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Costruire ponti per rieducare chi educa - Erickson 1

Costruire ponti per rieducare chi educa

Arianna Rivi, pedagogista, risponde alla suggestione “Che tipo di insegnamento hai tratto dalla pandemia?”

Sostenere e riformare l’adultità per investire sul futuro, passando da una logica di connessione a una logica di comprensione.

“LEGAMI. Intimità, relazioni, nuovi mondi” era il titolo e il tema di Fotografia Europea 2019, importante appuntamento internazionale di fotografia che si tiene ogni anno nella città di Reggio Emilia. Con il senno di poi possiamo considerarla una sorta di monito, un dito puntato verso ciò che ci sarebbe immensamente mancato e che, parallelamente, ci avrebbe salvati tutti.

La pandemia mi ha insegnato proprio questo: dobbiamo tornare alla costruzione di vere relazioni, dobbiamo tornare all’individuo e al piccolo gruppo, rieducando chi educa all’attenzione e all’ascolto, perché questo atteggiamento possa davvero portare benefici anche ai più piccoli e ai più fragili che, in mezzo ai grandi numeri, si perdono e non si espongono. Dobbiamo ripensare gli spazi e i tempi dell’incontro e vanno ripensati facendo ricerca, perché non possiamo effettivamente immaginare o prevedere i bisogni e i desideri del tessuto sociale finché le persone non si riconosceranno nelle nuove modalità della partecipazione a cui, per primi noi adulti, non siamo davvero più abituati.

Per costruire nuove e solide basi per il futuro della nostra società e del nostro sistema di welfare la scommessa potrebbe essere proprio l’investimento sulla genitorialità, sull'adulto consapevole e partecipe, sulla riduzione della fascia d’età a cui si fa riferimento parlando di “giovani”, che ora è 14 - 35 anni e, personalmente, credo sia sintomo di una società in cui si fa fatica ad assumersi responsabilità “adulte”, spesso per paura dell’incertezza del futuro che, invece che essere motore di crescita e slancio, è più facile che assuma la forma di un muro o un burrone e che incuta terrore.

Siamo la generazione dell’incertezza, per dirla con Morin, e siamo stati cresciuti da chi cercava e costruiva certezze, perché ci hanno insegnato che “senza certezza non c’è futuro”, ma dobbiamo smettere di rifugiarci in questa idea ormai anacronistica e costruirne una nuova, indagando le origini delle nostre paure senza banalizzare, imparando ad andare in profondità, faticando per diventare davvero quei testimoni credibili di cui le nuove generazioni avranno bisogno.

Che sia proprio la scuola il luogo privilegiato per intercettare i bisogni? Il terreno fertile per l’incontro tra le parti in causa? Secondo me sì. Senza che sia essa a farsi carico della risoluzione di tutti i problemi, ma piuttosto che diventi una sorta di stazione ferroviaria in cui le persone si incontrano e si salutano, per poi proseguire ognuna nella propria direzione che, a volte prevederà un viaggio individuale, altre condiviso, ma in ogni caso avrà come finalità quella di creare adulti presenti e coerenti, desiderosi e impegnati.

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