Essenzialità e umanità: il successo del Metodo Analogico spiegato da Camillo Bortolato

Il maestro Camillo Bortolato ripercorre la nascita, lo sviluppo e l’impatto del Metodo Analogico da lui ideato, in occasione dei trent’anni dall’inizio della collaborazione con Erickson

Essenzialità e umanità: il successo del Metodo Analogico spiegato da Camillo Bortolato

In principio fu… la Linea del 20. Uno strumento composto da 20 tasti, costruito artigianalmente su un supporto di legno, utilizzando come tasti i regoli didattici, all’epoca molto diffusi nelle scuole italiane. Era la metà degli anni Settanta, e con quella semplice invenzione iniziava una rivoluzione didattica.

Il “papà” della Linea del 20 – e degli strumenti e libri che ne sono seguiti – è Camillo Bortolato: allora un giovane maestro elementare e studente di pedagogia, oggi insegnante in pensione che continua a essere profondamente legato al mondo della scuola, con idee e proposte sempre innovative.

Quest’anno, Camillo Bortolato festeggia i 30 anni di collaborazione con Erickson, un percorso straordinario che ha trasformato il Metodo Analogico in un punto di riferimento per l’educazione in Italia.

Lo abbiamo raggiunto via Skype, nella sua casa in provincia di Treviso, per una chiacchierata speciale, programmata casualmente proprio il giorno del suo compleanno, il 28 novembre (tanti auguri anche per questo, Camillo!)

Buongiorno, Camillo. Ci racconti com’è nato il metodo didattico da te ideato, oggi conosciuto da tutti come “Metodo Analogico Bortolato”?

«Il Metodo Analogico è nato a metà degli anni Settanta quando ero ancora nel primo anno di insegnamento alla scuola primaria. Ho deciso di seguire una strada diversa rispetto a quella tradizionale. Invece di usare l'insiemistica, ho creato la Linea del 20, che mi permetteva di presentare i concetti in modo immediato. Non è stata un'invenzione vera e propria, ma una constatazione della realtà: ho mostrato ai bambini due paia di mani e loro hanno imparato in un giorno quello che normalmente si insegna in mesi. Ho capito che con le parole non si ottiene molto, mentre con gli strumenti i bambini comprendono meglio. A casa i miei avevano una piccola fabbrica, e lì mi sono messo anch’io a costruire i primi strumenti. Erano fatti in legno, in maniera artigianale. Poi ho cominciato a diffonderli tra gli insegnanti che incontravo».

Che tipo di alunno è stato Camillo Bortolato?

«Ero un bambino buono, un po’ emotivo, piuttosto introspettivo. Mi ricordo che cercavo di trovare delle soluzioni per conto mio, in qualsiasi materia, per via di questa mia attitudine a essere introspettivo.
Allo stesso tempo, questo mio modo di essere mi ha aiutato, perché ho capito che l'apprendimento dei bambini è superiore a quello degli adulti, e così ho sviluppato un metodo che punta sulle associazioni e non sulla progressione lineare».

Quando hai deciso di fare dell’insegnamento il tuo mestiere?

«L'ho deciso quasi per caso, perché stavo frequentando l'Università di Pedagogia a Padova, cercavo di avere un mio introito e l’idea di insegnare mi sembrava interessante, così ho cominciato a fare qualche supplenza. Era il 1975 e i bambini mi sembravano affascinanti per la loro meravigliosa umanità».

C'è un maestro che ti ha ispirato?

«Avevo un maestro che era reduce dalla guerra in Africa. Era severo, ma buono. Mi affascinava il suo modo di fare tutto in maniera semplice e diretta. Poi, mi ha ispirato anche Mario Lodi, che parlava di lavoro manuale, e io sono sempre affascinato da chi lavora con le mani, la trovo una cosa straordinaria. Da lui ho imparato l'importanza di partire dalla fine, di presentare le cose per ciò che sono, senza troppi giri di parole. Più tardi ho imparato, anche grazie a mia moglie Laura, l’importanza della psicologia e delle emozioni nell’insegnamento. Anche la filosofia antica è stata preziosa per me, ho sempre studiato il passato, e sono rimasto colpito da quanto erano rigorosi e accurati un tempo i maestri, che scrivevano tutto a mano».

Hai dedicato 40 anni della tua vita alla scuola. Che cosa ricordi con più affetto?

