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Siamo nati per contare - Erickson 1

Siamo nati per contare

L’intelligenza numerica di quantità è la forma più antica di intelligenza che possediamo

Io incontro spesso studenti che odiano i numeri e l’apprendimento matematico e che vengono etichettati come discalculici, anche se in realtà non lo sono. Questo diffuso problema con l’aritmetica ai miei occhi appare veramente assurdo: non tanto perché a me appassionano i numeri, ma perché la scienza ha da almeno 20 anni la certezza che la forma più antica di intelligenza che noi possediamo, la prima che compare, è proprio l’intelligenza numerica di quantità. 

Appena nati, sappiamo contare 

Con «intelligenza numerica di quantità» si intende la capacità di riconoscere la quantità nell’ambiente che ci circonda.

Questa è una forma di intelligenza più antica di quella linguistica perché, semplificando, quando eravamo poco più che scimmie sapere se avevamo davanti pochi o tanti nemici era molto più importante che sapere il nome con il quale si chiamavano. Quindi, l’intelligenza verbale - intesa come l’uso raffinato della parola - è nata molto dopo rispetto a quella numerica nella storia della specie umana. 

Tale forma di intelligenza è stata dimostrata essere innata, cioè presente già alla nascita. Gelman e Gallistel con i loro studi sui bambini appena nati ci hanno insegnato che un neonato in braccio alla mamma ancora non discrimina bene il suo volto o la sua voce, ma già riconosce che è «una»: quando entra il papà identifica che è 1 diverso da 1 e all’arrivo dell’infermiera riconosce 1 diverso da1 diverso da 1. Entro il numero 3, che è lo span innato di quantità, il bambino è in grado di trovare tutte le relazioni quantitative di maggioranza, minoranza e uguaglianza: 1 è diverso da 1, 3 è più di 1 e di 2, eccetera. Questo significa che il nostro cervello è preparato a riconoscere la quantità degli oggetti nell’ambiente fin dalla nascita.

In un recente lavoro alcuni colleghi hanno fatto il punto delle conoscenze che abbiamo oggi su questo argomento. Hanno ribadito che noi esseri umani condividiamo con altre specie un sistema non verbale di percezione delle quantità che vediamo, che è stato chiamato cognizione numerica; esso è spontaneo ed è collegato con l’apprendimento matematico successivo, quindi sembra che agisca come un meccanismo attivatore dell’apprendimento matematico.

Voglio raccontare un aneddoto chiarificatore rispetto alla cognizione numerica e a come io sono arrivata a comprenderne il senso. Mi trovavo in Irlanda insieme a due esperti in neuropsicologia e neuroscienze, Brian Butterworth e Stanislas Dehaene. Loro stavano discutendo sulla definizione di intelligenza numerica e Brian mi ha coinvolta nella conversazione indicando un punto lontano e chiedendomi: «Daniela, guarda là. Cosa vedi?». Io, senza pensarci troppo, ho risposto: «Mi sembrano tre pozzanghere». Lui mi ha invitata a osservare meglio, allora mi sono concentrata e ho notato che si muovevano, quindi ho risposto che doveva trattarsi di tre animali. «Bene, fai un altro sforzo», mi ha pregata Brian; e io mi sono impegnata e ho identificato gli animali in questione come tre mucche. Ma lui non era ancora soddisfatto, mi chiedeva di fare un passo in più. Io ho guardato di nuovo e ho concluso: «Una è bianca, una marrone e una pezzata». A quel punto Brian ha commentato: «Molto bene, hai appena capito cos’è la cognizione di quantità». Per essere onesta, non avevo davvero capito cosa intendesse e, credendo di aver inteso male a causa della lingua, ho chiesto chiarimenti. Brian pazientemente mi ha risposto così: «Prima di vedere una mucca bianca, una a macchie e una marrone, prima di vedere tre mucche, tre animali, tre pozzanghere, hai cognizionato. 

La mente codifica molte informazioni ma sopra a tutte c’è il numero». Posta in questi termini, la questione non lascia dubbi sulla nostra competenza spontanea.

Brian Butterworth ha approfondito questi concetti e fa notare come la nostra capacità sia evidente persino dalle parole che usiamo: infatti sappiamo «contare a parole, oltre che con simboli o numeri, e perfino per gradi (primo, secondo, terzo…)». Ricorda inoltre che fin dagli albori dell’umanità i nostri simili dimostravano di avere un senso del numero. 

Le ricerche antropologiche, studiando queste capacità, le hanno identificate nelle fasi iniziali, dai segni che i nostri antenati hanno lasciato: hanno trovato tacche sui bastoni con le quali i pastori contavano le pecore. Anche la storia delle lingue stesse lo dice: una ricerca ha dimostrato che le parole più longeve sono sopravvissute proprio perché legate ai numeri, alle indicazioni della quantità.

Mi concedete una curiosità? Oggi sappiamo per certo anche che «il senso della quantità non riguarda solo la specie umana: ci sono animali più veloci e più rapidi di noi, e che compiono meno errori di calcolo».

Questo testo è tratto dal libro "Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere" di Daniela Lucangeli.

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