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I mini gialli dei dettati 2
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L’allontanamento del minore tra necessità e opportunità

Un intervento tanto doloroso e complesso può assumere un valore costruttivo solo se concepito come tappa di un progetto più ampio di rinnovamento e trasformazione.

La mission che guida il lavoro dei professionisti dell’aiuto nell’ambito della child protection consiste nella tutela della vita e della crescita adeguata di bambini e ragazzi, preferibilmente all’interno delle loro famiglie. La tendenza a pensare progetti di aiuto che mantengano bambini e ragazzi nei loro contesti di origine è abbastanza recente e legata al fatto che sempre più, in risposta alle difficoltà delle famiglie nel far fronte alle proprie responsabilità genitoriali, si prediligono processi di normalizzazione e di community care, il cui fulcro è la prevenzione dell’istituzionalizzazione. 

In tempi passati, invece, la risposta prevalente alle difficoltà familiari — e non solo — era la cosiddetta istituzionalizzazione, vale a dire l’allontanamento dei figli minorenni dal nucleo familiare di origine e il loro collocamento all’interno di altre famiglie o di grandi strutture di accoglienza.

Oggi, quindi, i percorsi di aiuto in favore di famiglie con figli minorenni prevedono l’allontanamento dei più piccoli dal nucleo familiare solo come soluzione estrema, in situazioni dove tale misura si renda necessaria e non eludibile.

L’allontanamento si caratterizza oggettivamente per un elevato grado di controllo da parte dei professionisti sulla vita della famiglia: si consideri che esso costituisce a tutti gli effetti una limitazione del diritto fondamentale di genitori e figli di vivere insieme e dell’esercizio della responsabilità dei genitori.

È infatti il superiore interesse della persona minorenne a rendere legittimo l’intervento dello Stato. L’allontanamento di bambini e ragazzi dal nucleo familiare è previsto quando non viene garantito loro il diritto a una sana crescita e un adeguato accudimento e le azioni di aiuto rivolte alla famiglia non sono risultate sufficienti. Un intervento tanto incisivo, dunque, non può che costituire un rimedio eccezionale e temporaneo, da attuarsi solo nei casi in cui gli interventi di sostegno a favore dell’intero nucleo familiare non abbiano portato i risultati auspicati nell’interesse dei bambini e ragazzi presenti.

In Italia, gli interventi di collocamento etero-familiare di bambini e ragazzi sono disciplinati dalla Legge 184/1983 e successive modifiche (Legge 149/2001), con cui il legislatore ha riconosciuto a tutti i bambini e ragazzi il diritto di vivere ed essere educati in un ambiente familiare, in primis nella propria famiglia e, solo se questo non fosse possibile, in un altro contesto familiare in grado di offrire loro l’affetto, l’educazione, la sicurezza morale e materiale necessari per crescere. Tale diritto viene altresì ribadito nel Preambolo della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Nel corso degli anni sono state emanate linee guida ministeriali che offrono agli addetti ai lavori importanti sollecitazioni e indicazioni operative utili nella valutazione, progettazione e attuazione di percorsi fuori famiglia a tutela e protezione dei più piccoli.

Questi documenti pongono l’attenzione sulla promozione di una sempre maggiore appropriatezza degli interventi a tutela delle persone di minore età e di una sempre maggiore partecipazione delle famiglie e degli stessi bambini e ragazzi ai percorsi che li riguardano. Inoltre, dalle linee guida emerge l’importanza di considerare il bambino come soggetto da tutelare all’interno della sua rete di relazioni e la conseguente centralità nella costruzione dei percorsi fuori famiglia dei diretti interessati e altre persone per loro significative, delle persone accoglienti (affidatari e/o educatori), degli operatori dei servizi, dell’Autorità giudiziaria, degli insegnanti e dell’intera comunità di appartenenza del bambino o ragazzo.

Seguendo questo approccio, l’allontanamento dei bambini e ragazzi dalla famiglia d’origine necessiterebbe di essere ripensato. Un intervento tanto doloroso e complesso può assumere un valore costruttivo solo se concepito come tappa di un progetto più ampio, che prende in considerazione il bambino all’interno del suo mondo di relazioni. L’allontanamento diviene così un importante strumento utile non tanto — e soprattutto non solo! — per trovare dei sostituti a una famiglia in difficoltà, ma per ampliare le risorse di cura a favore di quel bambino e ragazzo, allargando la sua rete di relazioni orientate al bene. 

Siamo spesso portati a pensare all’allontanamento come rottura, separazione, strappo: questa nuova concezione, invece, ci invita a concepirlo come una trasformazione, un rinnovamento di una situazione preoccupante e pregiudizievole. La famiglia d’origine diventa così una famiglia «allargata», poiché nell’azione di fronteggiamento delle difficoltà e dei problemi intervengono anche operatori, persone accoglienti e membri della comunità disponibili e interessati a dare il proprio contributo in vista di una finalità comune: il benessere del bambino e la possibile riunificazione familiare.

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