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Parole di pace 1

Parole di pace

Manomettere: per violare o per liberare?

La «guerra» in Ucraina interroga, ancora una volta, la nostra società sul tema della pace e della guerra.
Il primo dato da cui dobbiamo partire, anche a scuola, ha a che fare con il linguaggio, con le parole, con le narrazioni che danno forma alla realtà e prefigurano le reazioni dei diversi soggetti.

Le parole costruiscono il mondo

Jerome Bruner, uno dei padri della psicologia culturale, ha evidenziato come la narrazione, ovvero l’operazione di ordinare, nominare e collegare gli eventi della propria esistenza e del proprio mondo costruisce il pensiero stesso e il mondo che abitiamo. E così la nostra cultura, il nostro modo di guardare e porci nei confronti del mondo, il modo con cui esprimiamo i nostri sentimenti (e spesso persino le nostre scelte etiche, ciò che chiamiamo giusto/ingiusto, bene /male), è direttamente connesso con le parole che costruiscono i nostri pensieri.
Per questo la scuola, l’esperienza educativa, è sempre un mettere al mondo il mondo, per dirlo con le parole del pensiero femminista di Diotima. Esperienza che gioca sul doppio significato di manomissione: fare a pezzi le parole e poi rimontarle, liberate, per costruire nuove storie e nuova realtà.
E moltissime scuole questo hanno fatto per affrontare lo snodo della guerra in Ucraina: sono ripartite dalle parole, da come viene nominato/costruito il mondo con il linguaggio.

Parole ostili

Lavorare sul linguaggio e sulle parole significa anche assumere consapevolezza che esistono parole ostili da evitare e che è possibile evitarle anche dentro confronti aspri. Alcuni anni fa è stato elaborato il manifesto della comunicazione non ostile, una carta che è impegno di responsabilità condivisa con l’obiettivo di favorire comportamenti rispettosi e civili nella comunicazione digitale e di rete ma non solo. Un manifesto spesso riferito al tema del cyberbullismo ma che in realtà si presta benissimo sia ad esemplificare i percorsi educativi connessi con l’art. 5 della legge 92/2019 (educazione civica e cittadinanza digitale) sia a strutturare percorsi di educazione alla pace e al linguaggio di pace che vedono in alcune metodologie didattiche un immediato riferimento alla logica della pace, alla gestione nonviolenta del conflitto e all’impegno concreto nella costruzione di percorsi di pace. Tra queste il debate e il service learning.

Il protagonismo delle scuole e degli studenti

La pace si insegna e si impara: così recita uno slogan della rete delle scuole di pace, a sintetizzare il fatto che l’educazione alla pace ha sempre una dimensione trasformativa che impatta sulla realtà, sulla società, sulla cultura e sullo stesso processo educativo che non può che richiedere una didattica innovativa che metta davvero al centro lo studente.
Un percorso che chiama ogni scuola a riprendere la parola e a fare «esercizi di pace» nella quotidiana cura delle relazioni, della comunità, dell’ambiente, dei diritti, della giustizia. È la dimensione trasformativa: la scuola aiuta a comprendere il mondo e la realtà, a smontare le parole di guerra e a creare una nuova narrativa di pace impegnando ognuno e tutti ad essere attori e non spettatori di un nuovo mondo di pace e diritti per tutti.

L’articolo completo “Parole di pace” è disponibile sul numero di settembre 2022 della rivista Erickson DIDA

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