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La fuga dall’Ucraina, l’arrivo in Italia, l’inserimento in una nuova scuola: un’esperienza di accoglienza in una scuola di Omegna, in Piemonte 1

La fuga dall’Ucraina, l’arrivo in Italia, l’inserimento in una nuova scuola: un’esperienza di accoglienza in una scuola di Omegna, in Piemonte

Sonia Coluccelli, insegnante di scuola primaria in una sezione Montessori, racconta l’inserimento di tre bambini ucraini in classe, tra domande ancora aperte, sorprese e difficoltà

Sonia Coluccelli insegna in una scuola primaria di Omegna, una cittadina di 15mila abitanti della provincia del Verbano Cusio Ossola, affacciata sul lago d’Orta. Qualcuno se la ricorderà come la cittadina che ha dato i natali a Gianni Rodari. Qui, dall’inizio del conflitto in Ucraina a oggi, sono arrivate 90 persone, di cui 60 bambini e 30 adulti.
In queste settimane, nella sua classe, una prima della sezione Montessori, Sonia Coluccelli e le sue colleghe hanno accolto tre bambini ucraini in fuga dalla guerra. A lei abbiamo chiesto di raccontarci come sta andando l’inserimento dei bambini e questa esperienza di accoglienza.

«La nostra è una classe molto piccola, di soli 11 alunni – spiega Sonia Coluccelli - È stata scelta per l’inserimento dei tre bambini ucraini per via del metodo didattico che seguiamo, il metodo Montessori. Per il tipo di didattica che facciamo, con tanti canali di apprendimento diversificati, non solo verbali, possiamo offrire un’accoglienza più attenta».

Chi sono i nuovi arrivati e che tipo di sistemazione hanno trovato a Omegna?
«Si tratta di due bambini e di una bambina di 6 anni. Sono arrivati accompagnati dalle loro mamme, mentre i papà sono rimasti a combattere in Ucraina. Un bambino e una bambina, con le rispettive mamme, si sono ricongiunti con le nonne che già abitavano qui, mentre un altro bambino con la sua mamma è ospitato da una famiglia ucraina che già da tempo risiede qui».

Come si stanno relazionando in classe?
«Al momento stanno facendo comunità tra di loro: si cercano, giocano, litigano. Il rapporto con gli altri compagni di classe rimane in secondo piano. Non parlando e non capendo l’italiano, l’ostacolo linguistico si sta facendo sentire.
In classe hanno iniziato ad avvicinarsi alla nostra lingua, anche grazie ai materiali che abbiamo a disposizione. In questo momento stanno tornando molto utili, soprattutto quelli che abbinano immagini e parole.
Per comunicare con loro stiamo utilizzando GoogleTranslate. Lo usiamo quando si tratta di comunicare cose un po’ articolate, del tipo cosa andremo a fare durante la mattinata. Se abbiamo bisogno di comunicare qualcosa di semplice, del tipo “Ora andiamo a mangiare in mensa”, utilizziamo i gesti. Google Translate ha i suoi vantaggi ma a volte le traduzioni sono palesemente sbagliate».

Come vede questi bambini, dal punto di vista emotivo?
«Li vedo un po’ disorientati. Sono arrivati nei primissimi giorni dopo lo scoppio della guerra, nel giro di tre/sette giorni. Al momento non mi è chiaro il tipo di messaggio che hanno ricevuto dalle loro famiglie rispetto alla loro permanenza qui e come sia stata spiegata loro la situazione. A questo proposito, per capire meglio, cercheremo occasioni di confronto con le mamme e le nonne che sono un grande aiuto perché parlano un discreto italiano. Un’altra cosa che ho notato in loro è il grande senso di insicurezza. Chiedono spesso di andare a casa dalla mamma, l’assenza della mamma mette loro ansia chissà se temono che i bombardamenti possano arrivare fino a qui. Credo non abbiano bene la percezione di quanto siamo lontani dall’Ucraina e dalla zona di guerra, il che è anche normale, alla loro età».

Che obiettivi si è data la vostra scuola per questo progetto di accoglienza?
«L’obiettivo è quello di dare un contesto di “normalità”. In questo momento stiamo dedicando molto tempo all’inserimento di questi bambini, guardiamo insieme le lettere, le sillabe e le parole italiane, con il coinvolgimento di tutta la classe. Non li sottoponiamo a richieste pressanti, per quanto riguarda le attività scolastiche o l’apprendimento dell’italiano. Una cosa curiosa che è successa qualche giorno fa è che la bambina nel pomeriggio non è venuta a scuola. Quando ho chiesto spiegazioni mi è stato detto che era rimasta a casa a fare i compiti che le avevano mandato le maestre da Kiev. Una vita tra due mondi, davvero.
L’inserimento di questi bambini è stato fatto d’urgenza, in una situazione che richiedeva rapidità di risposta. Ora il colloquio con le famiglie sarà fondamentale, anche per capire da che contesto vengono questi bambini».

Come stanno reagendo i compagni alla presenza di questi bambini?
«La nostra è una classe piccola, in questi mesi al gruppo è stata chiesta pazienza e comprensione per la presenza di due compagni con disabilità. Anche in queste settimane con i nuovi compagni tutti si stanno dimostrando molto flessibili ed empatici, sono molto contenta della loro maturità, pur essendo così piccoli».

Cosa auspica per lo sviluppo di progetti di inserimento come quello che state vivendo?
«La nostra scuola si sta dando molto da fare, con l’attivazione di corsi di italiano sia in orario scolastico che extrascolastico. Altre realtà presenti nel territorio si occupano di fornire alle famiglie dei profughi generi di prima necessità oppure una merenda e spazi di socializzazione ai bambini nel pomeriggio. Per provare in questa fase a lavorare come comunità, sarebbe molto utile se potessimo creare dei tavoli di coordinamento tra istituzioni che raccolgano tutti i soggetti attivi nell’accoglienza. Sarebbe un modo per scambiarci le informazioni, mettere risorse in comune e offrire una qualità di accoglienza migliore».

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