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Qual è l’immaginario che alimenta la sessualità? - Erickson 1

Qual è l’immaginario che alimenta la sessualità?

Un tema di cui è urgente, fondamentale, decisivo parlare con le giovani generazioni, soprattutto per chi si occupa di educazione

Da circa dieci anni sono stati creati enti e meccanismi di controllo e monitoraggio sulla correttezza della comunicazione e anche sulla qualità dell’immagine e della presenza femminile nei media, nella pubblicità e in tv, ma chi si occupa di comunicazione e formazione sa che misoginia e stereotipi sessisti sono la dominanza nell’ambito dell’hate speech nei social, luogo privilegiato di relazione e formazione culturale dei giovani, che da due generazioni attingono informazioni, sapere, e quindi anche materiale emotivo, dal web. E sa anche che quando si vuole ferire, insultare, dileggiare, umiliare una donna le parole che si usano sono, sempre, quelle che investono la sua sessualità. È un dato di fatto: sex e porn sono le parole più digitate dai computer del pianeta Terra, nelle stringhe di qualunque motore di ricerca.

Dal punto di vista di chi fa educazione basterebbe questo fatto acclarato per prendere atto che di sessualità è urgente, fondamentale, decisivo parlare con le giovani generazioni.

Come in modo eloquente spiegano Miguel Picker e Chyng Sun nel loro documentario del 2008 The price of pleasure, inquietante viaggio nel mondo della produzione statunitense di materiale pornografico, due generazioni di bambine e bambini, con l’avvento dell’era digitale, hanno formato il loro immaginario e attinto informazioni sulla sessualità prioritariamente attraverso il mondo della pornografia on line.

Un immaginario per lo più violento e disumanizzante, che mostra in particolare il corpo femminile come territorio da predare, umiliare, e che veicola sessualità umana priva di empatia, di curiosità e di contesto relazionale. Tanto per essere chiara e diretta: le due parole usate come insulti, perfino adoperate come scherzo leggero, più sentite in tutti gli istituti scolastici nei quali sono entrata negli ultimi due decenni, a partire dalle medie inferiori, sono frocio e troia. Nel primo caso l’ho sentito dire come insulto verso i maschi non dominanti, mentre nel secondo il depotenziamento è generale e riguarda tutte le femmine della specie, non un gruppo specifico denigrato per il proprio orientamento sessuale.

È così: non c’è modo più efficace per insultare e diminuire l’autorevolezza di una donna (e per traslato con lei tutte le altre) che riferirsi a quella donna tirando in ballo le sue (presunte) abitudini sessuali. Non importa se è una postina, una dentista, la terza carica di uno Stato, una ministra o una scienziata.

Ragionare insieme, sin dalla più tenera età, di corpi, relazione, rispetto: una questione di buon senso, verrebbe da pensare, perché affrontare il discorso della sessualità nelle varie età della vita serve certamente a prevenire non solo gravidanze precoci e indesiderate, oltre che malattie sessualmente trasmesse, ma soprattutto educa alla convivenza pacifica tra le persone e nelle collettività, avendo l’educazione una potente funzione preventiva nei confronti della velenosa piaga della violenza maschile sulle donne, che è alla base di ulteriori violenze nel contesto umano.

Quindi (sempre secondo quel buon senso) se la famiglia non riesce, come accade a volte, a svolgere la sua primaria funzione educativa, ecco che la scuola, in alleanza con il mondo sportivo, l’associazionismo, la politica nelle sue varie espressioni dovrebbe, in un paese civile, essere mobilitata permanentemente per affrontare questo tema: per risolvere i problemi, certo, ma soprattutto (e in positivo) per cogliere l’occasione straordinaria di comunicazione e confronto tra generazioni diverse, come avviene a scuola. Mettere al centro il corpo, le emozioni, le relazioni, il piacere, la scelta di ogni essere umano di costruire una vita il più possibile condivisa, serena e ricca emotivamente dovrebbe essere uno degli obiettivi di maggiore interesse per una collettività che voglia vivere in pace e armonia. Ma, in Italia, a provare a parlare di sessualità a scuola precipiti in un vespaio senza fine.

Nel 2015, nella discussa legge chiamata «La Buona scuola», è stato inserito un passaggio, il comma 6, che assicura «l’attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni». Nulla di più o di meno rispetto alle leggi che già esistono sul tema della parità di genere e le pari opportunità, o la definizione di violenza sessuale; eppure di educazione sessuale si discute sin dagli anni Settanta, e l’Italia è uno dei pochissimi paesi dell’Unione Europea in cui non è obbligatorio insegnarla nelle scuole.

Nella realtà, quindi, non esiste un obbligo automatico a dedicare sufficienti ore per la formazione sull’argomento. Oltre a quel comma (che non è però vincolante), c’è solo la volontà delle direzioni scolastiche e del personale insegnante. Facendo ricerca on line, e lavorando sul campo, ci si imbatte nei racconti da parte di giovani delle scuole superiori sulla fantasiosa discrezionalità scolastica circa il tema «sessualità». Un esempio preso dalla rete: nel sito Vice.com, in un report proprio sull’educazione sessuale, si racconta che gli adulti «spiegano» tranquillamente alle classi che «l’unico modo sicuro per evitare gravidanze è l’astinenza, o meglio, se tenete le gambe chiuse non vi dovete preoccupare». Parole intercorse non decenni fa, ma ai giorni nostri, nel terzo millennio. 


Monica Lanfranco
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