Per natura noi siamo attratti da ciò che è nuovo, ma anche complesso nel giusto grado: l’incongruenza delle informazioni rispetto a quanto ci aspetteremmo, per esempio, ci appare intrigante e ci spinge a cercare di saperne di più.
Tuttavia, la curiosità è transitoria: una volta appagata, passa. L’interesse, invece, è qualcosa di più duraturo nel tempo: si costruisce lentamente, via via che uno studente accresce le sue informazioni su di un tema e le valuta come rilevanti per lui.
Come si stimola l’interesse? Proponendo una modalità di apprendimento «per scoperta» o chiedendo di trovare risposta a delle domande; lanciando, in sostanza, una sfida interessante.
Per fare ciò è fondamentale considerare le conoscenze pregresse degli studenti come punto di partenza e non presentare attività troppo semplici (poco stimolanti), né troppo complesse.
A mio parere, un buon parametro per fare le scelte giuste sotto questo aspetto è quello individuato dalla studiosa statunitense Susan Harter.
IL GIUSTO LIVELLO DI SFIDA
Susan Harter ha parlato negli anni Settanta di «principio di sfida ottimale», intendendo con esso la scelta di obiettivi scolastici che si collochino a debita distanza tra l’assenza disfida, che potrebbe generare noia, e il suo eccesso, che potrebbe generare ansia e frustrazione.
Chi imposta la didattica dovrebbe, quindi, valutare il livello di capacità presente in una classe e fornire agli allievi prove e ambienti di apprendimento adeguati a esso, cioè non così facili da non richiedere alcun impegno, né così difficili da scoraggiare e demotivare.
Trovare un livello di sfida raggiungibile indurrà gli studenti a dedicarcisi e li aiuterà a migliorare, mentre una richiesta troppo ardua genererà una sofferenza, che li ostacolerà anziché stimolarli, arrivando a innescare il meccanismo dell’impotenza appresa: la sensazione di non essere capace,e di non esserlo in modo irrimediabile.
Ciò che io spero dalla scuola di oggi è invece una proposta che non sia né «semplificata» né soverchiante, ma commisurata (per quantità e qualità) alle capacità e necessità dei ragazzi che devono apprendere.
Questo testo è tratto dal libro "Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere" di Daniela Lucangeli.