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I mini gialli dei dettati 2
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Meno è meglio? 1

Meno è meglio?

Come e perché guidare la scuola all’essenzializzazione del curricolo

Quante nozioni credete possa contenere la nostra mente? Tantissime, infinite direi. Ma quante ne possono entrare in un limitato periodo di tempo e poi rimanervi in maniera duratura? Poche. Anzi pochissime. E su questo credo il nostro modello di scuola vada ripensato. Aver insegnato per cinque ore (una mattinata di scuola) una certa sequenza di contenuti ci garantisce davvero la loro assimilazione nella memoria a lungo termine degli studenti? E ci garantisce davvero che questi ultimi siano poi in grado di utilizzare le conoscenze acquisite qualora un’occasione lo necessiti?

Quando ripensiamo ad alcune informazioni relative all’infanzia o ricordiamo qualche parola in spagnolo o in francese, oppure riportiamo alla mente una delle equazioni di Maxwell, stiamo attivando le parti del cervello che sono coinvolte nella memoria a lungo termine. Ma quando tentiamo di tenere a mente un paio di idee per poi collegarle in modo da capire un concetto o risolvere un problema, stiamo usando la memoria di lavoro.

Ovviamente, il pensiero e la sua elaborazione attiva richiedono il richiamo di contenuti dalla memoria a lungo termine verso la memoria di lavoro. Quindi, i due tipi di memoria sono collegati tra loro. La memoria di lavoro è la parte del nostro cervello che elabora le informazioni all’istante e in modo consapevole. Questa memoria è situata prevalentemente al centro della corteccia prefrontale, anche se ha connessioni con altre parti del cervello. La memoria a lungo termine è invece distribuita su una superficie cerebrale più ampia. A differenza della memoria di lavoro, che ha una capienza limitata, la memoria a lungo termine è invece un immenso magazzino; ha spazio per miliardi di elementi e connessioni ed è lì che immagazziniamo concetti e procedure importanti.

Quando il cervello immagazzina nuove informazioni, come risultato di un processo di apprendimento, si formano nuovi circuiti neurali o si consolidano altri già esistenti. In quest’ottica il docente potrebbe davvero essere definito come un brain changer.
Un buon brain changer sa però che quando spiega deve fare molta attenzione al sovraccarico cognitivo, perché la memoria di lavoro di ciascuno di noi è limitata nello spazio e nel tempo; e sa anche che per favorire un apprendimento significativo e duraturo deve fare attenzione a due principi fondamentali: 

  1. fornire pochi e chiari concetti preferibilmente ripetuti nel tempo e sui quali far riflettere attivamente lo studente (nuclei fondanti);

  2. favorire la ricerca di senso e l’attribuzione di significato al contenuto che sta trattando. Le neuroscienze cognitive ci descrivono molto bene come l’informazione possa essere persa e dimenticata per sempre, senza arrivare mai in memoria a lungo termine, se ad essa non è associata attribuzione di senso e significato.

L’articolo completo “Meno è meglio?” è disponibile sul numero di aprile 2022 della rivista Erickson “DIDA

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