L’INCLUSIONE È FARE PONTI. INSIEME.
Torniamo a Rimini, due anni dopo, con il nostro Paese sconvolto dalla tragica vicenda sanitaria, sociale e pedagogica legata al COVID-19, che ha toccato le condizioni di crescita di milioni di bambini e bambine e di giovani, mettendo in crisi sicurezze e abitudini.
Nei tanti eventi di “isolamento”, tra i lockdown e le restrizioni nelle relazioni, abbiamo tutti e tutte pagato una crisi che ha avuto certo molte risposte di “passioni generose”, ma ha anche prodotto sofferenze e contraddizioni tali da rischiare strappi sociali, dividendoci ancor di più in isole separate secondo le diverse condizioni socioeconomiche, culturali e locali.
Dobbiamo, tra l’altro, amaramente riconoscere che ne hanno pagato di più le conseguenze i bambini e bambine, ragazzi e ragazze più deboli, che hanno spesso sofferto non solo l’isolamento, ma anche spesso un colpevole abbandono. È svaporato l’“accomodamento ragionevole” che avrebbe dovuto favorire politiche attive verso le persone con disabilità.
E ora, nel ritorno a scuola in presenza, anche se non ancora sereno e sicuro, ritornano le contraddizioni di un sistema scolastico che già prima pagava ritardi sulla qualità inclusiva.

Per esempio, si è molto discusso sul rapporto tra “scuola in presenza” e “scuola a distanza”, santificando la prima e demonizzando la seconda. Ma sulla “presenza” abbiamo imparato poco in questo duro biennio se essa torna a essere ancora mal interpretata come lezione frontale, compiti a casa, interrogazioni, con alunni e alunne con disabilità “isolati” in una “scuola a parte”, curati solo dall’insegnante di sostegno o dall’assistente/educatore, magari nella cosiddetta “aula H”.
La drammatica esperienza COVID ci insegna invece che se ne esce tutti e tutte insieme, con un salto di qualità educativo centrato sulla cooperazione, la mutualità, la flessibilità didattica e curricolare, la partecipazione del corpo docente alla crescita di tutti i loro studenti e di tutte le loro studentesse (qualsiasi sia la loro condizione), insomma alla formazione umana come evento di piena e matura comunità.


Dunque, mai come questa volta il claim del nostro convegno 2021, “l’inclusione non è un’isola”, vuol essere una speranza e una provocazione perché il Paese, nell’auspicabile recupero della sua vita sociale, sia più capace di inclusione e di equità, avendo compreso dalla catastrofe sanitaria quanto si debba ancora lavorare per una società aperta e solidale.
Ecco perché parliamo oggi della necessità di “fare ponti”, per ricucire e spesso cucire ex novo un tessuto sociale ed educativo solidale e creativo, che rischia altrimenti di strapparsi.

Abbiamo avuto la gioia e il coraggio di un viaggio a Rimini e di tre giorni insieme, con il nostro green pass, rispettando le regole, ma finalmente insieme a dirci che è l’ora (più che mai oggi) di fare ponti, in molti casi di ri-fare ponti, in altri ancora di farne del tutto nuovi.

Ecco, dunque, alcune proposte strutturali come nostri primi ponti per ricostruire, legati alla fase storica del Paese, direttamente legate alle opportunità date dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), e le più urgenti necessità di superare la crisi.
IL PONTE DELLA COMUNITÀ PROFESSIONALE IN PROSPETTIVA
Negli ultimi venti anni gli alunni e le alunne certificati con disabilità sono raddoppiati. A distanza di dieci anni, abbiamo il dovere di porci il problema con un’analisi seria di questo fenomeno. Una società sana non può accettare in silenzio che bambini e bambine con disabilità aumentino a questi ritmi. Non può essere vissuto solo come un problema di spesa pubblica o di opportunità di occupazione.
È interesse di tutti capire cosa stia succedendo, anche per non farsi trovare impreparati di fronte a tendenze che appaiono facilmente prevedibili, ma di sicuro non inevitabili.
Parallelamente, i posti di sostegno sono oggi triplicati (circa 185.000), gli assistenti all’autonomia sono aumentati di ben 17 volte, da 4.000 a 66.000. Gli insegnanti di sostegno sono passati dal 7% dell’organico a quasi il 30%. Di questi quasi il 40% senza titolo e competenze. Non possiamo dunque dire che il tema siano “i posti”, ma gli effetti pedagogici complessivi di questa strabordante crescita, nella capacità o meno di fare comunità educativa e di affrontare in modo nuovo le ragioni di questa straordinaria crescita di certificazioni

In parallelo è clamorosamente mancata una politica che mettesse al centro della formazione di tutto il personale l’inclusione come tema comune e non specialistico e isolante. È mancata l’attenzione sia a una seria formazione iniziale che in itinere del corpo docente, sia il coraggio di una ricostruzione dell’organizzazione del personale che favorisca il fare comunità professionale piuttosto che la delega al “personale speciale”, che rischia di aumentare e non di diminuire l’isolamento. Le 25 ore di formazione previste quest’anno per il personale docente curricolare, svolte in forme spicciative e confuse, servono a ben poco per un salto di qualità.
Isolamento, incompetenza, scarsa continuità didattica sono fonte oggi di molte difficoltà e anche di conflitti con le famiglie. Certamente di un degrado della qualità inclusiva.
Serve il coraggio di un salto di qualità.

