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Il silenzio educa… le insegnanti - Erickson 1

Il silenzio educa… le insegnanti

Alessandra di Benedetta, insegnante di scuola dell’infanzia presso il Comune di Roma, risponde alla suggestione “Chi tra le bambine e i bambini con cui lavori ti ha sorpreso nella sua diversità e in che modo?”

Da quando insegno mi rendo conto di aver imparato tanto dai bambini!

Ho imparato il valore dell'ascolto e della cura, l’importanza della condivisione, del rispetto delle esigenze degli altri!

Un anno in particolare, ero insegnante di sostegno in una scuola dell’infanzia del Comune di Roma.

In classe c’era un bambino, A. di 5 anni, con una diagnosi di iperattività probabilmente autistico.

La difficoltà maggiore di questo alunno era la gestione delle emozioni.

Sia se succedeva qualcosa di piacevole che se dovevamo dire un NO, A. reagiva in modo oppositivo.

Un giorno in particolare, durante un’ attività, dopo un diniego, corse fuori dalla classe e si rifugiò in una stanza della scuola che veniva utilizzata come stanza della lettura o per un riposino. Era una stanza con morbidi divani e grandi cuscini.

Lo seguii e lo raggiunsi in questa stanza…

Lo trovai raggomitolato su se stesso, piangeva e tremava. Mi sono avvicinata a lui, gli parlavo sottovoce, tenevo una mano sulla sua testa… ma non riuscivo a calmarlo.

A un certo punto mi è venuto in mente il concetto “coinvolgere i bambini nel loro percorso di crescita”, allora gli chiesi … “A. sono qui per te … voglio aiutarti! Cosa posso fare?”.

  1. si calmò improvvisamente e alzando pochissimo la testa, tanto da tirar fuori solo un occhio, mi rispose: “Resta qui … ma stai in silenzio”.

Così feci e dopo qualche minuto si era calmato.

Tornati in classe A. riuscì a terminare l’attività che aveva iniziato in modo eccellente e autonomamente.

Ecco … un bambino di 5 anni, che aveva difficoltà a gestire le emozioni, mi aveva insegnato il concetto “Il silenzio vale più di mille parole”.

Mi ha insegnato che molto spesso si deve lasciare il tempo di elaborare il disagio, il dispiacere senza intervenire. Essere presenti senza invadere lo ‘spazio emotivo’ dell’altro.

Lasciare tempo e spazio.

Fidarsi della capacità di elaborazione delle emozioni anche dei bambini.

Esserci, restare lì, ma senza forzare. Senza voler essere noi a suggerire cosa e quando fare qualcosa. Senza pretendere di sapere come l’altro debba gestire le proprie emozioni.

Questo naturalmente vale non solo per i bambini ma per tutti.

Ricordarsi che i bambini sono competenti, a volte più degli adulti.

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