A partire dagli anni Settanta, con il prezioso contributo dei movimenti femministi, emerge in maniera pubblica e accademica il tema della violenza degli uomini sulle donne nelle relazioni intime e familiari.
Da spazio relazionale di sicurezza, rifugio, crescita e supporto, il contesto familiare può diventare anche luogo di maltrattamento, sopraffazione e morte, non solo per le donne vittime ma anche per i figli che lo abitano.
Il diritto delle bambine e dei bambini, delle adolescenti e degli adolescenti alla tutela e alla protezione da ogni forma di violenza è enunciato chiaramente per la prima volta dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989.
Da qui il concetto di trauma interpersonale infantile assume una forte visibilità in ambito scientifico e la violenza perpetrata in ambito familiare viene concepita come esposizione a eventi traumatici cumulativi e prolungati nel tempo.
Un problema di salute pubblica
Soltanto nel 2002 l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la violenza ai danni dell’infanzia un problema di salute pubblica, con gravi esiti sulla salute fisica e mentale a breve, medio e lungo termine, pubblicandolo per la prima volta nel Rapporto Mondiale su violenza e salute.
La violenza domestica viene definita come un fenomeno trasversale a tutti i Paesi del mondo — a prescindere dal gruppo sociale, economico, religioso o culturale — e perpetrabile attraverso le modalità più disparate.
Questa violenza nasconde al suo interno un’altra forma di maltrattamento a danno dei minori, definita violenza assistita, che consiste nell’essere testimoni, proprio malgrado, della sopraffazione e dell’aggressività tra i genitori, che si configura come fattore di rischio per altri tipi di maltrattamento condizionando talora la struttura della loro personalità in età adulta.
Non solo ciò a cui si assiste
In Italia è il CISMAI – Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia - il primo ad avviare una riflessione sul fenomeno. Secondo la definizione che ne dà il CISMAI, la violenza assistita non deriva unicamente da ciò a cui un bambino assiste in maniera diretta, ma anche da ciò che sperimenta e percepisce in maniera indiretta, ad esempio attraverso l’ascolto o venendone a conoscenza a posteriori o avvertendo l’esistenza di un pericolo reale per sé e per gli altri per lui significativi, quali madre e fratelli.
Stando ai dati di una corposa indagine campionaria sul maltrattamento infantile in Italia, la violenza assistita rappresenta la seconda forma di maltrattamento più diffusa nel nostro Paese. A conferma della gravosa dimensione del fenomeno vi sono anche i dati ISTAT relativi al 2020 che mostrano una vertiginosa salita dei numeri a seguito dell’impatto della pandemia da Sars-Cov2. Tra le vittime che si sono rivolte al numero nazionale 1522 in suddetta annualità, vi sono ben 2.951 figli che hanno assistito alla violenza ma non l’hanno subita direttamente, e 829 che hanno sia assistito che fatto esperienza diretta.