IT
I mini gialli dei dettati 2
Carrello
Spedizioni veloci
Pagamenti sicuri
Totale:

Il tuo carrello è vuoto

|*** Libro Quantità:
Articoli e appuntamenti suggeriti

Come organizzare l’accoglienza dei bambini ucraini dal punto di vista della tutela dei minori? 1

Come organizzare l’accoglienza dei bambini ucraini dal punto di vista della tutela dei minori?

L’importanza del riconoscimento dell’identità dei minori, il dialogo con la comunità ucraina per impostare percorsi di affido condivisi e i suggerimenti per superare i fraintendimenti culturali

Chi sono i bambini che stanno arrivando dall’Ucraina? Sono bambini.
Lo affermiamo sin dal principio perché uno dei primi rischi che corrono questi bambini è quello che entrino nello spazio istituzionale che stiamo predisponendo per loro come bambini e che ne escano come profughi, rifugiati, minori non accompagnati, bambini traumatizzati, ecc., cioè con una sovrastruttura che copre l’identità primaria dell’essere bambini. Questo fenomeno, cosiddetto della capture istituzionale (Lacharité, 2017), è un fenomeno che fa sì che le persone, una volta entrate nel dispositivo istituzionale dell’aiuto, non vengano più viste per ciò che sono, ma solo per il problema che portano, così come identificato dall’insieme delle norme che governano quello spazio istituzionale.

Affermare che sono bambini significa quindi riconoscere che il loro primo diritto è il diritto di essere riconosciuti bambini. A sua volta, ciò significa porre al centro l’approccio dei bisogni: il bambino è per definizione un soggetto in crescita che, nella sua normalità, ha dei bisogni definiti evolutivi in quanto, nella misura in cui sono soddisfatti, permettono l’evoluzione dello stesso processo di crescita. 

Questi bisogni sono l’altra faccia dei diritti. La Convenzione internazionale dei diritti dei bambini del 1989 ha infatti costruito la definizione di diritti proprio sulla base del riconoscimento dei bisogni dei bambini: un diritto è tale perché corrisponde a un bisogno fondamentale e transculturale del bambino. Molti recenti studi nell’ambito delle neuroscienze hanno inoltre dimostrato che la soddisfazione del bisogno è ciò che permette la formazione delle capacità sociali, emotive, cognitive, affettive, ecc.

Sono bambini, ancora, ossia persone da 0 a 18 anni: un arco evolutivo molto lungo nel quale si affrontano fasi e compiti evolutivi completamente diversi. Accogliere un neonato è altro dall’accogliere un bambino di 8 anni o un’adolescente di 17 o una bambina, magari con disabilità, di 3 anni.
Riconoscere il bambino, la sua età, la sua specifica condizione, significa riconoscere Ilja, Natalia, Anastasia, Igor… in termini giuridici, significa anche garantire il riconoscimento della loro identità, tema che le Raccomandazioni UNICEF-UNHCR e quelle del Ministero dell’Interno, di recente emanazione, sottolineano a causa dell’assoluta importanza del tracciamento di questi bambini per evitare i rischi di sparizione e tratta. Come operatori e ricercatori sociali sappiamo che il riconoscimento giuridico è il primo passo per rendere esigibile il diritto al riconoscimento della singolarità di ogni persona nella sua identità personale e culturale.

In questo contesto, un tema che si è imposto alla nostra attenzione da subito, riguarda i bambini che provengono dai cosiddetti “orfanotrofi”, in quanto ciò non significa che questi bambini siano automaticamente orfani e tanto meno che non abbiano un rapporto con almeno una figura genitoriale e ancor meno che siano adottabili. La situazione di questi bambini è quindi molto peculiare perché probabilmente sono abituati a vivere in un contesto comunitario di tipo istituzionale (ciò che non significa che questa sia la soluzione migliore per loro, ma che è quella abituale appunto), ossia in una tipologia di accoglienza fuori famiglia che in Italia non è più attiva dal 2006, quando, grazie alla legge 149/2001, sono stati chiusi tutti gli istituti. D’altro canto, i rappresentanti della comunità ucraina che vivono in Italia hanno espresso, anche nelle sedi istituzionali, viva preoccupazione rispetto a eventuali procedimenti adottivi indebiti come anche rispetto alla soluzione dell’affido familiare. Chiarito che in situazione di guerra non è consigliabile procedere con adozioni, la domanda che resta è come rendere esigibile il diritto alla personalizzazione dell’accoglienza anche per questi bambini per i quali è evidentemente importante garantire la continuità dei legami con le figure genitoriali eventualmente presenti, con gli educatori e i pari dell’istituto.

In sintesi: sembra che ci troviamo dinanzi a una contrapposizione tra il rifiuto dell’affido da parte della comunità ucraina e la cultura positiva dell’affido e della deistituzionalizzazione che si sta portando avanti in Italia, soprattutto a partire da quanto indicato nelle Linee di indirizzo nazionali sull’affidamento familiare (MLPS, 2017).

Per evitare l’acuirsi della tensione all’interno di questa apparente contrapposizione, può essere utile declinare concretamente il diritto alla personalizzazione superando i termini generici e standardizzati di affido in famiglia o in piccola comunità versus istituto, in maniera concretamente corrispondente ai bisogni e alle possibilità evolutive di ogni bambino, così da andare oltre una logica semplicistica e binaria e tentare una logica partecipativa che sappia coinvolgere nelle scelte che riguardano i bambini sia i bambini stessi, sia le figure di riferimento delle comunità ucraine, anche a partire dall’esplicitazione dei seguenti elementi, che possono essere alla base di alcuni fraintendimenti culturali, su cui può essere generativo aprire il dialogo:

  • i bambini non sono di proprietà di nessuno, nemmeno dei genitori naturali o biologici. Genitori affidatari, biologici, adottivi, educatori delle comunità o degli istituti sono solo i custodi temporanei dei bambini rispetto ai quali esercitano una forma di responsabilità, non di potere, come già sosteneva Maria Montessori;

  • garantire percorsi personalizzati vuol dire in primis avviare un processo di analisi dei bisogni di ogni bambino, orientato non all’analisi stessa, ma alla costruzione di un progetto: nonostante non sappiamo per quanto tempo questi bambini resteranno in Italia, è abbastanza evidente che non si tratterà di tempi così brevi da poter giustificare che un bambino resti in Italia senza un progetto personalizzato; 

  • l’affido familiare è una “piattaforma di interventi” e prevede forme molto leggere come anche forme di permanenza residenziale in una famiglia esterna al nucleo di origine. Tante forme intermedie sono possibili, quando si cerca, con onestà e rispetto dei diritti del bambino, di rendere esigibile il diritto alla personalizzazione e alla continuità degli affetti. Quindi, ad esempio, anche per i bambini per cui si valuta che la soluzione più appropriata sia rimanere nel contesto delle relazioni preesistenti, va garantito un diritto alla personalizzazione delle cure in termini di disponibilità di vestiario, progetto scolastico, rapporto con un adulto di riferimento, vicinanza solidale di almeno una famiglia con cui poter trascorrere alcune ore al giorno o almeno alla settimana o nel periodo estivo, ecc. All’opposto, se si valuta per alcuni di questi bambini l’appropriatezza del collocamento in affido familiare, va comunque garantita la continuità con i legami precedenti, quindi sarà necessario prevedere un piano di visite perlomeno settimanali ai compagni e agli educatori dell’istituto da cui sono provenuti, un piano di incontri online con eventuali figure genitoriali rimaste in Ucraina o presenti sul suolo italiano in altri località, ecc. 

Riferimenti utili

Leggi anche...
Ti potrebbero interessare...