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I mini gialli dei dettati 2
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LGBT* e Covid-19: la quarantena come opportunità di disvelamento

L’impatto del Coronavirus sulla comunità LGBT* è un tema poco discusso ma fonte di un prezioso insegnamento Mindful, che parla al cuore di tutti.

Chiunque noi siamo, possiamo guardare a ciò che ci affligge con gentilezza amorevole e rivelare a noi stessi quel che davvero aspiriamo a diventare, per aprirci a un futuro più vero.

Capita, durante questa reclusione forzata e necessaria, di patire forte la mancanza di qualcosa. Talvolta è un’abitudine consolidata: caffè e cornetto a colazione nel bar preferito, il sole che bacia il viso di prima mattina, lo shopping al negozio prediletto, l’aperitivo con gli amici a sera con le chiacchiere e il vino che scintilla nei calici. Talvolta ci manca qualcosa d’altro, qualcosa di remoto che aggancia il corpo ma punta al cuore: il sorriso all'edicolante al mattino appena fuori dalla metropolitana, la stretta di mano al termine di una riunione, l’abbraccio all'amico di sempre, la passeggiata con i cani al parco e le parole scambiate tra i proprietari. Un bacio, uno sguardo celato che allaccia un’intesa segreta; il profumo di un’amante al mattino, dopo una notte in cui abbiamo sganciato i freni.

Cose che abbiamo perso d’improvviso. Ovvietà che più di una volta abbiamo dato per scontate e che oggi ci mancano moltissimo, alla luce del cambio forzoso di prospettiva. E così, il mio pensiero corre alla comunità LGBT*, alla quale io devo più di una riflessione e più di un insegnamento

In questa reclusione prolungata, che ci costa fatica e costante riadattamento, a mio parere torna di aiuto proprio l’esperienza di resistenza e di resilienza delle persone LGBT* che ho conosciuto. Amici, colleghi, pazienti che hanno consolidato nel tempo la capacità di mantenersi saldi, riuscendo a immaginare il futuro oltre le incertezze e le paure temporanee. Un futuro maturato dentro un presente spesso difficile, dove la quotidianità non è ovvia ma va espugnata con tenacia e tenerezza. Un bacio furtivo scambiato sotto il sole, una mano intrecciata per qualche istante tra la folla, un bimbo con due mamme, un filo di mascara e la barba fatta di fresco, un tacco dodici dopo un giorno al lavoro in giacca e cravatta. Libertà che costano impegno, valore d’animo e coraggio; che necessitano di pazienza e fiducia, perché non sono gratuite ma guadagnate togliendo spazio al pregiudizio, al preconcetto, alla vita guidata dal pilota automatico, alla supposizione che esista una normalità alla quale la diversità si oppone minacciosamente. Fare spazio, farsi avanti, dichiararsi, uscire allo scoperto: sono azioni che contrappongono alla certezza e alla velocità sociale, lo scoprimento lento e la disposizione d’animo a sopportare i disagi, le contrarietà e trovare il momento giusto per diventare quello che, in silenzio e di nascosto, si è.

In questo momento il tempo si è allungato e lo spazio per riflettere, di conseguenza, si è amplificato notevolmente. Così, scrivendo queste considerazioni, ho pensato anche molto all’epidemia di HIV e AIDS degli anni Ottanta e Novanta. Allora, malgrado lo stigma caduto sulla comunità reputata responsabile della diffusione, il comportamento delle persone LGBT* è stato determinante nel contenimento e nell’impegno per la tutela reciproca e la protezione. L’idea di “fare gruppo”, nel senso di creare famiglie elettive di amici nelle case private, dove sostenersi a vicenda, è stata essenziale e risolutiva: come mostra con grande sensibilità e perizia la serie tv Pose. L’esempio dato è stato di onestà e collaborazione: le virtù dell’essere umano come espressione di civiltà, cortesia e correttezza. Questo momento, a mio parere, ha cambiato la percezione che la comunità LGBT* rimandava all’esterno, rendendo possibile lo sviluppo di una politica specificamente LGBT*, volta all'affermazione di diritti di cui, inevitabilmente, oggi beneficiamo tutti.

