Scrivere di sé è certamente una pratica importante per l’adultità, come sapientemente mostrato da Duccio Demetrio nel suo Raccontarsi (1997), ma le molteplici forme tramite le quali la scrittura si presta alla riflessione autobiografica non sono soltanto dell’età adulta, anzi: come ha dimostrato chiaramente Jerome Bruner nei suoi studi, il sé autobiografico si forma gradualmente nel corso del tempo sin dalla più tenera età e si presta ad essere asse fondamentale del processo identitario di una persona.
Si sta parlando, infatti, non soltanto della tipologia letteraria dell’autobiografia o del romanzo autobiografico, quanto anche di tutte quelle plurime scritture personali, diaristiche e riflessive che costellano la nostra vita, in forme più o meno condivisibili, e che proprio nei momenti più significativi delle traiettorie di crescita di una persona tornano con maggiore forza e importanza: il diario segreto, le scritture di viaggio, le lettere scritte agli amici e così via. In forma cartacea o digitale, in realtà, non cambia la sostanza.
Verrebbe, dunque, da chiedersi a che età tali scritture possono essere introdotte a scuola, e con quali forme.
La premessa fondamentale è che la scrittura autobiografica si ancora in una prassi che precede la scrittura stessa e che ha a che fare con il dare spazio al racconto di sé dentro la scuola. Si tratta, cioè, di quell’insieme di piccole pratiche che sin dalla scuola dell’infanzia possono scandire le routine quotidiane: il circle time al rientro il lunedì mattino, così come lo spazio del racconto rispetto a ciò che si è svolto nell’attività appena conclusa, o ancora il momento libero in cui ci si chiede «raccontami».
Crescendo e andando oltre nei gradi di istruzione superiore, oltre a prevedere la presenza dell’autobiografia come genere letterario, sono moltissime le modalità tramite le quali queste pratiche possono essere inserite:
- leggendo autobiografie e utilizzando le testimonianze come fonti di lavoro: ogni cosa si comprende più sentitamente se la si recepisce attraverso la parola vissuta, la storia incarnata dei suoi protagonisti. Le autobiografie sono finestre aperte sul passato, permettono di vivere la vita dei tempi trascorsi e di comprenderne le ricadute concrete nella quotidianità delle persone, trasformando così informazioni storiche in sapere vivo;
- introducendo scritture diaristiche che accompagnino il percorso di apprendimento, in chiave meta-riflessiva (ripercorro cosa ho imparato e come ho imparato), come strategia di auto-valutazione che non solo rientra pienamente nelle linee di indirizzo a livello nazionale, ma che soprattutto responsabilizza le e gli studenti rispetto al loro ruolo da protagonisti in ciò che stanno studiando. Come a dire: imparo che so imparare. Tali scritture, fra l’altro, si prestano benissimo ad essere strumento di valutazione partecipata con studentesse e studenti se diventano prassi condivisa all’interno del gruppo;
- costruendo momenti di narrazione di sé dedicati, che possano essere spazi di ascolto di sé e di ascolto reciproco, in chiave laboratoriale. Spazi, dunque, di laboratorio autobiografico che però è altro rispetto al lavoro disciplinare e che, pertanto, necessita di regole differenti per garantire quel rispetto e quella privacy che sono fondamentali quando si maneggia materiale così prezioso come è quello che modella le storie di vita.
Si tratta di modalità che certamente vanno calibrate con attenzione a seconda dell’ordine e del grado scolastico ma che si prestano al lavoro dei più piccoli così come dei più grandi, sfidando la creatività e le competenze educative dei loro docenti.