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L’ageismo oggi 1

L’ageismo oggi

Intervista a Marco Trabucchi

Se c’è una cosa che la pandemia da Covid-19 ci ha costretto a vedere è quanto abbiamo lasciato soli gli anziani ad affrontarla. Ma la pandemia ha solo rivelato un problema che era già presente. È come se nella nostra società, proprio perché non sempre gli anziani sono nelle condizioni di potersi mantenere da soli e partecipare attivamente alla vita pubblica, non ci fosse più spazio e tempo per loro. Questo modo di pensare è viziato da un pregiudizio, l’ageismo. Abbiamo chiesto a Marco Trabucchi, Professore emerito della facoltà di Medicina dell’Università di Roma Tor Vergata, di aiutarci a capire di cosa si tratta.

Prof. Trabucchi, in base alla sua esperienza, che cos’è l’ageismo e come si configura oggi?

«L’ageismo è quell’atteggiamento sociale, che si riflette anche in ambito clinico, per cui non si ritiene che la persona anziana sia meritoria, nei vari ambiti di cui stiamo parlando, di un trattamento simile a quello che si darebbe a un adulto o a un giovane. L’attenzione all’ageismo fa parte di una cultura e di una sensibilità che stiamo acquisendo da poco tempo, perché in passato non si dava attenzione a questo fatto, si reputava anche naturale che all’anziano non servisse garantire più servizi, più attenzione, più disponibilità economiche e di tempo.
Adesso le cose, fortunatamente, stanno cambiando, anche se in alcuni momenti questo fenomeno ritorna. L’ultima volta è stata nel tempo della pandemia, con tutte quelle discussioni, non sempre conclusive, sul fatto che all’anziano non si dovesse dare il posto nelle terapie intensive, ma che l’intervento sugli anziani dovesse seguire quello sugli adulti e sui giovani.
Detto ciò, negli ultimi anni, a mio giudizio, c’è stata una notevole maturazione, anche in ambito clinico. Oggi la persona viene osservata, studiata e «modificata» dagli interventi sanitari in base alla realtà qui e ora della sua condizione, senza far pesare l’età come limite dell’intervento. Va fatta una precisazione: ben diverso dall’ageismo è avere un’attenzione alla speranza di vita delle persone, che prescinde dal fatto di essere giovani o anziani. Se un paziente ha una speranza di vita di sei mesi, clinicamente io non devo fare interventi che potrebbero modificare situazioni che vanno oltre questo arco di tempo, perché non sarebbero efficaci e potrebbero disturbare la persona inutilmente. Questo discorso, a mio avviso, è giusto e non riguarda l’ageismo».

A suo parere l’ageismo ha delle conseguenze sui servizi che vengono offerti alle persone anziane? Se sì, quali?

«L’ageismo non è mai dichiarato, di solito è un atteggiamento di fondo, serpeggiante, non sempre così facilmente individuabile e contrastabile. Per fare un esempio, è l’atteggiamento di chi, pensando a possibili finanziamenti, riconosce di avere pochi soldi e preferisce investirli sui giovani, anziché sugli anziani. Ci sono pochi soldi e preferisce investirli nell’alta tecnologia, piuttosto che nell’assistenza domiciliare. Ci sono pochi soldi e, cosa che capita tutti i giorni, non li si dedica alle RSA, perché non c’è - sbagliando! - interesse politico e civile a finanziarle».

L’intervista completa “L’ageismo oggi” è disponibile sul numero di gennaio 2022 della rivista Erickson “Lavoro sociale”

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