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Guardare ai fatti per educare alla pace 1

Guardare ai fatti per educare alla pace

Vincere il senso di impotenza è possibile attivandosi come costruttori di pace

La mole di notizie non sempre verificate che riceviamo sulla guerra ci impone naturalmente un ragionamento sulla capacità di discernere degli adulti, e sulla necessità di insegnarla anche ai bambini, in modo che nessuno di noi si trovi arruolato in una sorta di guerra della comunicazione. 

Questo primo livello più immediato deve però essere integrato da una domanda: quali stereotipi, quali pregiudizi io, adulto, sto mettendo in campo nel parlare ai ragazzi della guerra?

Il buono e il cattivo

Quello del buono e del cattivo è un cliché che ci pone sempre dalla parte dei giusti, collocando gli «altri» fra i malvagi. Questa contrapposizione, che viene abbondantemente utilizzata (anche in modo inconsapevole) nel parlare del conflitto, è molto dannosa. L’analisi dei fatti deve invece far emergere un’altra interpretazione: la guerra è il cattivo, ed è ora di pace. Il fatto di educare alla pace ogni giorno passa in primo luogo attraverso lo scardinamento di questo stereotipo.

Allontanare il male

L’insicurezza è la condizione in cui noi tutti, grandi e piccoli, ci troviamo quando non possiamo prevedere che cosa accadrà; quanto più un fattore di rischio è lontano, tanto meno ci sentiamo insicuri; quanto più è prossimo a noi, tanto più siamo insicuri.

Di fronte a questa sensazione possiamo reagire in modo rozzo considerando il male come qualcosa che non ci riguarda, perché lontano.

Questo atteggiamento mentale esprime alcuni contenuti nocivi: in primo luogo, l’idea che il male non sia tale quando accade, ma quando accade a me. Se accade agli altri, non mi tocca.

La seconda idea è che di fronte al male io sia impotente, quindi è inutile che io faccia qualunque cosa.

Ecco che allora è fondamentale invece dire: io ho un compito, ed è essere una creatura di pace, essere un cittadino di pace, una madre, un padre, un maestro di pace. Questo è ciò che io posso e devo fare.

Quando c’è una sensazione di impotenza la posso vincere con il suo opposto, cioè guardando a cosa è possibile per me, cosa è nelle mie mani, cosa posso fare in prima persona per i miei figli, per i miei allievi, per la mia città, per il mio Paese.

Questo articolo è tratto dal libro"Guerra: le parole per dirla, Ai bambini, agli adolescenti, a noi stessi"di Stefano Vicari, Alberto Pellai, Daniela Lucangeli, Dario Ianes e Sara Franch.

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