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Crescere con la balbuzie, una scomoda compagna di viaggio 1

Crescere con la balbuzie, una scomoda compagna di viaggio

Un ragazzo di 24 anni, laureato in Lingue e Letterature straniere, racconta la sua esperienza personale, a scuola ma non solo.

Am Matteo Belloni”. Questa è la frase che per quasi vent’anni ho usato per presentarmi nelle lezioni di inglese a scuola. Era scorretta, lo sapevo, ma non riuscivo assolutamente a tirar fuori quel primo suono per dire “I am Matteo Belloni”. Sentivo quella lettera già “inceppata” in mente e la soluzione più congeniale mi sembrava di saltarla direttamente, pagando tutte le conseguenze di quella scelta.Anche se mentalmente il concetto mi era chiaro, ero altrettanto cosciente del fatto che non sarei riuscito a esprimerlo come volevo io!

La maggior parte dei bambini inizia a sviluppare balbuzie tra i 2 anni e mezzo e i 3, anche senza nessuna causa evidente, e questo tipo di balbuzie detta “prescolare” può alle volte sparire col tempo senza particolari interventi. L’altra fascia d’età nella quale può apparire questa disfluenza comunicativa è quella della scolarizzazione, intorno ai 6-7 anni; in certi casi invece un trauma può fare apparire il disturbo anche in età adulta. Sebbene sia purtroppo una problematica poco conosciuta e soggetta a tabù di vario genere, la balbuzie colpisce oltre 70 milioni di persone nel mondo con un’incidenza molto maggiore nell’uomo rispetto alla donna (4:1).

È proprio nelle aule scolastiche che il bambino balbuziente si accorge di essere “diverso” e, spesso, può cominciare ad essere soggetto di bullismo o autoesclusione sociale. Dalle risate dei compagni a scuola, alle bocciature all’università per “l’apparente impreparazione”, la balbuzie rappresenta una grossa limitazione nella vita privata e professionale di molte persone.

Mi ricordo chiaramente alle elementari le prime letture in aula, quando la ripetizione continua di certe lettere o parole suscitava le risa della classe e un mio profondo imbarazzo. Alle scuole medie, con la crescita e nuove sfide, il problema è aumentato tanto da spingere alcuni professori a farmi svolgere prove scritte al posto di interrogazioni orali, con tutte le conseguenze psicologiche ed emotive correlate. Oltre a questa “attenzione non richiesta”, altri atteggiamenti mi mettevano a disagio, come ad esempio la noia che percepivo nel mio interlocutore o la voglia smisurata di anticiparmi e finire frasi e pensieri al posto mio. Le solite inutili frasi del tipo: “Parla piano! Respira! Calmati!” mi facevano sentire tutti gli occhi degli altri addosso e mi rendevano solamente ancora più consapevole della mia comunicazione traballante e insicura.

È curioso, inoltre, che nell’intimità della mia camera ho sempre ripetuto a voce alta la lezione del giorno senza problemi, anzi mi piaceva ascoltare i miei suoni; con l’aumentare dell’ansia, ecco il presentarsi di blocchi e disfluenza. Al termine delle scuole medie tanti mi sconsigliarono addirittura di intraprendere il cammino delle lingue straniere, poiché chiaramente la comunicazione sarebbe stata centrale in questo ambito e il disturbo nel frattempo si faceva sempre più evidente. Io invece ho deciso diversamente…

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