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I mini gialli dei dettati 2
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Fare arte con l’Art Brut: creare un’immagine è come mangiare un’aringa

Caratteristiche e punti di forza di una forma di espressione artistica che ritroviamo anche nei disegni infantili

La metafora utilizzata da Jean Dubuffet - il pittore francese considerato l'ideatore dell’Art Brut - per descrivere la creazione di un’opera Brut fa sorridere. Per lui realizzare un’immagine autentica equivale a «mangiare un’aringa»: quei pesci infatti si mangiano crudi, appena pescati, senza alcuna particolare preparazione. E dunque solo nell’immediatezza del riversare le proprie impressioni sul foglio l’autore farà confluire il suo pensiero e la sua visione. Quella è arte, perché parte dal vero, e non viene assoggettata ad alcun compromesso.
In questa riflessione l’aspetto culturale non ha alcuna forza trainante e, al contrario, lascia spazio — tra gli altri — a tre particolari atteggiamenti, quello del rispetto, dell’ascolto, e dell’amore che conducono anzitutto a una creazione fine a se stessa. Per Dubuffet è infatti fondamentale «nutrirsi [...] dei tracciati istintivi. Rispettare gli impulsi, le spontaneità ancestrali della mano umana quando traccia i suoi segni».

Il carattere istintivo che connota le espressioni di Art Brut è un elemento di non poco rilievo nella produzione artistica dove spesso sono la misura e il confronto con i modelli e la storia dell’arte a dare più o meno valore a una creazione. Un altro elemento significativo della produzione artistica Brut è lo spaesamento, inteso come percorso attraverso l’ignoto: quanto non conosco diventa terreno di gioco, di esplorazione, di meraviglia. Dubuffet invita ad abbandonare, ad esempio, la ricerca della prospettiva visuale poiché limita la libertà: la propria espressione artistica deve poter muovere liberamente i piani spaziali, non trovare costrizioni, al fine di mostrare oggetti sovrapposti o giustapposti a seconda delle esigenze della rappresentazione. Egli mette in guardia dalle espressioni artistiche che raffigurano il mondo come potrebbe farlo una macchina fotografica: quelle creazioni sono per lui prive di inventiva e non conducono colui che le osserva a porsi delle domande e a divertirsi nella fruizione.

Poteva mancare un inno all’errore nella trattazione di un’espressione creativa che vuole liberarsi dalle aspettative dell’accademia, dalle generalizzazioni culturali, dalla più banale delle espressioni «si è sempre fatto così»? Certo che no! Questo aspetto di «non giudizio», di accoglienza autentica è strettamente connesso al nucleo, al senso dell’Art Brut. Dubuffet afferma di sentirsi incline all’errore, tanto che non si angoscia per il fatto di lasciare nei suoi quadri macchie involontarie, maldestre imperfezioni, forme false, colori mal riusciti... Quest’aspetto così umano, e così universale - siamo tutti, in fin dei conti, inclini all’errore! - che solitamente viene additato e malvisto, nel contesto dell’Art Brut diventa un punto di forza: sottolinea la spontaneità e l’autenticità di un fare creativo che non sottostà a norme e a giudizi provenienti dall’esterno.

Quanto sforzo ci richiede lasciare il segno del ripensamento, le sbavature, le macchie di colore sulla superficie dei nostri lavori? E quanto spesso ci aspettiamo che i bambini, nelle loro espressioni creative, non lascino alcuna traccia di errori, perché «bisogna stare attenti»? Confrontarsi con l’Art Brut è una sfida, un esercizio di pazienza e di accoglienza non solo dell’altro e del diverso ma anche dell’estraneo, ossia di ciò che non avremmo mai pensato di poter vedere disegnato o dipinto su un foglio, scolpito con materiali modellabili oppure assemblato. È, in fin dei conti, anche un esercizio di libertà!

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