Cosa sappiamo davvero dell’inclusione scolastica in Italia, di questo fiore all’occhiello del nostro sistema di istruzione, che ci pone all’avanguardia nel panorama internazionale? Sì, perché l’inclusione è un ideale facile da abbracciare sulla carta ma, come i dati ci mostrano, difficile da mettere in pratica. Non mancano, infatti, le Convenzioni, normative e linee guida che ribadiscono a più riprese questo obiettivo condiviso a livello mondiale, europeo e nazionale, un insieme di principi e valori che però si scontra con la realtà attuativa, fatta di barriere culturali, istituzionali e, in alcuni casi, economiche. E anche in un Paese come l’Italia, che ha creduto in questo principio fin dagli anni Settanta e ne ha fatto un baluardo in tutti i suoi livelli di istruzione, dal nido all’università, l’andamento del progetto appare claudicante, in lotta tra l’intensità delle convinzioni e il dibattito acceso sulle carenze strutturali.
Volgere lo sguardo alla ricerca di settore, con una volontà analitica e di sintesi, è un tentativo di rafforzare questo complesso progetto, cercando di intervenire sulle sue fondamenta. È proprio il piano empirico e delle evidenze a essere sconfessato da esperti e accademici d’oltre confine, fortemente convinti che la credibilità di un modello si basi anche sulla capacità di produrre dati, documentare buone prassi, e rendere noti i risultati positivi, per tutti gli alunni e, ancor più, per gli alunni con disabilità. Le voci apertamente critiche degli «inclusio-scettici» — termine coniato da Dario Ianes in un suo recente volume (D. Ianes e G. Augello, Gli inclusio-scettici, Trento Erickson, 2019) — non solo permangono ma sembrano trovare nuove casse di risonanza e rimbalzare, in una sorta di contagio che non trova argine neppure dove l’inclusione si fa (certo, con fatica, difficoltà e dubbi, ma anche fermezza e, in molti casi, soddisfazione e risultati tangibili).
Per contrastare queste voci e restituire un quadro — il più possibile esteso ed esaustivo — sull’inclusione scolastica, abbiamo avviato uno studio di sintesi volto a ottenere informazioni sulla ricerca di settore condotta in Italia, interrogandoci su come si studino i fenomeni che la riguardano (con quali metodi, strumenti, e da quali punti di vista), su dove più spesso si soffermi lo sguardo (su quali alunni, quali livelli di istruzione, quali tematiche specifiche), e su quanto questi dati raggiungano un vasto pubblico, non solo nazionale ma anche internazionale. A guidare il progetto vi era, infatti, la convinzione che ricerca e prassi in educazione debbano essere interpretate come due grandezze direttamente proporzionali: al crescere di una (o meglio al fiorire di una) si accompagna, necessariamente, anche il crescere dell’altra mentre quando una delle due è manchevole anche l’altra similmente si opacizza, si atrofizza. E nel caso dell’inclusione scolastica la ricerca potrebbe divenire l’elemento dirimente nel dibattito, per dimostrare che, a sostegno del modello, non vi sono solo gli ideali ma anche benefici individuali e sociali.