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Coprogettare e coprogrammare 1

Coprogettare e coprogrammare

Spingersi oltre l’introduzione amministrativa degli strumenti per innovare il welfare locale

Coprogettazione e coprogrammazione costituiscono un importante punto di svolta rispetto alla strategia degli appalti e delle gare che ha dominato negli ultimi decenni l’affidamento dei servizi, alimentando l’impoverimento dell’offerta e una forte de-territorializzazione degli interventi. Le nuove pratiche collaborative si fondano — almeno teoricamente — su una condivisione sia di intenti che di responsabilità nella definizione e implementazione degli interventi, provando a dare attuazione concreta al principio di sussidiarietà e favorendo l’allineamento operativo e strategico tra pubblico e Terzo Settore.

La crescita di interesse verso le nuove pratiche collaborative è positiva. Oggi, tuttavia, coprogettazione e coprogrammazione sono ancora troppo poco praticate e vi sono molti enti pubblici e non profit che non le hanno mai sperimentate.

Quando si introducono elementi di forte innovazione è importante ricordare che non basta sostituire uno strumento con un altro per ottenere un cambiamento nelle modalità di intervento: al contrario, sarebbe indispensabile predisporre dispositivi in grado di accompagnare tale transizione.

C’è un’ampia letteratura sulle pratiche collaborative che sottolinea come non sia scontato che attori pubblici e privati siano in grado di superare le criticità tipiche delle reti e i problemi che affliggono i sistemi di welfare locale attuali, sotto pressione per il moltiplicarsi dei bisogni, le risorse scarse e l’appesantimento burocratico e regolativo (fattori che rischiano di limitare l’efficacia del contributo dei soggetti coinvolti). 

Le pratiche collaborative possono favorire l’innovazione, il ri-orientamento degli interventi verso i bisogni emergenti, la trasparenza e l’inclusione ma anche dare esiti inattesi che mettono al centro le prestazioni, frammentano gli interventi, generano opacità nei processi e una selezione avversa dei destinatari. Per promuovere i nuovi strumenti collaborativi non è sufficiente la loro introduzione amministrativa. È necessario investire sulla comprensione delle condizioni facilitanti e sui meccanismi per rendere la collaborazione efficace ed efficiente, così che l’innovazione possa generare un impatto sociale misurabile.

È difficile immaginare di tornare indietro rispetto all’esternalizzazione dei servizi pubblici, ma in futuro ad essere decisiva sarà la capacità dei Comuni di tenere la regia dei processi collaborativi e di assicurare che coprogrammazione e coprogettazione perseguano un adeguato equilibrio tra competenze pubbliche e private

I punti rilevanti, guardando ai prossimi mesi, sono due: riuscire a superare la rigida separazione delle politiche di welfare in silos erogativi distinti — anche perché nella maggior parte dei casi i soggetti fragili sono portatori di una molteplicità di bisogni — e nel contempo rinnovare profondamente i formati di affidamento e di contrattualizzazione dei servizi, passando dal finanziamento degli input (numero di operatori, numero di ore, ecc.) a un finanziamento outcome-based, basato sugli effettivi risultati conseguiti, misurati nel loro oggettivo impatto sociale in termine di copertura dei bisogni e inclusione.

L’articolo completo “Coprogettare e coprogrammare” è disponibile sul numero di agosto 2022 della rivista Erickson “Lavoro sociale.

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