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«Il nuovo Ministero dedicato alla Disabilità? Un enorme balzo indietro sulla strada dell’inclusione»

Il giornalista, scrittore, politico e attivista Iacopo Melio ci spiega perché il neo-costituito Ministero per le Disabilità non è una buona notizia per chi ha cuore le politiche di inclusione

Con la nascita del governo Draghi, il 13 febbraio 2021, nasce in Italia un nuovo Ministero per le disabilità: non una novità assoluta, per il nostro Paese, che con il primo governo Conte aveva già conosciuto un Ministero dedicato alla disabilità e alla famiglia, ma sicuramente una novità di rilievo, che fa molto discutere sia chi dalla disabilità è toccato da vicino sia chi, a vario titolo, si occupa di questo tema. Nei giorni caldi della costituzione del nuovo ministero, Iacopo Melio, giornalista e scrittore molto conosciuto, da poco impegnato anche come consigliere regionale in Toscana, ha preso in mano carta e penna per indirizzare una lettera aperta al giornale Repubblica. Una lettera dai toni decisi, in cui critica in maniera forte il nuovo Ministero.
Lo abbiamo sentito per chiedergli di spiegarci meglio il suo punto di vista.

Perché ritiene che il Ministero per le disabilità sia “inutile quanto dannoso” e perché “ci porta cento passi indietro sulla strada dell’inclusione”?

«Possiamo dire che si tratta di un Ministero ghettizzante ed esclusivo, proprio perché sottolinea la “specialità” di una precisa categoria, confinandola in un recinto (o, se preferiamo, una caritatevole campana di vetro), e quindi etichettandola in partenza come “diversa”, per appunto definizione e scopo del Ministero stesso. Anziché valorizzare la parità, vero obiettivo dell’inclusione che dovrebbe riguardare ogni minoranza e non solo, garantendo così alle persone con disabilità le stesse risorse che spettano a tutti gli altri cittadini, in questo modo vengono sottolineate le diversità, per giunta con quel velo pietistico e compassionevole di chi vuole “prendersi cura” non in modo naturale, per diritto e dovere, ma con una facciata politically correct in cerca di facili approvazioni».

Ci sono, a suo parere, dei modelli “virtuosi” fuori dall’Italia di come trattare la disabilità a livello istituzionale, che potrebbero essere di ispirazione anche per noi?

«Sicuramente il Nord Europa è molto avanti in fatto di Welfare, oltre ad alcune zone dell’America che hanno da tempo una sviluppata cultura attivista per contrastare l’abilismo della società. Pensiamo agli stessi disability studies, nati proprio oltre Oceano e importati molto tardi da noi, dove non vengono sufficientemente valorizzati come un po’ tutto ciò che riguarda le scienze sociali. Ciò che salta all’occhio, ad esempio da Paesi come Germania, Francia, Olanda o Svezia, è la quantità di risorse, soprattutto economiche, che vengono mensilmente garantite alle persone con disabilità per poter condurre una vita il più autonoma possibile, a fronte dei nostri miseri 500€ di pensione di invalidità circa, totalmente insufficienti per permettersi un’assistenza adeguata e qualificata».

Che tipo di approccio suggerisce, in base alla sua esperienza, al tema della disabilità, a livello istituzionale?

«Il giusto approccio, se vogliamo inserire le persone con disabilità nella società senza farle sentire un mondo a parte, è quello più semplice e che più di mezzo secolo di scienze sociali propone (oltre alle linee guide stesse dell’ONU in fatto di inclusione): fare in modo che le politiche di ciascun Ministero tengano conto di tutti, senza lasciare nessuno indietro, a prescindere da chi sia o cosa rappresenti. In sostanza, quando andiamo a fare qualcosa non dovremmo farlo “anche per i disabili”, ma semplicemente “per tutti”. Cambiare questa prospettiva aiuterebbe a costruire quella cultura di cui abbiamo bisogno, quella cioè che non vede la disabilità altrui ma la persona, con pregi e difetti, punti deboli e di forza».

Quest’anno la onlus da lei fondata #vorreiprendereiltreno compie 7 anni. Quali sono i traguardi più significativi che siete riusciti a raggiungere?

«Sono tantissime le cose che ci hanno riempito di orgoglio in questi anni. Buona parte della nostra attività è online: periodicamente aiutiamo un sacco di persone, come fossimo una sorta Ufficio Relazioni, attraverso la nostra grande visibilità mediatica che ci permette, quando raccontiamo una certa storia che vive un determinato problema, di fare abbastanza rumore da sbloccare quella situazione. Credo che questa sia la cosa più bella, perché evidenzia il potere della rete e della community che abbiamo coltivato col tempo, che oggi conta più di 320.000 follower sui social. Altre grandi soddisfazioni arrivano quando, ricevuta una qualche segnalazione riguardante barriere architettoniche, disservizi o problemi di altro tipo, Giovanna, che è la nostra social media manager, interviene contattando i diretti interessati e, cercando di costruire un canale collaborativo, riesce a far correggere l’eventuale errore. Per quanto riguarda il lavoro offline, invece, il traguardo che ho più nel cuore è stato l’aver acquistato, già dopo un anno e con le sole donazioni ricevute da chi ci segue, un’auto accessibile per il trasporto anziani e studenti con disabilità all’interno del mio Comune di residenza. Successivamente abbiamo dato inizio ad altri servizi continuativi: ci appoggiamo ad un’accademia cinofila finanziando ogni anno la pet-therapy in reparti di pediatria della Toscana, abbiamo aperto uno sportello di ascolto psicologico gratuito per ragazzi e famiglie, acquistiamo ciclicamente defibrillatori per le scuole che ne sono ancora sprovviste, e sempre a scuola manteniamo attivi percorsi di musicoterapia. Insomma, le idee non ci sono mai mancate e sono certo che dopo la pandemia la Onlus tornerà più attiva che mai».

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