«Mi ricordo dei bambini buoni, silenziosi, intelligenti, che sapevano sopportare la vita scolastica. Mi è sempre piaciuto sentire la loro energia, e vedere come si prestavano aiuto reciprocamente. Tra tutti, ho conservato una relazione con quelli che avevano più difficoltà. Oggi posso dire di essere soddisfatto di non averli forzati nell'apprendimento, ma di averli accompagnati con pazienza a raggiungere ogni traguardo».

Un ricordo di Laura

A questo punto interviene Laura, moglie di Camillo, per aggiungere un ricordo personale: «Mi ricordo il giorno in cui entrai nella classe di Camillo, io allora ero un’insegnante di sostegno. C'erano un'armonia, una serenità fuori dal comune. Ho capito subito come Camillo ponesse attenzione ai tempi di apprendimento degli alunni. Per fare questo ricorreva spesso anche alla respirazione e a piccoli intervalli di attività fisica».

Come è cambiato nel tempo l'approccio al Metodo Analogico da parte delle scuole?

«Il Metodo Analogico si è diffuso soprattutto grazie al passaparola tra insegnanti sensibili al cambiamento. All'inizio era stato pensato per bambini in difficoltà, ma poi è stato adottato per tutti gli alunni della classe. Il metodo in buona parte si è autopromosso, grazie alla consapevolezza degli insegnanti che si può cambiare la scuola anche solo nella propria classe, con coraggio e voglia di innovazione».

Quando hai capito che il tuo approccio alla matematica poteva estendersi ad altre materie?

«Una decina di anni fa, mi sono reso conto che quello che funzionava in matematica poteva essere applicato anche ad altre materie. A scuola c’è troppa lentezza, scambiata per gradualità. Ma noi esseri umani non abbiamo bisogno di percorsi lunghi, ma piuttosto di scoperta e di essenzialità. Da questo punto di vista, posso dire che il Metodo Analogico ha rivoluzionato completamente la prospettiva didattica».

Tra i tanti progetti editoriali che hai realizzato, a quale progetto sei più legato?

«Mi dà molta soddisfazione l'idea dell'italiano. Ho scoperto che è possibile imparare a leggere in un giorno e, subito dopo, iniziare a leggere libri di storie, come i nostri libri di lettura. Ho sostituito i libri di lettura tradizionali, spesso pesanti e frustranti, con un percorso che appassiona i bambini».

Oggi nell’insegnamento si utilizzano spesso le tecnologie digitali. Come si integra il Metodo Analogico con queste tecnologie?

«Il Metodo Analogico si integra perfettamente con le tecnologie digitali. Quando presentiamo gli strumenti didattici, è come lavorare con un computer: le immagini risolvono immediatamente i problemi. Anche il digitale, però, deve essere accompagnato dalla fatica dell'esecuzione, dal lavoro manuale che consente una comprensione profonda».

Che impatto ha avuto il tuo lavoro su insegnanti e bambini, secondo te?

«Ogni giorno ricevo messaggi di insegnanti che mi dicono che il Metodo Analogico ha cambiato la loro vita in classe, perché va al nucleo essenziale dell’apprendimento. In pochi giorni si riesce a fare il programma che normalmente richiede mesi di lavoro. Il Metodo Analogico semplifica l'insegnamento, lo rende accessibile a tutti».

Se potessi dare un consiglio agli insegnanti di oggi, cosa diresti?

«Guardate i bambini con occhi diversi. I bambini si accendono se vedono che l'insegnante trasmette loro qualcosa di autentico. Non abbiate paura di essere diversi, di fare qualcosa di nuovo e coraggioso, come ho fatto io e tanti altri insegnanti nelle loro classi».

E ai genitori, come suggeriresti di supportare i figli nell’apprendimento?

«Ai genitori dico di stare vicino ai bambini, di partecipare alla fatica dell'apprendimento. Non temete per l'intelligenza dei vostri figli, perché non può essere distrutta o rovinata. I bambini hanno capacità nascoste che emergeranno con il tempo, se sostenuti nel modo giusto».

A quale progetto stai lavorando adesso?

«Stiamo lavorando a un programma di storia, in cui presentiamo la storia come una grande favola affascinante. Abbiamo scisso l’aspetto disciplinare in cui si raccontano i fatti da quello in cui si dice come hanno fatto gli storici a scoprire tutto quanto è accaduto. Prima la passione, poi la riflessione».

E allora grazie, Camillo, per averci aperto le porte della tua esperienza e condiviso con noi un pezzo della tua vita.

Grazie, soprattutto, per questi 30 anni di collaborazione con Erickson, durante i quali hai portato il Metodo Analogico nelle scuole, dimostrando che la semplicità e l’umanità possono davvero cambiare il modo in cui apprendiamo.

Foto MAB

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