Nel lavoro educativo, parlare della guerra ai più piccoli deve significare soprattutto capire insieme a loro qual è il lavoro dei costruttori di pace.
Come possiamo raccontare ai bambini la bellezza del costruire la pace?
Per ragionare su cosa vuol dire in concreto costruire la pace si può proporre un lavoro sulle mani, su come le nostre mani possano essere generative, curative, portatrici di vita.
L’attività che si fa spesso a scuola di piantare un semino in un vaso e osservare la pianta che germoglia potrebbe diventare un’incredibile metafora del seminare la bellezza e l’armonia della pace.
Permettere ai bambini di sperimentarsi costruttori di pace riporta loro un importante messaggio di competenza: fa sentire che non sono esclusivamente in balia degli eventi, travolti impotenti di fronte a ciò che di avverso entra nella vita.
I bambini possono nella loro quotidianità sperimentare anche mani che distruggono: le mani che rubano il giocattolo, danno uno spintone, lasciano un’impronta di sporco sul muro.
Si può anche proporre un’analisi delle biografie di personaggi rilevanti per il tema, per esempio selezionando le storie di quattro o cinque fra le persone che hanno vinto il Nobel per la pace. Questo entrare in contatto con la storia di costruttori di pace costituisce uno spostamento del focus là dove l’educazione ci invita a metterlo.
L’educazione non dice: «Impara tutto il brutto, così lo eviti» ma, in una prospettiva proattiva, «Impara quali sono le competenze che permettono di costruire tutto quello che fa bene al mondo».
Questo articolo è tratto dal libro "Guerra: le parole per dirla, Ai bambini, agli adolescenti, a noi stessi"di Stefano Vicari, Alberto Pellai, Daniela Lucangeli, Dario Ianes e Sara Franch.
