Le emozioni sono una valutazione rispetto a ciò che avviene intorno a noi. Provare emozioni significa valutare la realtà ed effettuare un confronto fra la nostra situazione (o quella nella quale pensiamo di essere immersi)e la realtà (o come noi crediamo che sia fatto il mondo, compresa la gerarchia di 3 valori a cui noi siamo legati ed a cui prestiamo fede). Anche l’empatia è una valutazione relativa a ciò che accade intorno a noi ed a cui aderiamo perché ‘ci tocca’, sentiamo cioè la cosa a noi vicina.
Provare empatia per qualcuno significa mettersi nei suoi panni. Vuol dire cercare di comprendere che cosa proveremmo noi se fossimo al posto dell’altro, come ci comporteremmo e come reagiremmo.
Sul piano educativo, la capacità di decentramento assume un valore significativo. Si tratta di ciò che Gardner ha denominato intelligenze personali che rimandano alla capacità di ognuno disviluppare abilità che permettano di attraversare i contesti. Il principio della classe come comunità, la costruzione di un pensiero solidale, il lavoro di piccolo gruppo (in cui i rapporti sono faccia a faccia, in cui ognuno impara a tenere conto dell’altro ed in cui ognuno scopre che coesistono punti di vista diversi ed abilità diverse) sono strumenti efficaci della scuola per educare all’empatia. Attraverso l’educazione alla comunità viene canalizzato l’interesse verso gli altri(compresi i diversi) facendoli sentire più vicini.
E, nella consapevolezza che l’empatia si può imparare, la scuola dell’infanzia molto può (e deve) fare nella direzione dell’educazione all’empatia che si sostanzia poi nell’educazione alla cittadinanza.
La scuola ha il compito di proporsi quale ambiente facilitante per lo sviluppo non solo dei saperi formali ma anche di tutte le emozioni (compresa la loro gravitazione nella sfera cognitiva) necessarie alla formazione di un cittadino.
Possiamo pensare a una didattica dell’empatia?
Una strada efficace può essere quella di aiutare i bambini al ‘decentramento’ cioè ad immaginare le esperienze di altri, il loro mondo interiore. Si tratta di attribuire pensieri ed emozioni alle altre persone che stanno vicino a noi.
Sul piano delle azioni concrete, limitandoci ad alcuni semplici spunti, si può pensare a:
- abituare i bambini ad ascoltarsi l’un l’altro: attraverso l’ascolto è possibile provare interesse per persone al di fuori di sé ed immaginare il mondo interiore dell’altro;
- parlare di noi: nella comunità / sezione sono presenti tante storie personali che ogni mattina si incontrano e si intrecciano insieme; abituare i bambini a narrare le proprie esperienze ed a prendere atto – rispettandole – quelle degli altri;
- sviluppare un lessico emotivo condiviso all’interno della sezione attraverso narrazioni che rappresentano modalità diverse di vita, così come la vulnerabilità umana, l’altruismo, l’aiuto reciproco e così via;
- narrare storie (sia tratte da libri sia inventate, di animali e di uomini) come occasione per attribuire ai personaggi della narrazione pensieri ed emozioni come gioia o dolore, vergogna o compassione;
- ‘mettere in scena’ come capacità di mettersi nei panni di un altro (un personaggio) ed a congetturare come può essere la sua interiorità;
- educare all’interculturalità attraverso la presa d’atto di modi diversi (e spesso difficili) di affrontare le difficoltà della vita, apprendendo informazioni su classi sociali, condizioni dovute alla differenza di genere, lotte finalizzate al miglioramento della propria e dell’altrui vita;
- educare alla diversità prendendo atto che si può essere differenti l’uno dall’altro e che è possibile convivere insieme;
- educare alla cittadinanza attraverso il lavoro di gruppo.