La Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC) è un approccio d’intervento di rinomata efficacia e che racchiude al suo interno strategie diverse e integrate per ridurre la sofferenza delle persone. Non si tratta di un approccio “monolitico”, al contrario si è sviluppato e si è delineato attraversando tre diverse generazioni o ondate, come descritto nel libro edito da Erickson “Fondamenti di psicologia e psicoterapia cognitivo comportamentale. Modelli clinici e tecniche d'intervento” (a cura di G. Melli e C. Sica, 2018).
La prima generazione è quella che nasce nei primi decenni degli anni Novanta con la Terapia Comportamentale che, grazie alle conoscenze su apprendimento, condizionamento classico e operante, poneva l’attenzione sul comportamento. Mentre la seconda generazione si basava sui principi della Terapia Cognitiva che dava enfasi allo studio dei pensieri e dei processi cognitivi per poter intervenire su essi modificando, di conseguenza, le emozioni dolorose e i comportamenti. Grazie ad autori di spicco come Beck ed Ellis, la modificazione del processo cognitivo era lo strumento principale e la chiave d’accesso per la riduzione della sofferenza. Ė arrivata poi la terza fase della TCC, costituita da un gruppo di interventi (tra cui ACT, CFT, MCT, DBT e MBCT) che verranno rappresentati al decimo Congresso Internazionale di Psicoterapia Cognitiva (International Congress of Cognitive Psychotherapy - ICCP, che si terrà dal 13 al 16 maggio 2021 a Roma) con relatori internazionali come Hayes, Arntz e Wells.
Il fatto che sia iniziata una nuova fase non sta a indicare, come il termine potrebbe suggerire, che siano stati annullati e accantonati gli assunti di base precedentemente identificati; infatti la terza generazione ha semplicemente inserito, oltre a quelle già esistenti, nuove variabili di cambiamento: la metacognizione, l’accettazione, la mindfulness, i valori personali.
L’attuale TCC è, quindi, più aperta all’investigazione dell’ampio range degli approcci umanistici, esistenziali, analitici e delle tradizioni spirituali. Piuttosto che focalizzarsi sul contenuto dei pensieri e sulle esperienze interne, le terapie della terza fase sono focalizzate sui processi e sulle funzioni legati al modo in cui una persona entra in relazione con le proprie esperienze interne (pensieri, spinte all’azione, sensazioni). L’intervento non è finalizzato direttamente alla riduzione dei sintomi, lo scopo è aumentare i livelli di accettazione, apertura e disponibilità rispetto all’esperienza interna ed esterna, per poi poter individuare delle strategie di fronteggiamento più flessibili ma orientate all’efficacia e alle priorità di vita. Non risulta più centrale la sola psicopatologia ma il benessere e la ricchezza psicologica, per la crescita dell’intera persona.