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La creatività è una risorsa fondamentale per la crescita dei bambini

Alessandra Falconi, esperta di educazione ai media e creatività digitale, spiega gli obiettivi che è possibile raggiungere con la realizzazione di percorsi creativi con i bambini

«Creare» è un verbo che richiama almeno sette possibilità del fare:

  • far capire che conoscere è possibile;

  • far manipolare piccole parti di un mondo che può essere descritto;

  • far costruire i propri concetti perché l’oggetto pone interrogativi reali;

  • fare per spiegare: prima faccio previsioni, poi osservo, verifico, annoto, cerco di capire, modifico, immagino, scopro delle variabili;

  • fare è l’urgenza di avere da dire che spinge il bambino a cercare le parole precise;

  • fare esperienze: «vi è apprendimento tutte le volte che un’esperienza lascia una traccia... che sarà poi ampliata, trasformata, rielaborata, connessa con altre ogni qualvolta il problema si ripresenterà»

  • fare è saper pazientare: il tempo che la tempera si asciughi, che il compagno mi passi le forbici, che il seme diventi piantina...

  • fare è l’unica premessa del riuscire: perché far dire a un bambino «Non ci riesco»? Le eventuali difficoltà possono essere gestite e affrontate, si può chiedere aiuto e supporto.

Alberto Manzi, l’indimenticabile maestro di Non è mai troppo tardi, da cui ho rielaborato questa lista, scriveva che «“creatività” non significa vivere nel mondo dei sogni, della fantasia sfrenata senza limiti, ma saper riconoscere un problema e realizzare i modi per trovare la soluzione del problema stesso. Solo chi è in possesso di tale capacità può essere sicuro di riuscire ad affrontare con successo ogni imprevisto».

Questa definizione palesa il confine dell’esperienza vissuta da tanti docenti durante questo lungo periodo di pandemia. Una situazione imprevista ha attivato la creatività degli insegnanti per affrontare l’emergenza, cercando ogni leva possibile per tenere in equilibrio il «buono» e il «fondamentale» della scuola.

La competenza, ma anche la fantasia, la professionalità così come l’immaginazione hanno dato forma a idee, progetti e percorsi che hanno tenuto in vita l’idea di una scuola come possibilità di scoperta collettiva e appassionante del mondo. Anche quando il mondo sembrava avere ben poco da dare agli alunni e alle alunne.

Nuovi percorsi creativi sono nati dall’urgenza di recuperare l’esperienza del creare e immaginare anche in una scuola a distanza e dematerializzata. E alcune insegnanti ci hanno mostrato come raggiungere obiettivi importanti:

  • il bisogno di sostenere l’espressività: comunicare e condividere quello che si stava vivendo, il forte bisogno di relazioni quotidiane, potersi esprimere attraverso esperienze grafico-visive libere dall’ansia della valutazione;

  • l’accessibilità delle esperienze proposte: tutti i bambini e le bambine hanno partecipato. Realizzare una mostra degli oggetti più brutti che si hanno in casa oppure il museo delle «cose gialle»... Queste proposte hanno avuto anche il merito di far sorridere, di ricreare piccole complicità tra adulti, bambini e ragazzi, come avveniva nel contesto della classe;

  • la sostenibilità dei «compiti» assegnati: comporre ritratti con gli scarti della cucina, fotografare classificando per colore... erano consegne possibili per tutti, senza provocare divari o diseguaglianze nella possibilità di vivere e condividere queste esperienze;

  • il recupero della dimensione collettiva: è fondamentale trovare il modo di coltivare e proteggere la gioia dell’imparare insieme. Bambini e bambine, dalle loro camerette collegate, rischiavano una scuola esclusivamente «in solitaria». Recuperare, almeno parzialmente, qualcosa di un «noi» che è mancato a tutti, grandi e piccoli, è sempre necessario e urgente.

Come ci ricorda Manzi, «L’apprendimento è più efficace se viene fatto in maniera creativa, ossia se spinge a immaginare, ad osservare, a dimostrare, a esplorare, a sperimentare, a verificare». Occorre allora saper progettare la manipolazione di strumenti e cose, il dialogo concreto con gli oggetti, con i materiali, affinché il bagaglio culturale dell’alunno (le sue conoscenze pregresse) possa emergere e lasciarsi modificare e precisare dalle nuove esperienze che dovrebbero ristrutturare tutto il suo sapere. Qualcosa di saputo e qualcosa di sconosciuto sono costantemente in tensione: è da qui che possiamo osservare il mettersi al lavoro della creatività, dell’immaginazione, della fantasia.

Sollecitare l’immaginazione è importante non solo perché è proprio l’immaginazione ad essere necessaria allo sviluppo di nuove ipotesi e di nuove possibilità di capire, ma anche perché crea nel bambino una «abitudine» al pensare in modo creativo.

La stessa creazione artistica, ben lontana dall’essere un «lavoretto», diventa un modo per guardare e capire: è il prodotto intermedio o finale (in ogni caso momentaneamente, mai in modo definitivo) di un percorso di ricerca che il bambino ha fatto. Ma può anche essere la stessa modalità di ricerca: può il fare arte e lavorare ai manufatti essere paragonato anche al fare scienza con i suoi specifici strumenti? Può essere un modo per fare domande al mondo? Alberto Manzi ci invita a considerare quanto sia importante questo «lavoro visivo» per il bambino e per i suoi processi cognitivi, per lo sviluppo percettivo ed emotivo, per la crescita della coscienza sociale, per la sua evoluzione creativa.

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