Per questo rilanciamo, anche in connessione con la recentissima Legge Delega sulla disabilità connessa al PNRR, tre proposte radicali, coraggiose e necessarie.
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Elaborazione di un urgentissimo piano straordinario di formazione nazionale obbligatorio per l’intero personale docente in servizio, centrato sull’inclusione e sulla didattica inclusiva, e contemporaneamente la revisione radicale dei percorsi di formazione iniziale di chi insegnerà. In particolare, è viva la questione delle competenze inclusive nel ciclo secondario dell’istruzione, nel quale non è ancora sufficientemente maturo il valore pedagogico della formazione alla transizione alla vita adulta, come prospettiva long life per tutti e tutte, e determinante per il futuro dei giovani con disabilità.
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Superare gradualmente la figura dell’insegnante di sostegno separata, prevedendo per chi è attualmente in servizio la graduale collocazione nei posti comuni curricolari stabili dell’organico assegnato agli istituti scolastici e, per una parte di loro, l’assegnazione ai Centri Territoriali di Supporto all'inclusione (CTS) di cui all'art. 9, comma 2 bis, del Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 66, coincidenti o in collegamento con le scuole polo per l'inclusione per destinarli a svolgere la funzione di esperti e di esperte incaricati di fornire supporto tecnico-metodologico ai colleghi e alle colleghe curricolari.
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Prevedere la progressiva statalizzazione della competenza degli Enti territoriali per la fornitura degli assistenti per la autonomia e la comunicazione personale degli alunni e delle alunne con disabilità di cui all’art.13, comma 1, della Legge 5 febbraio 1992, n. 104, contestualmente operando per la riduzione dei trasferimenti a tali enti in modo corrispondente agli oneri assunti dallo Stato.
Dunque, l’insieme di queste tre coraggiose proposte intende realizzare un solido ponte di comunità professionale e sociale coesa, che superi la delega e la separazione.

Già due anni fa avevamo proposto una radicale riflessione sul ruolo e collocazione degli assistenti/educatori. È giunto quindi il momento di renderla concreta, anche con proposte di legge nuove, da proporre sia nella recente legge delega, sia con provvedimenti ad hoc.
È giunto il momento di un salto di qualità che veda nel medio periodo un ripensamento serio dell’attuale organizzazione, sempre più in crisi con l’aumento di fenomeni di isolamento e scarsa qualità inclusiva. Il ponte intende costruire-ricostruire una comunità professionale capace di rispondere al diritto di inclusione di tutti e di tutte e con tutti e tutte, e di realizzare accomodamenti ragionevoli efficaci, anche nell’organizzazione mutuale e cooperante delle competenze tra professionisti della scuola e servizi territoriali coinvolti nei percorsi inclusivi.

PONTI DI COMUNITÀ TERRITORIALE INCLUSIVA A BREVE TERMINE
Possono anticipare e accompagnare le tre proposte precedenti una maggiore attenzione a numerosi aspetti organizzativi e di governance cui basterebbe poco per migliorare la qualità delle relazioni professionali e territoriali.

