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I mini gialli dei dettati 2
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Sull’autorevolezza dei docenti e il loro riconoscimento sociale

Non basta conoscere la propria disciplina per essere un buon insegnante, ma è necessario sapere come insegnarla tenendo conto dei molti aspetti trasversali che caratterizzano questa professione

Se volgiamo lo sguardo indietro, vediamo maestri e professori che, negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, certamente godevano di un credito sociale diverso. Nel corso della loro vita avevano avuto accesso al sapere, diversamente dai loro studenti. 
Bisogna tuttavia volgere lo sguardo agli anni Cinquanta e immaginarsi il cittadino medio. Erano i tempi di «Non è mai troppo tardi», una trasmissione televisiva nella quale il Maestro Manzi insegnava agli adulti e agli anziani a leggere e scrivere.
Oggi la conoscenza è immediatamente raggiungibile grazie allo smartphone e al copia e incolla troppo semplice, ma già negli anni Novanta l’articolazione delle televisioni generaliste ha portato nelle case «il mondo là fuori».
Fortunatamente la situazione è molto cambiata e il rapporto tra scuola e famiglia non si può solo basare sul principio di autorità o sulla differenza di classe sociale, quindi sull’asimmetria culturale.

Ne consegue il fatto che per essere apprezzati come professionisti occorre specializzarsi sulle tecniche di apprendimento che comprendono molte discipline.

Un insegnante di oggigiorno deve conoscere la materia insegnata (ça va sans dire) e, soprattutto, deve sapere come insegnarla (quindi deve conoscere la didattica della propria disciplina). 
Ma per conoscere la didattica, occorre anche conoscere la psicologia dell’età evolutiva (o dell’infanzia, nel corrispondente segmento di età), le dinamiche di gruppo eil tema della gestione dei conflitti, distinguere integrazione da inclusione, personalizzazione da individualizzazione, conoscere la sociologia dell’intercultura, le neuroscienze (con particolare riferimento alle teorie dell’apprendimento) e le tecnologie didattiche. 
C’è quindi una vasta area trasversale che sostiene la professionalità insegnante senza la quale non si è tanto diversi dal genitore «adulto», perché anche lui laureato o professionista in un settore.

È ormai ben noto che la scuola non è un ascensore sociale: non basta quindi conoscere la data della firma dellaMagna Charta Libertatum o le proprietà delle potenze per accedere ad un bel posto in banca. 
Il successo a scuola non ha più un premio assicurato, e di questo l’insegnante professionalizzato deve tenere conto. Pena, spesso, il burnout, perché coltivare le motivazioni endogene ed evitare quelle indotte e imperative provoca disistima reciproca e depressione.

In estrema sintesi, la nuova autorevolezza sociale dei docenti non può che partire da una formazione specifica che è già in atto nel ramo della scuola primaria, attraverso le facoltà o i dipartimenti di Scienze della Formazione che, tuttavia, dovrebbero accogliere anche i/le docenti della scuola secondaria, come sostenuto recentemente da Dario Ianes.

Mai più un docente dovrà dire «ho studiato Dante, non sono un assistente sociale!» perché un insegnante è educatore, facilitatore, assistente sociale e tanto altro ancora, tutto insieme. Un insegnante dotato di tutte queste caratteristiche conquisterà per se stesso e per la categoria il credito sociale.

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