Nonostante ci sia una crescente riflessione teorica sulle discriminazioni di genere a livello di politiche di contrasto da adottare, è difficile che queste possano avere un impatto sulla realtà senza una pratica anti-sessista. È quindi fondamentale focalizzarsi su alcuni modi in cui le pratiche anti-sessiste possano diventare realtà. Non esiste una formula per rendere possibile questo percorso, ma identificando alcuni principi, nel volume Antidiscriminatory practice: Equality, Diversity and Social Justice, Neil Thompson ci aiuta a muoverci in questa direzione.
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La finalità del Social Work è accompagnare in un percorso di empowerment, non di adattamento al ruolo. Il compito del Social Work è sostenere le donne nel loro superare o sfidare le oppressioni che esperiscono.
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Evitare assunti stereotipati. Non dovremmo assumere, per esempio, che l’uomo sia il capofamiglia e il principale decisore in una famiglia tradizionalmente considerata «normale». Se non stiamo attenti, la valutazione delle dinamiche familiari rischia di ridursi in un salto verso conclusioni sessiste.
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Nei casi che coinvolgono i minori, il nostro lavoro dovrebbe essere rivolto verso entrambi i genitori e non solo verso le madri. Altrimenti corriamo il rischio di incolpare/ biasimare le madri e rinforzare l’idea che vede le donne come le principali responsabili della famiglia.
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Resistere alle pressioni che collocano le donne nel ruolo di caregiver. L’ideologia sessista ci porta a credere che sia naturale per le donne essere caregiver, e questo può portarci a ignorare o marginalizzare la forte pressione connessa ai ruoli di cura.
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Anche le persone che si rivolgono ai servizi sono influenzate dall’ideologia sessista. È importante aiutarle a diventare consapevoli che le discriminazioni di genere possono contribuire a creare i loro problemi o a diventare barriere che ne impediscono il superamento.
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Attenzione a non rappresentare in maniera ingiustificata le persone (soprattutto le donne) come incapaci o inette, al fine di ottenere per loro maggiori prestazioni: questa strategia fuorviante ha l’effetto di produrre una dipendenza forzata.
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Le donne sono spesso invisibili, e il loro contributo non viene riconosciuto. Gli operatori sociali devono riconoscere alle donne un appropriato valore: dar valore ai loro sentimenti, a quello che pensano, al loro lavoro. A livello micro il Social Work può contribuire a rafforzare l’autostima delle donne che accedono ai servizi e a livello macro giocare una piccola parte nell’abbattere la svalutazione delle donne causata dal sessismo.
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Essere sensibili alle molestie sessuali, contrastarle apertamente e fare attenzione anche a quelle non intenzionali. Questo può riguardare sia le colleghe sia coloro che chiedono aiuto. Nonostante alcune molestie non siano intenzionali, ma si fondano su un’insensibilità dei bisogni e dei sentimenti femminili, non sono per questo meno oppressive. Il Social Work anti-sessista deve quindi sfidare le forme intenzionali di molestie e sviluppare consapevolezza sufficiente per evitarne le forme inintenzionali.
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Problematizzare e sfidare le pratiche, le attitudini, i valori, le prassi discriminatorie che si danno abitualmente per scontate, mettendo in luce il loro effetto oppressivo. In breve, questo significa interrogarsi sugli assunti riguardanti uomini e donne nella società e l’adozione di un approccio critico.
L’articolo completo “Discriminazioni di genere e social work” è disponibile sul numero di febbraio 2021 della rivista Erickson “Lavoro sociale”