Se ci stiamo chiedendo cosa facciano le persone LGBT* in questo momento e come vivano le difficoltà della clausura, proviamo ad accorciare le distanze. Sono quel medico che si spende in corsia e ha saltato il pasto, l’autista del bus che è ancora di turno, la maestra dei nostri figli che si connette da casa per la lezione, l’imprenditore che è fermo e pensa ai suoi dipendenti, il musicista che fa concerti online, il banchista di farmacia, la barista, l’operaia in cassa integrazione, i vicini di casa che piangono a notte dopo aver coricato i bambini, stanchi e spaventati come noi.

E sono anche coloro che un tempo hanno cercato autonomia e deciso di lasciare la propria casa per essere liberi di esprimersi, affrontando viaggi lunghi e distacchi perché vittime di famiglie non accoglienti e di un tessuto sociale discriminatorio. Oggi, alcuni di loro hanno dovuto far rientro a casa: sono giovani e ancora non godono della maturità economica sufficiente a sostentarsi in quarantena senza appoggi. E, perché giovani e dipendenti, sono i più fragili e tornano improvvisamente a essere isolati.

Che fare?

A chi soffre perché si trova a indossare una maschera, sia la mascherina che protegge dal virus o una maschera di finzione che protegge dall’omofobia e dalla violenza, rispondo con la pratica Mindful della gentilezza amorevole. Abbiamo tutto il diritto e la responsabilità di comunicare a noi stessi ogni sofferenza, ogni fatica, ogni paura. Abbiamo il dovere di proferirci stanchi, di sentirci profondamente soli. Ma non facciamolo con linguaggio della rabbia, del giudizio, dell’accusa o del rancore. Proviamo a farlo con il linguaggio dell’amore. Amore per noi stessi, per primi; accoglienza amorevole per la rabbia che sale, per l’accusa che punta il dito, per il giudizio da accantonare sì, ma con comprensione per il modo in cui sorge e le ragioni per cui ferisce.

Proviamo anche a viaggiare con l’immaginazione e pensare al mondo e a tutte le creature che lo abitano come legate da una lunga corda. Cominciamo da un esempio pratico: la mano che ha colto il frutto che ora state mangiando e la vostra sono legate da una corda, così come il sole che scalda il frutteto, la terra e chi l’ha coltivata. La Mindfulness chiama questa corda interdipendenza: cioè la mancanza di autonomia che lega il mondo e i suoi abitanti gli uni agli altri. L’interessenza è il passo successivo, la comprensione intuitiva e profonda al contempo, che io non esisto se non esiste tutto quello che mi ha portato alla vita e mi trattiene alla sopravvivenza.

Ne è espressione questa stessa pandemia, che toglie il respiro ma viaggia nel respiro del mondo, quel soffio prezioso e vitale che ci mette gli uni accanto agli altri di continuo, mentre sediamo su un aereo e raggiungiamo mete sognate, mentre in ogni polo del mondo ascoltiamo la stessa musica, guardiamo le medesime serie tv e seguiamo le tendenze globali della moda.

Nessuno è solo, neppure dietro a una maschera. Togliamola quando possibile, nella riservatezza di uno spazio sicuro, e troviamo quiete nel respiro. Con gentilezza amorevole accogliamo quel che c’è, qui e ora. Respiriamo. Come la gemma che promette il fiore, siamo già quello che vogliamo diventare.

Il termine LGBT* è l’acronimo internazionale a oggi più utilizzato di “lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender”. L’asterisco apposto a destra sottintende tutte le persone con altre identità sessuali, che non sono trascritte per semplice brevità e a cui mi riferisco nei pensieri e nel testo.

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