Come parlare di guerra con bambini e bambine?

Alcuni esperti di psicologia ed educazione, da Franco Lorenzoni a Daniele Novara, da Alberto Pellai a Giuliana Franchini a Giuseppe Maiolo, offrono suggerimenti e spunti di riflessione per affrontare il tema della guerra con i più piccoli

Come parlare di guerra con bambini e bambine?

Dal 24 febbraio 2022, attraverso fotografie, video, servizi, la guerra è entrata nei discorsi quotidiani e nei pensieri di tutti noi. Così come è entrata negli occhi e nella mente di noi adulti, è entrata anche negli occhi e nella mente dei più piccoli, ossia di coloro che hanno meno strumenti, sia dal punto di vista cognitivo che da quello emotivo, per difendersi dal dolore e dalla devastazione che un evento tragico come la guerra provoca, anche quando non la si vive direttamente sulla propria pelle.

Siamo stati in tanti a chiederci fino a che punto sia giusto parlare di guerra con i bambini e soprattutto come farlo in modo corretto, evitando di spaventarli e turbarli ulteriormente e allo stesso tempo senza dare loro certezze che potrebbero rivelarsi false.

In questi giorni vari esperti di educazione, didattica e psicologia si sono espressi su questo argomento. Qui di seguito abbiamo raccolto alcuni dei loro interventi più significativi. Ve li proponiamo in sintesi.

Franco Lorenzoni: «È importantissimo parlare di guerra con i bambini, ascoltandoli e dando valore al loro pensiero”

Franco Lorenzoni, maestro elementare per quarant’anni e fondatore della Casa-laboratorio di Cenci ad Amelia, non ha dubbi: di guerra con i bambini è importantissimo parlare, perché i bambini «sono in grado di affrontare grandi temi a qualsiasi età». L’importante è “farlo insieme”, dandosi tempo, «ascoltarli con attenzione per poter affrontare le loro ansie e timori e per riuscire a dare valore al loro pensiero, dialogando con loro».
Il dialogo e il confronto sono ancora più importanti laddove c’è una paura da affrontare, continua il maestro Lorenzoni: «Proprio perché la guerra è una cosa che spaventa, che fa paura, bisogna cercare di elaborare insieme la paura. Non dimentichiamo mai che la guerra è il modo più osceno in cui si palesa ai loro occhi la follia del mondo adulto che, invece di rassicurarli, li terrorizza». Alla domanda su come rispondere agli interrogativi dei bambini sulla guerra, Lorenzoni suggerisce la strada della sincerità, anche ammettendo di non essere noi stessi in grado di capire certe cose: «Siamo tutti di fronte a qualcosa di difficilmente comprensibile perché anche noi adulti non sappiamo esattamente perché è scoppiata questa guerra e, soprattutto, come andrà a finire. Credo che confrontarsi con il tema dell'incertezza, ammettendo le nostre difficoltà, appartenga a pieno titolo all'educare alla complessità, oggi».
L’intervista completa di Franco Lorenzoni a “la Repubblica” è disponibile al seguente link.

Daniele Novara«Parliamo di guerra ai bambini dai 9-10 anni, prima sono troppo piccoli, occorre proteggerli»

La pensa in maniera un po’ diversa da Lorenzoni il pedagogista Daniele Novara, che è anche fondatore del Centro psicopedagogico per l'educazione e la gestione dei conflitti, secondo il quale è opportuno iniziare a parlare di guerra ai bambini nella seconda infanzia, a partire dal 9-10 anni: «Prima vanno in qualche modo protetti: la guerra è per fortuna qualcosa di distante dal loro immaginario e bisogna evitare di farla entrare nelle loro emozioni infantili. I bambini non andrebbero esposti alle immagini di distruzione e di morte. Ancor più se soli, abbandonati davanti alla tv senza filtri o protezioni».
Un errore importante da evitare di commettere secondo Novara è quello di paragonare i litigi dei bambini ai conflitti bellici: «Creare questa assurda correlazione tra il litigio infantile - un comportamento normale, innocente, naturale, legato al gioco - e un evento così tragico, devastante e irreversibile, come quello della guerra, è l'errore principale che possiamo fare: è terrorismo educativo. Piuttosto è imparando a litigare che si imparano a gestire i conflitti».
L’intervista completa a Daniele Novara si può leggere nell’articolo de “la Repubblica”

Alberto Pellai: «Anche nei giorni di tempesta noi adulti dobbiamo saper essere base sicura per i nostri bambini»

Alberto Pellai, medico psicoterapeuta, ricercatore e scrittore, sottolinea l’importanza di trasmettere un senso di vicinanza e sicurezza ai bambini: «Per i bambini vedere immagini di guerra è destabilizzante e traumatizzante. I piccoli vanno rassicurati e tranquillizzati perché non riescono a proteggersi da soli, sono completamente dipendenti dagli adulti che si occupano di loro. Bisogna mostrare loro un mondo che riesce ad accogliere i bambini in fuga dalla guerra, facendo vedere come in questa parte del mondo i bambini riescono a diventare anche salvatori di altri bambini».
Alberto Pellai suggerisce di far diventare la guerra una narrazione attraverso cui si costruisce la pace, perché l’unica educazione a cui hanno diritto i bambini è quella alla pace, come ci ricorda anche Gianni Rodari nella poesia “Promemoria” ( “Ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio, la guerra”).

L’intervista ad Alberto Pellai ripresa qui è stata rilasciata nella puntata del 5 marzo 2022 del programma “Le parole” di Massimo Gramellini su RAI3.

Giuliana Franchini«Chiediamo ai bambini come si sentono e stimoliamoli a condividere con noi le loro ansie e le loro paure»

Giuliana Franchini, psicoterapeuta infantile, ha pubblicato un video assieme al marito Giuseppe Maiolo, psicoterapeuta a sua volta, per aiutare i genitori ad affrontare il tema della guerra in Ucraina insieme ai propri bambini, evitando di traumatizzarli (“Come raccontare la guerra in Ucraina ai bambini: il video”, pubblicato sul sito del Giornale di Brescia).
Secondo la psicoterapeuta, la cosa più importante da fare è non lasciare i bambini da soli a vedere le immagini di distruzioni, sparatorie ed esplosioni diffusi a profusione dai servizi di informazione. Questo perché fino agli 8 anni i bambini non hanno ancora elaborato bene il concetto di morte, perciò non sono in grado di affrontare questi argomenti senza un accompagnamento adeguato da parte degli adulti.
Un altro suggerimento della psicoterapeuta è quello di chiedere ai bambini come si sentono, soprattutto se sono taciturni. «Bisogna riuscire a rassicurarli senza appesantirli con i nostri pensieri e le nostre angosce di adulti. Risulta fondamentale accogliere le loro preoccupazioni e il loro dolore, aiutarli ad esprimere ansie e paure, che non sono emozioni negative da tenersi dentro e nascondere, ma sentimenti che vanno elaborati e trasformati».