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Il senso delle parole nella gestione linguistica delle differenze 1

Il senso delle parole nella gestione linguistica delle differenze

Una sfida educativa per la scuola italiana ai tempi della pandemia

Le parole sono un potentissimo veicolo con il quale si trasmettono valori, pensieri e messaggi. Le parole, di per sé, non sono sbagliate, ma il modo in cui le usiamo per comunicare ed esprimere i nostri pensieri può promuovere inclusione o rafforzare esclusioni, può scardinare stereotipi e pregiudizi o esserne espressione e contribuire a radicarli nella società, può dare rispetto e dignità o denigrare e offendere.

Il dizionario Oxford Language definisce l’inclusività come la tendenza a estendere a quanti più soggetti possibili il godimento di un diritto o la partecipazione a un sistema o a un’attività.

Promuovere un linguaggio inclusivo, quindi, è fondamentale per riconoscere le differenze e garantire a tutti diritti, dignità e partecipazione.

Il linguaggio inclusivo evita parole, espressioni o toni che riflettono opinioni pregiudizievoli, stereotipate o discriminatorie verso determinati gruppi di persone. In particolare, il linguaggio inclusivo non rafforza stereotipi di genere, non è razzista, e non discrimina le persone con disabilità.

Alex Kapitan propone una classificazione del linguaggio in relazione al grado di inclusività ed allo spettro emotivo dentro al quale si muove. Nell’articolo “The spectrum of language” partendo dall’estremo più negativo, Kapitan individua:
- il linguaggio violento: comunica attivamente odio, disgusto, intolleranza e giudizio (es. gli immigrati sono clandestini e criminali);
- il linguaggio cifrato: è usato da persone che comunicano pregiudizi e preconcetti in modo nascosto, consciamente o inconsciamente. Queste persone sanno che il linguaggio violento non è socialmente accettabile, ma desiderano comunque comunicare disprezzo, intolleranza e giudizio in modi che sostengono uno status quo oppressivo (es. non vorrai mica andare in giro vestita così!);
- il linguaggio indiscusso: è quello più comune, usato tutti i giorni e tende ad essere pieno di sottili riferimenti impregnati di privilegio, valori tradizionali e norme su cosa e chi abbia valore e cosa e chi non ne abbia. Comunica ad alcune persone che sono "normali" e ad altre che non lo sono (es. le calze color carne per definire un prodotto di colore beige chiaro);
- il linguaggio minimizzante: a un livello superficiale sembra positivo e favorevole alla diversità. E’ usato da persone che credono nel valore e nella dignità di tutte le persone, ma non hanno fatto il duro lavoro necessario per mettere in discussione e smantellare i valori, gli standard e le norme che sostengono l'oppressione (es. il motto all lives matter in contrapposizione al movimento Black Lives Matter);
- il linguaggio liberatorio: non solo afferma attivamente la piena diversità dell'esperienza umana, ma lavora anche per comunicare empatia, compassione e nonviolenza. Non si ferma alle parole, ma riguarda anche i valori e le intenzioni che le sottendono. Infonde a coloro che sperimentano le parole la capacità di azione personale e collettiva (es. insegnante che dice a ogni studente, sei intelligente e capace).

In che modo, quindi, l’inclusione passa anche dal linguaggio? Come si può promuovere l’inclusione con un linguaggio attento? E quale ruolo ha la scuola nella promozione di un linguaggio inclusivo?

La scuola, secondo Vera Gheno “rimane l’officina culturale principale…La scuola rimane il contesto in cui i ragazzi imparano ad imparare e imparano a relazionarsi in maniera aperta e non xenofoba con tutto, con tutte le compagini socio-culturali che ci circondano. Prima si inizia, meglio è. A mio avviso se non si approfitta di questa età dell’oro che è quella che passiamo a scuola, non possiamo pensare di cambiare la società, come forse sarebbe opportuno che cambiasse, cioè andare nella direzione di una società … inclusiva. La scuola si deve assumere questo onere, secondo me, di crescere nuove generazioni che siano sempre meno spaventate dalla differenza, che oggi è un’esperienza ormai quotidiana per tutti”.

Questi temi verranno approfonditi al Convegno Internazionale di Erickson “La Qualità dell’inclusione scolastica e sociale”, che vedrà ospite Vera Gheno come Qnote speaker il 13 novembre.

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