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I bambini con DSA e la plasticità cerebrale  1

I bambini con DSA e la plasticità cerebrale

Se c’è un disturbo di apprendimento, non lo si guarisce. Però lo si può compensare grazie alla neuroplasticità del cervello

Gli errori compiuti da un bambino con qualche difficoltà scolastica si risolvono facilmente, se si offre un aiuto che sia in linea con i processi coinvolti nel compito. Sono errori, per così dire, «scritti a matita». Questo vale anche per un bambino cui è stato diagnosticato un DSA?

Non si guarisce, ma si compensa

Nel caso di un Disturbo Specifico di Apprendimento bisogna essere consapevoli del fatto che se il disturbo c’è, non lo si guarisce. Però, come ho accennato poco fa, lo si può compensare in modo da ottenere una prestazione paragonabile alla media o comunque la migliore possibile per le caratteristiche del profilo di funzionamento cognitivo del bambino. E nella maggior parte dei casi ciò è molto più facile di quanto possa sembrare.

Questo è possibile grazie a una qualità meravigliosa del nostro cervello, sulla quale io ritengo fondamentale richiamare l’attenzione di chi insegna ai bambini: la neuroplasticità.

Che cosa si intende per neuroplasticità del cervello?

Con questo nome si definisce la capacità del cervello di modificare la propria struttura e le proprie funzionalità in risposta a una varietà di fattori intrinseci ed estrinseci, come ad esempio l’esperienza.

Eric Kandel vinse il premio Nobel per la medicina nel 2000 proprio per aver scoperto che i neuroni si modificano se stimolati, fornendo conferma alla teoria secondo la quale l’esperienza interviene sul cervello. Nel corso della nostra vita, in effetti, l’esperienza ci modella incessantemente: si può dire che l’apprendimento scolpisca il cervello, creando continuamente nuove connessioni neurali. 

Per capire meglio questo concetto pensiamo ai musicisti: numerosi studi hanno dimostrato che alcune funzioni particolari e peculiari di questa professione, come la motricità fine delle dita, oppure la voce, o ancora le abilità uditive, essendo esercitate continuamente finiscono per avere un’area cerebrale dedicata più ampia rispetto a quella di chi non fa musica. All’inverso, le funzioni che non vengono allenate cedono il loro «spazio» a ciò che viene esercitato di più. E questo succede per tutti gli apprendimenti, anche quelli scolastici.

Ora, per sviluppare una competenza è certo necessario proporre un «allenamento» efficace, ma anche tenere nella giusta considerazione un elemento spesso considerato sotto una luce sbagliata: l’errore.

Questo testo è tratto dal libro "Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere" di Daniela Lucangeli.

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