Si tratta di costruire una rete territoriale di servizi efficace come ponti per l’inclusione.
A livello di Istituto:
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potenziare e valorizzare le figure di sistema;
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semi esoneri almeno nelle scuole con un numero elevato di alunni e alunne con disabilità;
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sperimentare figure interne o territoriali (psicopedagogisti) che possano conciliare il rapporto di fiducia personale che caratterizza le attuali figure di sistema con competenze tecniche specifiche, ma evitando figure apicali che producano, magari involontariamente, processi di delega e di non partecipazione.
A livello di territorio:
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organizzare reti efficaci e stabili, ben monitorate, partendo dalle tante esperienze positive, ma mai veramente decollate ovunque, come i CTS, integrandole se opportuno con i GIT, ma garantendo risorse adeguate per poter funzionare con continuità;
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è importante favorire la consapevolezza, nell’istruzione secondaria, che l’inclusione scolastica degli studenti e delle studentesse con disabilità sia un percorso di transizione alla vita adulta, anche in connessione con la Legge 68/99, perché oggi la transizione è ancora un anello debole delle potenzialità della formazione in adolescenza.
Nella governance territoriale:
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partecipazione multiprofessionale alla funzionalità dei servizi socio-sanitari e del terzo settore locali, nella forma dei patti di comunità e di relazione professionale e istituzionale continua per la realizzazione di veri progetti di vita (Legge 328/99).
A livello nazionale:
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attivare finalmente un servizio efficace di supporto e documentazione, scambio di esperienze, consulenza su temi specifici, ecc.
IL PONTE DELLE CERTEZZE PER IL GOVERNO DELL’INCLUSIONE
È sconcertante che, a sei anni dalla Legge 107/15, non siano stati attuati tutti i decreti delegati previsti in quella Legge. Al di là delle diverse opinioni che potremmo avere circa la vicenda del DM 66/2016 e del recente annullamento del TAR del DM 182/21, riconosciamo che una mancata visione complessiva e condivisa dei processi da attuare per qualificare l’inclusione ha paralizzato una serena e chiara definizione degli aspetti normativi da attuare.
Di fatto l’ICF è fermo al palo, e non appare chiara neppure una visione condivisa tra i diversi ministeri coinvolti. Non si è avuto ancora il coraggio di definire i profili professionali delle diverse competenze dedicate all’inclusione, non si è lavorato per la costruzione di Livelli Essenziali nelle Prestazioni (LEP) efficaci per darsi i giusti livelli standard di qualità, né a sistemi di valutazione della qualità che aiutino le scuole e il sistema a migliorarsi. Manca un quadro serio di riferimento sulla governance delle competenze territoriali tra scuola, Enti Locali, servizi sociosanitari, tali da immaginare che il “progetto di vita” sia al centro di politiche e pratiche multiprofessionali condivise e armonizzate. La solitudine frequente dell’insegnante di sostegno è pari alla solitudine di molte scuole nel proprio territorio sociale di appartenenza.
Non basta dire, per auto-consolarsi, che l’Italia è il paese “più avanzato” in fatto di inclusione scolastica, è necessario invece trovare il coraggio di superare le molte difficoltà e incongruenze presenti. Non si tratta tanto e solo di completare normative necessarie, ma di evitare una confusione normativa e burocratica che sta relegando le scuole a condizioni di forte incertezza, anche per lo scarso rispetto delle loro autonomie, cui si dovrebbero dare finalità chiare, risorse certe, orizzonti sensati e poi una fiducia seria per la loro capacità pedagogica.

Non abbiamo bisogno di commi in più, ma di un senso pedagogico e istituzionale chiaro tra tutti i soggetti coinvolti. Insomma, non una nuova bulimia di commi, ma la politica e la pedagogia.
UN RECOVERY PLAN COME PONTE DI QUALIFICAZIONE DELL’INCLUSIONE
La recente Legge Delega sulla disabilità del governo Draghi può essere un punto di accelerazione dello sviluppo di nuove forme di governance nella logica del PNRR. Può essere un’occasione ma anche una complicazione, se il sistema scuola non sarà connesso e parallelo nei significati operativi. Al centro della Legge Delega ci sono l’ICF e il Profilo di funzionamento come nuovi caratteri interpretativi della condizione di disabilità in chiave bio-psico-sociale. E di riflesso c’è il progetto di vita come chiave operativa vincolante per tutti i servizi deputati all’inclusione, come diritto pieno di accomodamento ragionevole della persona con disabilità. Sono tutte chiavi interpretative importanti e che devono aver riflesso nel sistema scolastico.
Vediamo dunque la necessità di un rapporto dialogante tra i processi che saranno attuati per merito di questa Legge e lo sviluppo e chiarimento dei paralleli compiti dati alla scuola, in questa fase di incertezza di governo normativo. Non vorremmo che la scuola restasse in un angolo autoreferenziale, sarebbe un danno di prospettiva ed evoluzione di un processo di inclusione che dura tutta la vita e che deve avere una visione di lungo termine.
Nel PNRR il tema della povertà educativa è un altro anello di connessione sui temi dell’inclusione a più largo spettro. La scuola deve essere coinvolta pienamente anche per evitare il rischio che i processi inclusivi si spacchino o vengano delegati tra servizi istituzionali e quelli del terzo settore, tra cui potrebbero anche purtroppo sorgere forme “speciali” di scolarità.

È nell’impegno comune e condiviso di tutti i soggetti istituzionali e sociali che l’inclusione si fa qualità nel rispetto delle potenzialità di ciascuno.

Torniamo a casa felici del ritorno in presenza, anche se con la mascherina, ma con gli occhi bene aperti e desiderosi di qualità. Sappiamo che questa fase sociale sarà molto dura.
Noi ci siamo perché la qualità dell’inclusione sia la qualità dell’istruzione tout court, capace di rinnovarsi e di essere davvero un ponte di umanità e di una comunità sociale capace di solidarietà, impegno, rispetto di tutte le esperienze individuali di vita.
Solo così ci salveremo tutti e tutte insieme.
