un progetto a distanza, supportato e garantito dalle nuove tecnologie, che presentano il vantaggio di consentire allo studente di seguire da casa le lezioni e le attività scolastiche dei compagni di classe.
L’ID, si afferma nel Decreto n. 641/2019 e nelle Linee di indirizzo allegate, si configura come uno specifico ampliamento dell’offerta formativa che arricchisce le opportunità formative erogabili dalle istituzioni scolastiche, garantendo così l’organizzazione di servizi alternativi ai giovani in situazione di temporanea malattia.
Tali percorsi scolastici, come sottolineato nel Decreto sopra richiamato del Miur,
sono validi a tutti gli effetti e mirano a realizzare piani didattici personalizzati e individualizzati secondo le specifiche esigenze, affinché sia garantita a tutti la possibilità reale di fruizione del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, anche a domicilio o in luoghi di cura.
Negli ultimi anni, il problema degli alunni o degli studenti in ospedale o bisognosi di supporti a domicilio è stato affrontato da una pluralità di provvedimenti normativi, a cominciare dalla legge 107/2015 (commi 180 e 181, lettera f).
Il Decreto legislativo n. 63/2017 (diritto allo studio), attuativo di questa legge, all’art. 8 recita:
per garantire il diritto all’istruzione delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti ricoverati in ospedale, in case di cura e riabilitazione e il diritto all’istruzione domiciliare è assicurata l'erogazione dei servizi e degli strumenti necessari, anche digitali e in modalità telematica, nel limite della maggiore spesa di euro 2,5 milioni annui a decorrere dal 2017.
Della sola istruzione domiciliare si occupa, invece, il Decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66 Norme per la promozione dell'inclusione scolastica degli studenti con disabilità, a norma dell'articolo 1, commi 180 e 181, lettera c), della legge 13 luglio 2015, n. 107.
All’art. 16 Istruzione domiciliare del Decreto si sottolinea che
le istituzioni scolastiche, in collaborazione con l'Ufficio scolastico regionale, gli Enti locali e le aziende sanitarie locali, devono individuare azioni per garantire il diritto all'istruzione alle bambine e ai bambini, alle alunne e agli alunni, alle studentesse e agli studenti per i quali sia accertata l'impossibilità della frequenza scolastica per un periodo non inferiore a trenta giorni di lezione, anche non continuativi, a causa di gravi patologie certificate, attraverso progetti che possono avvalersi dell'uso delle nuove tecnologie.
Infine, del problema si interessa il D.M. 27 ottobre 2017, n. 851 che destina una serie di risorse economiche finalizzate a sostenere le istituzioni scolastiche nel raggiungimento di fini di equità, qualità e inclusività.
L'art. 7 di tale decreto (Scuola in ospedale e istruzione domiciliare) mise allora a disposizione 1 milione di euro così suddivisi:
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7000,00 euro da ripartire in favore di ciascuna delle 18 scuole polo regionali per la scuola in ospedale e l'istruzione domiciliare;
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3000,00 euro per le azioni di supporto, sviluppo e coordinamento nazionale, incluso il funzionamento del portale nazionale per la scuola in ospedale e l’istruzione domiciliare.
La scuola-polo regionale, individuata dall’Ufficio scolastico regionale, sostiene l’attività svolta nelle sezioni ospedaliere del territorio di competenza. È anche affidataria delle dotazioni tecnologiche a supporto dell’istruzione domiciliare ed è incaricata della gestione amministrativo-contabile delle risorse assegnate.
A sua volta, il Comitato Tecnico Regionale, costituito da ciascun USR, è presieduto dal direttore regionale o da suo delegato ed è composto dal Dirigente della scuola polo, da referenti dell’USR, da personale di scuole ospedaliere presenti sul territorio, e da altri soggetti istituzionali responsabili di azioni atte a promuovere il benessere della persona. Ha la finalità di sostenere e monitorare le situazioni in atto e i bisogni emergenti, definire criteri per l’organizzazione del servizio e i modelli di intervento, promuovere i processi di formazione dei dirigenti e dei docenti coinvolti, stabilire i criteri di ripartizione delle risorse disponibili.
Il nuovo Portale Nazionale per la Scuola in ospedale e per l’istruzione domiciliare è stato presentato dal Miur il 15 maggio 2019. Si tratta di uno strumento indispensabile per fornire alle famiglie degli alunni ricoverati, in ospedale o a domicilio, tutte le informazioni su questo particolare tipo di servizio. Sostiene l’impegno dei docenti con l’uso delle tecnologie e consente, inoltre, alle scuole di realizzare le migliori strategie inclusive, anche attraverso un collegamento puntuale degli alunni con le classi di appartenenza.
Sul Portale è possibile entrare nella Rete di scopo che accomuna 19 scuole polo regionali per la condivisione di buone pratiche e lo sviluppo di iniziative territoriali di formazione. Essa assicura un fondamentale punto di raccordo e confronto tra le diverse realtà regionali e garantisce una costante interlocuzione con il Ministero.
Nel corso dell’anno 2020 il Ministero dell’istruzione ha sviluppato il registro elettronico per la scuola in ospedale e l’istruzione domiciliare (RESO) che consente di documentare le attività didattiche e formative che si svolgono in questi due segmenti scolastici. Dall’a. s. 2020/21 è disponibile in via ordinaria (a carattere non obbligatorio) per tutte le scuole.
Bibliografia
Ricerca e Sviluppo Erickson, Bisogni educativi speciali nella scuola italiana. In D. Ianes, S. Cramerotti, N. Capaldo e L. Rondanini (2019), Insegnare domani nella scuola italiana, Trento, Erickson.
Ianes D. e Cramerotti S. (2016), Dirigere scuole inclusive, Trento, Erickson.