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I mini gialli dei dettati 2
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La schiavitù ci riguarda

Testimonianze e ricerca scientifica per contrastare un fenomeno ancora attuale e diffuso

Oltre 40 milioni di persone nel mondo vivono in condizioni di schiavitù. Nel 70% dei casi sono donne o bambine. I 10 Paesi in cui il fenomeno è più significativo sono Corea del Nord, Eritrea, Burundi, Repubblica Centrafricana, Afghanistan, Mauritania, Sudan del Sud, Pakistan, Cambogia, Iran. Le forme di schiavitù sono riconducibili a matrimoni forzati (oltre 15 milioni di persone) e lavoro forzato (quasi 25 milioni di persone) che si concretizzano nella compravendita di uomini, donne e bambini, violenza, minacce, coercizione. Questi i dati più evidenti che emergono dal Global Slavery Index 2018, un importante report curato dalla Walk Free Foundation.

La schiavitù in Italia: cosa dice il report Global Slavery Index?

In Italia sono presenti circa 145.000 schiavi, numero che ci colloca al 122° posto sui 167 Paesi analizzati ma che allo stesso tempo ci spinge a non sottovalutare il fenomeno. Il report offre anche un’altra lettura: quanto i prodotti importati nel nostro Paese sono realizzati da lavoratori in condizioni di schiavitù? Si stima che nel 2015 abbiamo acquistato oltre 7 miliardi di dollari di prodotti a rischio, prevalentemente importati da Cina e India, nei settori dell’abbigliamento, della tecnologia (computer, cellulari), dell’alimentazione (cacao, bestiame, pesce). Ma l’Italia è anche segnalata come uno dei 7 Paesi del G20 che hanno intrapreso azioni normative per contrastare le forme di sfruttamento lavorativo nella catena produttiva.

L’impegno di Sunitha Krishnan e l’attivismo di Lisa Kristine

Sono diverse le testimonianze di persone che si battono per combattere la schiavitù. Una di queste viene da Sunitha Krishnan, attivista indiana che da adolescente è stata vittima di stupro e che attraverso l’organizzazione Prajwala di cui è co-fondatrice, cerca di strappare bambini e donne dalle maglie dello sfruttamento sessuale attraverso il reinserimento sociale e lavorativo. Sunitha invita le persone a parlare di questo tema per creare consapevolezza e sensibilità. Invita anche a interrogarsi su un meccanismo sottile e ipocrita che – da una parte – porta a parlare di schiavitù nei film, nei documentari, negli eventi delle organizzazioni filantropiche ma – dall’altra – rende difficile accettare queste bambine e donne nei “nostri” luoghi, come colleghe di lavoro o compagne di classe dei nostri figli.

Anche Lisa Kristine, fotografa e attivista americana, è impegnata nel contrasto alla schiavitù: attraverso lo strumento della fotografia cerca di testimoniare le condizioni di molti lavoratori/schiavi in diverse zone del mondo. Kristine mette in evidenza la situazione in cui si trovano queste persone, spesso bambini, che vengono costrette a lavorare senza alcun riconoscimento e che vivono e muoiono nell’invisibilità.

Eliminare la schiavitù entro il 2030

Un’altra esperienza particolarmente significativa viene dal mondo della ricerca scientifica: il Rights Lab dell’Università di Nottingham ha infatti catalizzato gli sforzi di oltre 100 studiosi e ricercatori, appartenenti ad ambiti disciplinari diversi, per contribuire all’ambizioso obiettivo delle Nazioni Unite di eliminare la schiavitù entro il 2030 (Sustainable Development Goals, 2015). Tra le molte azioni di questo gruppo di ricercatori va sottolineata la costruzione del più ampio archivio a livello internazionale che raccoglie le testimonianze delle persone che hanno vissuto la schiavitù sulla loro pelle. Uno strumento che consente anche di impostare nuove e sistematiche strategie per prevenire ed eliminare la schiavitù proprio a partire dalle soluzioni che i diretti interessati hanno messo in campo, facendo sentire la loro voce e restituendo valore alle loro competenze esperienziali.

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