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10 cose che ogni persona con sindrome di Down vorrebbe che tu sapessi

Un decalogo per sfatare i luoghi comuni e superare i pregiudizi più diffusi

Accade spesso che nell’incontro con una realtà diversa dalla propria si tenda a omologare, a leggerla cioè come un’unica realtà a cui si applicano schemi interpretativi omogenei che portano poi con sé stereotipi e pregiudizi. Questo accade anche alle persone con sindrome di Down. Sono tanti gli stereotipi che ancora le riguardano. Qui di seguito, sulla scorta dell’esperienza maturata con l’Associazione Italiana Persone Down, presentiamo i 10 più comuni, con una spiegazione sul “perché” non sono una rappresentazione corretta della realtà.

1. “Down” non vuol dire “giù”

La sindrome di Down è una condizione genetica che dipende dalla presenza di una terza copia (o di una parte) del cromosoma 21. Si tratta quindi non di una malattia, ma di una condizione, che non può essere curata e che accompagna la persona per tutta la vita.

Sul nome purtroppo c’è ancora qualche equivoco, ma “Down” non significa “giù”: questa sindrome prende il nome dal medico britannico John Langdon Down che, nel 1866, ne fece un’ampia descrizione in uno studio.

2. Prima di tutto siamo persone

Le persone con sindrome di Down sono Luca, Francesco, Maria, Laura… e sono innanzitutto persone, diverse l’una dall’altra, anche se hanno in comune una forma variabile di disabilità intellettiva e alcune caratteristiche di sviluppo.Proprio per sottolineare la centralità e l’unicità di ognuno, all’interno del movimento internazionale si insiste sul parlare di loro come «persone con sindrome di Down» e non «persone Down», una terminologia che tenderebbe a identificare la persona con la sua sindrome, mentre la prima ribadisce la centralità della persona e la sindrome di Down come una delle sue caratteristiche.

3. Non siamo tutti uguali e assomigliamo a mamma e papà

Credere che le persone (soprattutto i bambini) con la trisomia 21 abbiano tutte le medesime, tipiche caratteristiche, soprattutto facciali e comportamentali, non è corretto.

Un bellissimo manifesto di un’associazione spagnola (FCSD – Fundaciò Catalana Sindrome de Down) riporta questo slogan «Tiene la mirada de su padre y la sonrisa de su madre», cioè «Ha lo sguardo di suo padre e il sorriso di sua madre», proprio a sottolineare che la realtà, oggi del tutto ovvia, è che ogni bambino con sindrome di Down somiglia prima di tutto ai propri genitori, e poi certo, anche ad altri bambini con la stessa condizione, così come le femmine assomigliano alle femmine e i maschi ai maschi.

4. Siamo più lenti, ma possiamo imparare

Un bambino con sindrome di Down è un bambino che, con grande variabilità, apprende con più difficoltà e maggiore lentezza dei suoi coetanei, ma può imparare molto. C’è un’estrema variabilità nelle competenze di ogni singolo ragazzo e ognuno di loro può e deve partecipare alle attività scolastiche curriculari ed extracurriculari che la scuola offre.

5. Ridiamo, piangiamo, siamo felici e ci arrabbiamo

Uno degli stereotipi più comuni e difficili da abbattere nei confronti delle persone con sindrome di Down è quello che li vede sempre sorridenti, felici e contenti. Le persone con sindrome di Down hanno certamente, in virtù della disabilità intellettiva e della semplicità che ne deriva, minori inibizioni nell’esprimere i propri sentimenti e sono così prodighe di sorrisi e di complimenti.
Anche tra le persone con sindrome di Down, alcune sono estremamente solari e altre più cupe; anche loro conoscono momenti di felicità, così come momenti di tristezza, di grandi risate e di bronci e di mutismo. Proprio come ognuno di noi.

6. Diventare autonomi si può

Fino a non molti anni fa l’idea più diffusa era quella che le persone con sindrome di Down fossero persone con un ritardo mentale e che sarebbero state per sempre dipendenti dai loro genitori. Oggi è possibile incontrare bambini con sindrome di Down nelle scuole e ai giardini, ragazzi che si muovono da soli fuori casa per incontrare gli amici e qualche adulto sul posto di lavoro. Qualcosa sta cambiando!

7. Anche noi diventiamo grandi

Negli ultimi quarant’anni molte cose sono cambiate nella realtà delle persone con la sindrome di Down e soprattutto la mutata aspettativa di vita ha messo al centro della nostra attenzione la crescita del numero degli adulti che oggi rappresentano circa il 60% delle persone con questa condizione nel nostro Paese.

Se negli anni Quaranta l’aspettativa di vita era 12 anni oggi è di 62 anni ed è destinata ulteriormente a crescere in futuro.

Questo forte cambiamento è stato determinato sicuramente dal miglioramento delle cure mediche, che hanno permesso di affrontare con successo alcuni problemi di salute spesso causa di morte precoce (infezioni respiratorie, cardiopatie congenite, ecc.), ma anche dal sempre meno frequente ricorso all’istituzionalizzazione.

Oggi la quasi totalità delle persone con sindrome di Down vive in famiglia.

8. Anche noi ci innamoriamo

Arrivati all’adolescenza, anche le persone con sindrome di Down iniziano a prendere confidenza con il proprio corpo che cambia e a interessarsi all’altro sesso. Spesso i primi innamoramenti sono rivolti ad amori impossibili. Spesso è anche l’atteggiamento degli altri a creare confusione nel ragazzo o nella ragazza con sindrome di Down e a confermare la convinzione dell’esistenza di una relazione. A lungo andare però, non consentire ai ragazzi di costruire relazioni vere può creare grandi frustrazioni. L’unico vero modo di abbandonare le relazioni impossibili è dare spazio alle relazioni possibili, che spesso si creano con altre persone con sindrome di Down o disabilità intellettiva, con cui lo scambio possa essere «alla pari».

9. Sappiamo di essere persone con la sindrome di Down

È importante sfatare l’idea che una persona con sindrome di Down possa non accorgersi della propria «diversità»  o che la mancanza di consapevolezza possa rendere la vita più facile. Far finta che i propri limiti non esistano non rende felici, ma anzi spesso rende più difficile il contatto con la realtà. Tutti noi sappiamo quanto sia importante per ognuno potersi conoscere per quello che ognuno di noi è, chiunque esso sia.

10. Vogliamo andare a vivere da soli

Quello che la conquistata autonomia e adultità delle persone con sindrome di Down ci suggerisce è il guardare «oltre noi», alla possibilità cioè per una persona con sindrome di Down di uscire dal proprio nucleo originario non solo per necessità, ma per scelta, e di rimettere al centro i loro desideri. Questo approccio ci sollecita a pensare a luoghi in cui vivere, a modalità diverse, a competenze per «cavarsela», a percorsi di separazione e di elaborazione della capacità di scegliere quello che si desidera, nel grande e nel piccolo.

 

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