In un mondo digitale, esiste una sinergia particolarmente fertile fra le concezioni popolari del bambino e dell’infanzia, da una parte, e dell’ambiente digitale dall’altra: concezioni che si percepiscono legate da un rapporto ludico ed espressivo, libero eppure trasgressivo. Ciò va ad alimentare la diffusa nozione del «nativo digitale» (in cui il genitore è visto come «immigrato digitale»). Dalla prospettiva dei figli il digitale offre delle possibilità allettanti per esercitare l’agentività e sfidare l’autorità. Ma questo ruolo prioritario dell’agentività dei figli, per quanto ben visto e meritato, va a sfidare non solo l’autorità dei genitori — come si osserva spesso — ma anche la stessa agentività dei genitori, inclusi i loro valori, filosofie e aspirazioni, nonché le tradizioni che sposano o a cui trovano delle alternative.
Essere genitori spesso è difficile e il profondo flusso di emozioni che permea le interviste degli studi che abbiamo condotto sottolinea le ansie e le insicurezze di molti genitori, che spesso si percepiscono come diversi o addirittura inadeguati.
Scorrendo la gamma delle pratiche genitoriali, si osserva come oggi anche le tecnologie digitali abbiano un ruolo nella vita familiare: inaspriscono le tensioni o le alleviano, pongono dilemmi, riconfigurano rischi e opportunità, uniscono e dividono le persone.
L’esito può essere la trasformazione oppure la riproduzione delle pratiche genitoriali tradizionali, ma in ogni caso molto dipende dai processi di negoziazione.
Nella normale vita quotidiana, i genitori discutono moltissimo: fra di loro, a volte con amici e conoscenti o con la famiglia estesa, ma soprattutto con i figli, per trovare compromessi su aspetti pratici, decisioni e valori.
Le tecnologie digitali qui svolgono un doppio ruolo. Sono risorse di per sé significative che occorre adattare o regolamentare attraverso la negoziazione, per fare in modo di massimizzare le opportunità e ridurre i rischi associati.
Il modo in cui vengono usate rivela poi altri tipi di difficoltà, forse più profonde, che le famiglie si trovano di fronte, poiché le negoziazioni legate alla tecnologia spesso, esplicitamente o implicitamente, riguardano anche problematiche di genere, cultura o risorse.
In una famiglia democratica, negoziare tanto con un adolescente quanto con un bimbo piccolo può essere sfiancante e demoralizzante. L’aspetto rilevante delle tecnologie digitali sembra proprio essere la possibilità di aggrapparvisi come mezzo per mediare desideri e aspettative in conflitto. Più prosaicamente, molti genitori ricorrono alla strategia di permettere o negare l’accesso alle tecnologie digitali per mettere fine alle faticose negoziazioni e reinstaurare, di fatto, il bastone e la carota d’altri tempi.
Ma usare il digitale come moneta di scambio per negoziare la soddisfazione di desideri o l’ottenimento di disciplina comporta dei problemi che amplificano le tensioni familiari anziché allentarle.
Dopotutto, il valore delle attività digitali è incerto — le aziende che le promuovono si prodigano in dichiarazioni contraddittorie e spesso esagerate, gli scienziati si smentiscono a vicenda, i politici non sanno da che parte girarsi (supportare l’economia digitale o limitare le innovazioni rischiose?) — e i genitori non possono permettersi di attendere che i loro figli diventino grandi per sapere se hanno preso le decisioni giuste. Ne consegue che i genitori si trovano a soccombere a un’aspettativa pubblica apparentemente semplice: «sorvegliare» o limitare il tempo trascorso dai figli «davanti allo schermo».
Su questo punto nell’immediato i genitori possono mantenere la propria autorità, per quanto vacillante, ma a lungo termine il loro compito è dare ai figli la possibilità di compiere da soli le loro scelte.
Nel corso dei nostri studi abbiamo trovato piuttosto frustrante che gran parte della letteratura che si occupa di famiglie e media si concentri esclusivamente sugli effetti nocivi per i figli e sulle strategie di mediazione dei genitori, dimenticando di contestualizzare come il ruolo dei media digitali nella vita familiare stia mutando, specie per quanto riguarda posizionalità, biografia, identità, contatti sociali e valori dei genitori. Insomma, ben lungi da voler difendere i media — anzi, ci sono molti motivi per criticarli — cerchiamo di rispettare l’agentività tanto dei genitori quanto dei figli nell’accogliere, resistere o più spesso bilanciare il ruolo dei media e delle tecnologie digitali nella loro vita.
È possibile riconoscere e promuovere un più ampio spettro di modalità per mediare le attività digitali dei figli, ponendosi come compagni di apprendimento, fornitori di risorse, mediatori, insegnanti o altro?
Qui emerge quello che presumibilmente diventerà un compito nuovo e importante dei genitori: guidare i figli nel realizzare il potenziale vantaggioso delle tecnologie digitali e al tempo stesso sviluppare la resilienza per gestire le insidie, in modo da potersi fidare di loro e non limitarsi a dire «Non fare questo, non fare quello».