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I mini gialli dei dettati 2
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Quando la storia si trasforma in un gioco di immaginazione

Indagare le possibilità della storia è un esercizio fondamentale del processo di apprendimento, poiché rende consapevoli della complessità degli eventi del passato

A livello didattico, di norma, si inizia l’insegnamento della disciplina storica spingendo gli alunni a riflettere innanzitutto sul concetto di prima e dopo, e su quello di causa ed effetto, muovendosi sulla propria linea del tempo. Allo stesso modo, parlare di storia alternativa ci è utile per azionare il meccanismo riflettendo a partire dalle nostre storie personali. 

Le sliding doors - le porte scorrevoli che, rimanendo aperte o chiudendosi prima del nostro passaggio, cambiano la sequenza degli eventi successivi - sono un sinonimo di evento chiave, quello a seguito del quale le nostre piccole storie, o la grande storia, possono prendere una piega diversa.

Ci spingono, insomma, a chiederci: «Cosa sarebbe successo se...», un’espressione che la lingua inglese traduce sinteticamente con: «What if?».

Ogni giorno prendiamo delle decisioni che, per quanto insignificanti possano sembrare al momento, possono alterare la nostra vita, a volte in modi drastici e imprevisti. Allo stesso modo la storia è fatta dalla somma di milioni di decisioni umane, oppure anche da un singolo incidente, che può cancellarle tutte in un istante. 

Tuttavia non possiamo viaggiare indietro nel tempo e cambiare ciò che è stato: vale allora la pena di interrogarsi sui possibili percorsi alternativi che queste vicende avrebbero potuto imboccare? E, se sì, perché?

L’attività di immaginare gli eventi controfattuali è una parte fondamentale del processo di apprendimento: le decisioni vengono prese dopo aver soppesato le potenziali conseguenze di linee d’azione tra loro alternative. 

Per questo motivo ha senso mettere a confronto gli esiti concreti di ciò che abbiamo fatto con i possibili esiti di ciò che avremmo potuto fare.

Un cliché abusato afferma perentorio che «la storia non si fa con i se», ma questo è vero solo se pensiamo che quello che è successo fosse inevitabile. Chi si trova a esaminare gli eventi del passato è portato, spesso in maniera inconscia, a pensare che le cose non potessero andare diversamente. Poiché alla storia manca la possibilità di una verifica sperimentale, gli studiosi hanno sovente la tentazione di considerare gli eventi del passato come inevitabili e razionali: logiche e necessarie conseguenze di premesse ben definite. 

Tuttavia la storia non è una somma algebrica di un numero limitato di fattori: è l’esito di una serie innumerevole di congiunture uniche e irripetibili. 

Ecco che allora «What if?» diventa una domanda estremamente utile poiché, spingendoci a riflettere sulla quantità e la qualità di tali circostanze, contribuisce non poco a renderci consapevoli dei vizi mentali dovuti a quello che potremmo definire «pregiudizio del senno di poi»: la tendenza a individuare una «necessità» dell’andamento storico che conduce a un’arida concezione fatalista.

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